Considerazioni a margine di Poesie, prose e diari di Sandro Penna
di Fabio Michieli
La scorsa estate, col ‘Meridiano’ dedicato a Sandro Penna fresco di stampa, volutamente, ho rivisto Umano non umano di Mario Schifano; ho voluto rivedere il film per risentire la voce di Penna monologante («Tu te ne stai là… non parli… non dici nulla…», sbotta a un certo punto il poeta, guardando davanti a sé in direzione della cinepresa e rivolgendosi all’amico regista).
L’ho fatto perché ricordavo bene il momento in cui Penna, tenendo in mano una copia di Poesie, la prima raccolta completa delle sue poesie, uscita per Garzanti nel 1957 (d’ora in poi Poesie 57), fa capire chiaramente che quello sarebbe il libro che vorrebbe rimanesse di sé («questo libro è l’unico mio», dice Penna), malgrado l’editore non si pronunciasse per una ristampa del volume ormai andato esaurito. Il film è del 1969, le riprese probabilmente di un anno prima.
Si fa presto a collegare le parole del poeta allo scambio di lettere tra Amelia Rosselli e Pier Paolo Pasolini (un paio di queste lettere, con alcune mie considerazioni, costituirono il cuore di un breve intervento qui su «Poetarum Silva» qualche tempo fa); la Rosselli verso la fine degli anni Sessanta aveva da poco scoperto la poesia di Penna, e insieme aveva pure riscontrato che non si trovava una sola copia di una qualsiasi sua raccolta. Garzanti davvero non voleva saperne di ripubblicare allora Penna, probabilmente perché nel 1958 il poeta aveva consegnato Croce e delizia a Longanesi, passando sopra a un accordo verbale precedentemente stipulato.
Grazie a Pasolini, a un certo punto la situazione dovette trovare una soluzione e nel 1970 uscì il volume Tutte le poesie; come già per Poesie 57, nuovamente la poesia di Penna veniva organizzata per sezioni individuabili con le raccolte ufficiali pubblicate e alcune sezioni di inediti, questi ultimi accorpati per sommari limiti temporali.
Per i due volumi del 1957 e del 1970 (soprattutto per quest’ultimo) Pasolini è l’uomo chiave: è lui che nel 1957 convince l’editore a pubblicare un volume che raccolga tutte le poesie di Penna, e convince anche il poeta a raccogliere tutto in un unico volume con l’aggiunta di un centinaio di allora inediti. Sarà nuovamente Pasolini nel 1970 ad aiutare Penna a sistemare Tutte le poesie, consigliandolo nella scelta di ulteriori inediti, e a superare le riserve – già ricordate sopra – di Garzanti verso un nuovo libro penniano. Pochi anni dopo spetterà a Cesare Garboli il ruolo di consigliere di Penna, quando proprio a lui il poeta perugino si rivolgerà per allestire Stranezze, pubblicato nel 1976 sempre da Garzanti.
A Tutte le poesie del 1970 nel 1973 Sandro Penna fece seguire un’autoantologia intitolata semplicemente Poesie (d’ora in poi Poesie 73; il titolo Poesie ritornerà un’ultima e definitiva volta nell’edizione postuma del 1989). Si trattava di un’edizione tascabile, divulgativa: una scelta d’autore come Bertolucci, Caproni e Luzi ne fecero, senza mai dare a esse alcuna valenza sistematica e tanto meno fondante; pure Sereni e Zanzotto pubblicarono in quello stesso anno le loro autoantologie.
A nessuno verrebbe in mente di impostare la ricostruzione storica dei percorsi poetici individuali di questi maestri della poesia del Novecento sulle loro autoantologie. Perché, allora, lo si è fatto per Sandro Penna?
La domanda non è affatto retorica, perché è proprio sulla decisione di Roberto Deidier di fondare su Poesie 1973 la disposizione delle poesie all’interno del ‘Meridiano’ che ruota e ruoterà tutto il mio discorso. Una disposizione che consta in due sezioni: Poesie scelte e raccolte dall’autore nel 1973, ovvero Poesie 73, e Poesie 1922-1976, seconda sezione che raggruppa tutte le altre poesie di Penna, comprese quelle che raccolsero Elio Pecora in Confuso sogno (Garzanti, 1980) e Cesare Garboli in Penna Papers (Garzanti, 1984), fatta eccezione di quelle oramai dubbie pubblicate in Peccato di gola (Scheiwiller, 1989), disposte in un’unica sequenza cronologica, basata sulle date riportati dai testimoni censiti, sulla loro comparsa nelle raccolte ufficiali, nonché, in assenza di date certe, sulla nota datazione approssimativa (spesso su base aneddotica) già messa in pratica dal poeta stesso. Si noterà subito come la prima sezione non riprenda il titolo originale, Poesie, scelto da Penna per la propria antologia.
Io sono sempre stato, prima di ogni altra cosa, un lettore di Sandro Penna. Il “critico” è arrivato dopo; è arrivato quando all’avidità del lettore è subentrato lo spirito indagatore, quello che vorrebbe sfogliare carte autografe, dattiloscritti e altro materiale di prima mano; quello che insegue il pensiero ultimo dell’autore; quello che mai e poi mai dirà di fronte a un libro «l’importante è che sia uscito, non importa se bene o male; basta che sia pubblicato!». Ho scritto il mio primo contributo sulla poesia di Penna dopo molti anni da che iniziai a leggerla. In quel primo scritto mostravo, e forse dimostravo pure, l’importanza della scansione temporale in un poeta apparentemente senza tempo.
Quelle mie considerazioni, che negli anni si sono ulteriormente affinate, sono nate dalla frequentazione delle pagine di autorevoli critici, come Garboli, Bigongiari, Raboni, e anche Deidier. Soprattutto gli studi di Deidier in quest’ultimo decennio hanno indirizzato le mie indagini, perché progressivamente sfrondavano la poesia di Penna di non pochi pregiudizi critici, accumulatisi nel tempo per la pigrizia di quanti ripetevano formule trite.
Che il 1973 sia stato un anno importante per Sandro Penna è un dato di fatto! Poesie 73 e le prose di Un po’ di febbre uscirono per Garzanti nel corso dell’anno, a sancire probabilmente l’intenzione di riportare l’attenzione su una figura del panorama letterario italiano che proprio in quegli anni subiva un ridimensionamento, quando non dei veri e propri attacchi; basti pensare alla scelta di sue poesie operata da Sanguineti in Poesia del Novecento da lui curata, in cui Penna figura con i testi meno felici. Perciò con Poesie 73 Penna stesso cercava di ripristinare il suo ruolo e la sua posizione all’interno del canone novecentesco. Ma l’antologia è un testo impreciso, che scontentò non poco Penna a partire dall’assenza della poesia manifesto, “La vita… è ricordarsi di un risveglio”, pur inserita nella lista dal poeta, per culminare in una vera e propria mancanza di rispetto mettendo in copertina il più famoso dei suoi distici, ma allo stesso tempo il più odiato da Penna, e per questo escluso dalla scelta.
È altrettanto vero, e documentato, che poco dopo avere dato alle stampe Poesie 73 Penna consegnò a Garboli un fascicolo con altri versi totalmente inediti, affinché venissero pubblicati con una certa urgenza. Quindi, va da sé, che il desiderio di essere ricordato con determinate poesie decadeva in quello stesso anno, per fare posto a una nuova fiducia nella propria poesia; due di questi inediti vedranno la luce l’anno seguente, nel 1974, in rivista, per poi confluire nel 1976 in Stranezze (cfr. Penna inedito, in Cesare Garboli, Penna Papers, cit., pp. 25-28).
Le puntuali e documentate ricostruzioni delle vicende editoriali che hanno portato alla pubblicazione delle singole raccolte poetiche di Sandro Penna evidenziano, più che l’intromissione continua di seconde, terze, quarte e perfino quinte persone nella selezione delle poesie, la costante indecisione del poeta nel momento in cui si trovava davanti alla scelta di cosa pubblicare e cosa non pubblicare; il vero “tradimento” (accusa che Penna rivolse a Pasolini all’indomani dell’uscita di Poesie 1957) è stato costantemente compiuto dal poeta, perché puntualmente tradiva la sua voglia di mostrare ogni faccia del suo mondo poetico pur di preservare quella faccia di purezza della prima ora.
Basta seguire i documenti pubblicati sulle vicissitudini legate a Croce e delizia per capire quanto Penna abbia esasperato Naldini e Monti (quest’ultimo responsabile editoriale per Longanesi): Penna è costantemente preda di una vera e propria nevrosi che esplode e si acuisce quanto più si avvicina la data ultima per andare in stampa, una sorta di auto-sabotaggio.
È qui che emerge la bellezza – perché è pur vero che questo volume è bello per tutto ciò che contiene – dell’apparato critico e documentario messo a disposizione da Roberto Deidier. Eppure proprio nel luogo in cui ci si attende la chiave che tutto disveli, i testimoni latitano. A causa dei pochi documenti a disposizione, solo due pagine vengono dedicate alle vicissitudini editoriali di Poesie 73, e il più di queste pagine è occupato dalle riproduzioni della quarta di copertina (non firmata, ma che potrebbe essere di Garboli, a mio avviso) e della «stringata nota bio-bibliografica»; in quest’ultima si legge a chiare lettere questa frase: «La raccolta completa di Tutte le poesie è stata pubblicata da Garzanti nel 1970». Non è strano che un poeta, che tiene a far sapere ai suoi lettori di avere scelto un canone da consegnare alla posterità, lasci dichiarare nello stesso volume che tutto ciò che ha scritto in versi è stato pubblicato tre anni prima? Certo, è ovvio che trattandosi dello stesso editore la brevissima nota dia notizia di ciò che in quel momento fosse disponibile. Eppure la nota stona; stona proprio perché cozza violentemente contro l’assunto di base di Deidier, ossia che l’autoantologia sia il testo di riferimento attorno al quale ricostruire l’intero canone penniano; che è come dire che dovremmo ricostruire l’intera storia della poesia di Mario Luzi partendo da Autoritratto pubblicato nel 2007, ossia a due anni dalla morte del poeta fiorentino, perché è l’ultimo libro al quale si è dedicato prima di morire e che ci consegna ciò che di sé avrebbe voluto si leggesse per capirne l’intera parabola. Non so se rendo…
Colpiscono però maggiormente le parole di una dichiarazione di Penna stesso consegnate a un appunto conservato in ciò che sopravvive del suo archivio: «Ultima cosa il tascabile di cui si è voluta […] una prefazione che dà sapore al libro perché annuncia che la mia scelta è solo mia; questo tascabile esce con sulla copertina i versi che non ho indicato ma odio [Io vivere vorrei addormentato…]. Comincia poi saltando la mia I poesia che non è mai mancata per la sua forse massima bellezza e che io ho ben indicato avendo qui la copia della scelta fatta». Scelta fatta, si apprende, su materiale d’autore, ossia i vari foglietti che conservavano le poesie sparse, e l’edizione Tutte le poesie del 1970.
Chi ha voluto la prefazione, che altro non è poi se non quelle poche righe che accompagnano il volume, e che ora Deidier mette al confronto con un passo di Schopenhauer alla seconda edizione di Il mondo come volontà e rappresentazione?
Insomma, là dove ci si aspetta la prova provata, quella in grado di fugare ogni dubbio sull’operato filologico, manca la prova, manca l’argomentazione definitiva, quella capace di sbaragliare ogni cosa a favore della scelta del curatore.
Ma i tempi sono cambiati, e nessuno si straccia più le vesti per un’edizione dai criteri opinabili, considerati da qualcuno una sorta di “male minore” (ma pur sempre di un male mi par di capire si ha avuta la percezione). Anzi un coro quasi unanime ha festeggiato la pubblicazione del ‘Meridiano’ alla sua uscita; un coro che, isolandone voce per voce, spesso mi ha fatto venire il dubbio si sia limitato a riprodurre il comunicato stampa senza avere avuto tra le mani una copia del volume.
Soltanto una voce pubblicamente si è levata avanzando qualche dubbio e ponendo qualche domanda. L’articolo di Daniele Piccini pubblicato lo scorso settembre nel numero 329 di «Poesia» mette in chiaro i pregi e i difetti dell’edizione; minimizza alcune affermazioni date per verità acquisite da parte di Deidier, dimostrando come in realtà siano troppo scarsi gli elementi, o le ricorrenze di certi fenomeni, per darli come identificativi della poesia di Penna («Deidier insiste molto sulla trafila del ricordo, sugli esempi di Leopardi e per altro verso di Proust. Tuttavia le tracce del procedimento mnestico sono esigue […]. E allora? Forse le poesie di Penna ‘imitano’ i ricordi, come se i materiali della poesia fossero trattati alla stessa maniera di quelli della memoria. La poesia di Penna isola, eleva, accentua come fa il ricordo, in una luce mitica. La poesia di Penna è dunque ricordata? In questo senso, con l’allusività riversata su una scena indecifrabile, si può forse stabilire la parentela di una parte della poesia penniana con la pittura metafisica», che è un altro modo di definire ciò che invece Deidier vorrebbe si vedesse in quell’unica direzione). Leopardi, Nietzsche e Proust; ma soprattutto Proust servito di continuo, e indicato come la chiave di svolta che rende europea la presenza di Leopardi. Deidier ridimensiona così la presenza di Rimbaud, il poeta Rimbaud, quello dei “bambini acquattati” che “dormono un dolce sonno di candide visioni”; e ridimensiona pure il ruolo di Pascoli. E dire che di quest’ultimo Giuseppe Leonelli, nel suo Commentario penniano. Storia di una poesia (Aragno, 2015), mostrò in mondo limpido l’azione, con una modalità più profonda di quanto sino allora si sia mai sospettato, ridimensionando, a mio avviso, lo stesso Leopardi, in alcuni momenti non dissimile da una memoria scolastica, un repertorio dal quale attingere.
Piccini si pone anche in modo critico innanzi alla scelta filologica, quella che Walter Siti ha definito “il male minore”, nonché sulle “fonti filosofiche”, insistentemente individuate in Nietzsche.
Per quanto riguarda la questione prettamente filologica, e quindi sulla scelta di riconoscere in Poesie 73 il testo di riferimento, Piccini fa subito notare come pure quest’edizione non rappresenti la volontà d’autore dal momento che in essa mancava del tutto “La vita… è ricordarsi di un risveglio”, che pure Penna aveva indicato nelle carte consegnate a Garzanti; carte di cui, come ho fatto notare poco più sopra, non rimane traccia, a differenza del resto del corpus, costringendo Deidier al ‘reintegro’ della poesia, e quindi, di fatto, a un’operazione compiuta da una persona diversa dal poeta. Piccini, inoltre, fa notare anche la “ambivalenza”, quasi psicologica, di Penna nei confronti delle proprie poesie in prossimità della loro pubblicazione; un’ambivalenza che sin dagli esordi lo ha sempre portato a consigliarsi con altri (si pensi al ruolo prima di Saba e Montale, e poi di Solmi per ciò che riguarda l’allestimento di Poesie del 1939), atteggiamento proseguito fino all’ultimo giorno. «Deidier – scrive Piccini – ha imboccato una strada precisa. Ha ripubblicato Poesie, l’antologia garzantiana del 1973, effettivamente pensata e decisa dall’autore (ma con una eccezione [l’assenza della poesia poematica per antonomasia, di cui si è detto sopra]), e per il resto ha cercato di mettere in sequenza, sulla base di date documentate o probabili, tutto il resto della produzione penniana, dal 1922 al 1976, senza tener conto dei contenitori, dei libri storicamente usciti […] il curatore ha preferito la via della sequenza cronologica, che disarticola i libri e lascia fluttuare testi editi in volume, altri solo in rivista o in edizioni d’arte, altri rimasti a lungo inediti [in realtà in tutto sei poesie risultano essere del tutto inedite]». Quindi una “sequenza cronologica”, quella ricostruita da Deidier, non del tutto certa, come, del resto, non è minimamente rispettata da Penna stesso nella sua stessa antologia.
Un contributo ricco, questo firmato da Daniele Piccini; un contributo da leggere per poter, forse, affrontare il volume con lo spirito giusto, ossia quello di chi comunque ricerca la poesia e l’arte di Sandro Penna.
Alla fine Poesie, prose e diari disattende le molte e concedo pure forse troppo alte aspettative di quanti hanno atteso per almeno un paio di decenni un ‘Meridiano’ dedicato all’opera di Sandro Penna, e nel frattempo hanno letto gli splendidi lavori di Dante Isella per le Poesie di Vittorio Sereni, o di Luca Zuliani per L’opera in versi di Giorgio Caproni. Questa nuova edizione delle poesie diventerà sicuramente un testo fondamentale per addentrarsi nell’analisi e nella comprensione dei molteplici aspetti dell’universo penniano, dal momento che ora disponiamo di un unico volume che permette di passare ‘agevolmente’ dai versi alle prose, o dai versi alle pagine di diario, e quindi individuare in non pochi casi le comuni origini e la coerenza tematica; ma il piacere della lettura rimarrà, almeno nel mio caso, consegnato all’edizione Garzanti del 1989, curata da Cesare Garboli..
© Fabio Michieli