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Una frase lunga un libro #71: Nicola Pugliese, Malacqua

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Una frase lunga un libro #71: Nicola Pugliese, Malacqua. Quattro giorni di pioggia nella città di Napoli in attesa che si verifichi un accadimento straordinario, Tullio Pironti, 2013, € 11, 90

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E dopo il pomeriggio e dopo le prime ore della sera, giunse per lui la notte, con strisce d’inchiostro e squarci improvvisi, il vento che tira su via Marittima, ad angolo con Piazza Municipio, ed oltre, ed oltre, fin dentro il porto ed in salita verso la collina. Questo vento freddo che riporta in alto il fuoco dei bracieri, che ricama nell’ombra della strada.

All’elenco dei grandi misteri dell’editoria italiana va aggiunto di diritto Malacqua di Nicola Pugliese. Il libro uscì nel 1977 per Einaudi, dietro spinta di Calvino che intuì la bellezza e la novità della scrittura di Pugliese. La storia dice che il romanzo andò a ruba e si esaurì in poco tempo. Si dice anche che il molto orgoglioso e riservato Pugliese si fece violenza chiedendone a Einaudi la ristampa. Ristampa che non ci fu mai. In tutti questi anni si racconta di ricerche di appassionati tra i librai del centro storico di Napoli, di fotocopie vendute a caro prezzo, di offerte economiche molto elevate per acquistarne una singola copia. Anni di silenzio, fino alla morte di Pugliese (2012). Suo fratello Armando ricevette precise disposizioni dallo scrittore affinché il libro fosse ripubblicato da Tullio Pironti, cosa che è avvenuta tra lo stupore dell’editore e la gioia di molti, nel 2013.

Scrissi questa recensione per Satisfction, proprio nel 2013, la ripubblico oggi, per due motivi. Il primo è ovvio, secondo me di questo romanzo non si parla mai abbastanza, è un libro che per me significa molto, e Nicola Pugliese, il suo autore, una persona che avrei voluto conoscere, farci due chiacchiere, bere un caffè. Non è capitato. Il secondo motivo è che io Nicola Pugliese qualche notte fa l’ho sognato. L’ho sognato proprio come se fossimo dentro Malacqua, perché eravamo a Napoli e pioveva a dirotto, da ore, forse da giorni, fatto sta che io e Pugliese ci trovavamo a via Foria, sotto lo stesso ombrello. Pugliese mi diceva: “Tienilo tu, che sei più alto”. Ma a me non sembrava, infatti ci bagnavamo moltissimo, poi io con gli ombrelli sono imbranato, ma Pugliese questo non poteva saperlo. Pugliese mi diceva: “Mi ricordo tuo nonno, un essere straordinario, una volta che venne a piovere così, mi porto sulla sua bicicletta, mi diede un passaggio. Tuo nonno pedalava velocissimo, sotto la pioggia, io gli dicevo di andare piano, ma lui niente, correva correva. Mi diceva «Nicola, Nicola, nun te preoccupa’, c’avimma leva’ ‘a miezz’ all’acqua», pioveva tantissimo come oggi. Tuo nonno mi diceva che dovevamo andare in tutta fretta all’Ospedale delle bambole che stava crollando”. Gli domandavo: “Signor Pugliese, e poi che succedeva? E mica lo sapevo che conoscevate mio nonno”. “E niente, non arrivavamo in tempo, ma tuo nonno mi regalava una coppola”. A questo punto mi sono svegliato, è solo un sogno, ma il fatto che mio nonno e Nicola Pugliese fossero insieme, mi ha fatto ripensare al libro, ed eccomi qua.

Malacqua è il racconto di quattro giorni ininterrotti di pioggia nella città di Napoli. Quattro giorni in cui l’acqua, il destino, la paura, le congetture, l’attesa per un accadimento straordinario, la morte e le vite si intrecciano e si sospendono nel vuoto. Vuoto sopra il quale Napoli è costruita e si mantiene. A Napoli, però, non può piovere soltanto. L’accadimento, già di per sé straordinario, non basta, a Napoli c’è sempre qualcosa di più. L’attesa atavica della gente per qualcosa che deve arrivare a salvare o a distruggere. Il vuoto, sul quale la città è costruita, è ricoperto da una fitta trama di aspettative e fatalità. Il tessuto è ugualmente ripartito tra miracolo (qualcosa che venga a salvare) e distruzione (un vulcano che erutti, una guerra, un terremoto). L’acqua che scende ininterrottamente diventa per forza di cose, quasi per necessità, un presagio. La scrittura di Pugliese, è stata inserita “nel solco della grande letteratura del Novecento”, accostata a Kafka, a Joyce, a Garcia Marquez, a Gadda. Paragoni che fanno paura ma che non sono fuori luogo. Il romanzo di Pugliese è davvero notevole.

Come si fa, infine, a raccontare l’ansia che si arrampica deforme, e rantola, e geme, e questa voce che naviga e vola e percorre l’asfalto: sulle mani adesso è scesa a premere la provvisorietà di un sinistro presagio inconcludente che non si spezza nel fulmine improvviso, che non si spezza, e che trascina tuttavia decorazioni rutilanti giù nel liquame dell’ansia. Si continua adesso, si continua, a disegnare assensi sulla vergogna, sulla paura incerta.

Segnò all’epoca una “rottura” con tutto ciò che aveva rappresentato Napoli, ma allo stesso tempo ne seppe cogliere tutte le sfumature.  Se si vuol giocare al gioco degli accostamenti, potremmo mettere Malacqua molto vicino a Le intermittenze della morte,  e quindi Pugliese accanto a Saramago. Molto simili, infatti, sono le costruzioni dei periodi. Quelle fantastiche catene di frasi incidentali tipiche di Saramago, che così bene si intersecano al senso primario del discorso e allo stesso tempo evocano, ritmano e inseriscono altro, si ritrovano nella scrittura di Pugliese (nota: se il libro di Pugliese avesse avuto altra sorte, avremmo fatto il paragone al contrario: «Però, la scrittura di Saramago in certi punti mi ricorda Pugliese») ed è quello uno dei grandi elementi di novità. L’altro aspetto molto interessante è quello della dislocazione dei personaggi e degli stati d’animo, durante l’arco delle quattro giornate di pioggia. Nel primo giorno troviamo lo stupore e le maledizioni per la pioggia, per i danni e per i morti, c’è questo accenno al mistero, all’accadimento straordinario. Nel secondo giorno, sotto la pioggia incessante, si tirano le somme, si fanno congetture, si rafforzano le preoccupazioni, si trovano le bambole. I personaggi vengono sempre indicati prima per cognome e poi per nome, particolare divertente ma che in realtà manifesta la volontà dell’autore di mantenere un certo distacco. I personaggi contano ma non sono i veri protagonisti. La star è Napoli dall’inizio alla fine. Bellissime sono le pagine che, tra il terzo e il quarto giorno di pioggia, tratteggiano le vite di alcuni cittadini, di come queste nella loro normalità o eccezionalità, si intersecano all’acqua che scende e all’attesa. Vite che non si conoscono ma, inevitabilmente, legate. Pugliese, che era nato a Milano, sapeva Napoli meglio di altri, conosceva il vuoto sulla quale si regge, l’aveva capito da subito. Il fatto che questo romanzo circoli di nuovo è, per restare in tema, una specie di miracolo. Sarebbe bello che si scatenasse un passaparola incessante proprio come la pioggia del racconto.

Il passaparola c’è stato, il romanzo è stato letto, spero che circoli per sempre, che molti ancora lo leggano, che si innamorino di questa Napoli grigia e misteriosa, che sentano l’inconfondibile musica che nasce dalla prosa di Pugliese, e che è fatta di rumore di passi, di suoni vuoti, di crepitii, voci notturne, voci che non esistono. Una musica fatta di poche parole, di sguardi. Una musica che corre e rimbalza dentro le voragini. Una musica che è essa stessa Napoli.

Fu appunto in quel terzo giorno di pioggia, il 25 di ottobre, che le monetine da cinque lire presero a suonare.

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© Gianni Montieri

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Nota: Una prima versione di questa recensione, senza il sogno, uscì in Satisfiction (grazie a Paolo Melissi)

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