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Festlet! #1: CORPO

Foto G.A.
Foto G.A.

Quando Giovanni Bietti ha introdotto l’Orchestra da Camera di Mantova, che al Duomo ha regalato un anticipo di Festlet eseguendo per noi fortunati la Settima di Beethoven, ha speso due parole esatte e felici per raccontare la celebre Sinfonia. Ha ricordato di come Wagner la definì “apoteosi della danza”, quindi di quel movimento che richiede sfrenatezza e controllo, e di come la metrica che ne è alla base sia strettamente intrecciata con i ritmi e le cadenze della letteratura: dattilo e spondeo, dattilo e spondeo sono il basso ostinato del famoso Allegretto, eseguito dagli adulti e giovanissimi dell’orchestra con una pulizia melodica che ha commosso gli spettatori assiepati sulle panche, seduti con la schiena contro le colonne, in piedi a naso teso per scattare una fotografia e cercare di captare il movimento dei violoncelli. Così è cominciato, quest’anno, il Festivaletteratura di Mantova, prima ancora del consueto brindisi inaugurale. E Bietti ha ricordato, a tutti noi singoli arrivati a fare comunità con le nostre orecchie per dare il benvenuto al ventesimo Festlet, che lo spirito della Settima nel suo rincorrersi di linee è proprio il confronto costruttivo tra la voce sola e il tutto.
Un concerto dal vivo, quindi, come corpi veri sono tutti gli ospiti del Festlet, evento dove accade questo gioiosissimo momento dell’essere in carne e ossa di nomi che figurano sulle costole dei nostri libri, sulle pagine dei nostri giornali, nei nostri televisori. Non mi stancherò mai di dire che la vera bellezza del Festival è questo essere tutti racchiusi in uno spazio di piazze e vie e redazioni, tanto da non riuscire spesso a distinguere dove finisca un evento e dove inizi la chiacchiera all’angolo di una chiesa, dietro un bar. Ed è una grazia tanto naturale da passare a volte inosservata, se dall’altro lato Corrado Augias ci chiedeva perché continuassimo a guardare nello schermo che lo riprendeva se lui era lì che parlava davanti a noi.
Del corpo ha parlato Patrizia Cavalli, che ultimamente ha raccolto per nottetempo (Shakespeare in scena, 2016) quattro sue traduzioni di Shakespeare lontane nella genesi: La Tempesta, Sogno di una notte d’estate, Otello, La dodicesima notte. Traduzioni che a loro tempo erano state commissionate per il teatro, e questo è un discrimine fondamentale: «Tradurre senza teatro è avere davanti un testo» dice la poetessa e traduttrice, «ma tradurre per il teatro è avere davanti il teatro. Hai nell’immaginazione le persone con i loro volti e i loro gesti, conosci i loro corpi che reciteranno, e assieme devi rendere i movimenti che sono interni al testo.» La sua lettura di alcuni brani dell’Otello e, soprattutto, la scena della recita in Sogno di una notte d’estate hanno rimarcato la delicatezza lirica di queste traduzioni, che associano una grande fluidità a un’estrema facilità di seguire il discorso.
Poi ci sono stati corpi che ci hanno fatto sentire piccolissimi.
Seguendo la Lavagna di Piazza Mantegna (le lezioni serali di fisici, astrofisici, musicisti e altri esperti) ho scoperto che mentre mi muovo sposto onde gravitazionali che si propagano nell’universo. Ora stesso che pedalo in sella a Geraldine (questo il nome della mia nuova bicicletta) per colpa mia un po’ vi state spostando anche voi, anche se non ve ne accorgete. È che le onde sono deboli, e il come e il perché lo ha spiegato Alberto Vecchio, fisico e membro del progetto LIGO. Vecchio cerca segnali dall’universo per studiarne la fisica, e nell’autunno 2015 lui e il suo gruppo ricevono, sugli specchi gemelli che fanno da ricettori alle onde dell’universo, l’onda GW150914. Alle 11:50 e 45 secondi del 14/09/2015 arriva il segnale della collisione avvenuta tra due buchi neri di 30 masse solari che danzavano l’uno attorno all’altro a metà della velocità della luce; l’onda raggiunge un’ampiezza di zero virgola altri-venti-zero quattro metri; la straordinaria quantità di energia sposta gli strumenti di misurazione di meno di un millesimo di protone.
Spero che tutti gli appunti che ho preso, nonostante fossi a bocca aperta, siano corretti. Quello che è certo è che ci abbiamo messo un soffio, nella linea del tempo, a pensare un buco nero e a sapere finalmente che era lì. Questa è la mia idea preferita di legame tra mente e corpo.

© Giovanna Amato


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