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Fabio Franzin Sesti/Gesti

franzin

Fabio Franzin, Sesti/Gesti, puntoacapo editrice, 2015, € 16,00

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Le poesie di Fabio Franzin arrivano da molte direzioni, da tutte le direzioni azzarderei. Fanno il giro lungo, fanno il giro breve, ti scavano un solco intorno, ti risucchiano e poi ti riportano indietro, sporco di terra, pieno di qualcosa, qualcosa che ti resterà addosso, dentro, qualcosa che è come quando si comprende, come quando si trova conforto, come quando qualcuno ti abbraccia, ti mette una mano sulla spalla, ti asciuga le lacrime. Queste cose possono farle le parole, le parole pensate, messe in fila assecondando il senso e il suono, a maggior ragione sanno farlo quei versi che sono scritti in una lingua ‘altra’, nel caso di Fabio Franzin nel dialetto Veneto-Trevigiano dell’Opitergino-Mottense. Un dialetto che si parla in un territorio piccolo, cito Franzin: “[…] si individua geograficamente nella zona compresa fra i comuni di Oderzo […] e Motta di Livenza e si estende fra le acque dei fiumi di Livenza e Monticano, nel Trevigiano su-orientale”. Continua, poi, Franzin, poco a nord-est con la provincia di Pordenone e a est con quella di Venezia. Mi interessa una contraddizione, ho scritto piccolo, parliamo di un territorio non molto esteso. Eppure quelle terre così a est, così vicine ai confini sono letteralmente e letterariamente senza fine. Credo che nessun dialetto, pur radicato e parlato in un determinato luogo, possa essere limitato a quel luogo. Ce lo dicono anche i fiumi che Franzin cita, i fiumi allargano il campo, portano via tutto e portano via le parole, così come i detriti che si accumulano sulle sponde, come i rami trascinati a valle, le poesie di Fabio Frazin ci arrivano, non c’è modo di impedirlo, chi si nasconde dietro la difficoltà di non conoscere quel dialetto non ha mai letto Franzin, non l’ha mai ascoltato mentre legge i suoi testi. Il dialetto parte già con un carico di storia e con quel carico sulle spalle il poeta scrive i suoi versi, da sempre, fino a questi di Sesti/Gesti.

Un paio di settimane fa per la nostra rubrica Poeti della domenica ho scelto una poesia da Sesti/Gesti, scelta non casuale:

Cavàr erba

Cavàrla via l’erba, co’e man,
bricàrlo tut intièro ‘l ciuff, l’é
vardàrse, l’é trar fòra daa tèra

vene e nervi, rame de siénzhi
sutii che core zo, là tel scuro,
in zherca de l’acqua, dea vose

che li ‘à persi, un dì, drio l’aria.
Cavàr erba, cuzhàdhi, l’é mistièr
che ne mostra come che sen fati

dentro, fra ‘e zhope dea carne.
I dhenòci che se maca tii sassi:
un fià castigo, un fià preghiera.

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Estirpare: Estirpare erba, con le mani, /  afferrarlo tutto intiero il cespo, è / guardarsi, è estrarre dalla terra // vene e nervi, esili ramificazioni / di silenzi penetrati lì, nell’oscurità, /  in cerca dell’acqua, della voce // che li ha persi, un giorno, lungo l’aria. / Estirpare erba, accucciati, è mestiere / che ci mostra come siamo fatti // dentro, fra le zolle della carne. /  Le ginocchia ammaccate dai sassi: / un po’ espiazione, un po’ preghiera.

Ritengo questo testo fondamentale nel ricchissimo libro di Fabio Franzin, ma mi viene da dire anche nella sua intera opera. Basta leggerla attentamente, pensate solo alla prima strofa, c’è tutto. Estirpare l’erba, con le mani, il gesto, afferrarlo tutto il ciuffo d’erba, la decisione, la forza, la comunione con la terra, è guardarsi, eccoci, quel guardarsi è quello che Franzin ci racconta, stare così a contatto con la terra attraverso un gesto semplice ma profondo, significa guardare se stessi, significa capirsi, ma noi cosa vediamo? Noi vediamo (guardiamo) quello che Franzin è, quello che la sua poesia è. La strofa dopo chiarisce che questo è anche il metodo, la ricerca dell’acqua e poi della voce. Quasi una dichiarazione di poetica. E allora scrivere, scrivere così profondamente è, per forza, espiazione e preghiera. Io aggiungo che è speranza. In Sesti/Gesti sono presenti tutti i temi cari a Franzin: la terra, come già detto, i valori, gli affetti, la perdita, il dolore, le radici, la dignità, il lavoro, la resistenza; ma non sono questi temi che dovrebbero essere cari a tutti noi? Se passeggiamo nella periferia di una grande città, di fianco a vecchi capannoni industriali, non dovremmo ritrovarci nella stessa sensazione di chi estirpa il ciuffo d’erba? Non dovrebbero quelle lamiere e la storia che rappresentano essere per noi un po’ espiazione e un po’ preghiera? Forse sì. Mi pare che Franzin ci ricordi l’importanza delle origini, della memoria, di come un gesto,  che sia una carezza, un abbraccio, due braccia che affondano una vanga nel terreno, un operaio che si infila il casco e poi lo toglie, il movimento di un padre che va incontro al figlio, è tutto ciò che conta, se comprendiamo questo forse comprendiamo tutto, forse smettiamo di perderci. Le poesie raccolte in Sesti/Gesti sono tra le più belle che io abbia letto negli ultimi anni.

© Gianni Montieri su Twitter @giannimontieri

altre due poesie da Sesti/Gesti

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Paura, cavéi
(Otobre 2013)

Stanòt el mé fioét l’à paura.
I ‘o ‘à portà in gita al Vajont,
daa diga, tii posti dea straje.
No’ l’è pì bon de ciapàr sòno,
inpressionà da l’aqua che se fa
scura cascata, da tuti chii morti
sepoìdhi tel paltàn. Cussì son
qua co’ lù, tel só letìn (in càibrio
anca mì, a franàr un tòc al dì,
come chel monte, sora i parché
de ‘sta vita senpre pì dura e scura,
nassù l’istesso àno de chel splonf,
po’), qua che ghe parle dee stée,
lo ‘carezhe, ghe sgarùfe i cavéi
e po’, co’ i déi verti, ghii pètene
indrìo, daa front fin al grun dei só
pensieri. E petenàndo i sui, mori,
lissii, longhi co’fà i mii, co‘ncora
li ‘vée, da tosàt, me perde via, fra
‘dèss e ‘l passà, ciape sòno anca mì.

Paura, capelli (Ottobre 2013): Stanotte il mio figlioletto ha paura. / L’hanno portato in gita al Vajont, / dalla diga, nei luoghi della strage. / Non è più capace di prendere sonno, / impressionato dall’acqua che diventa / buia cascata, da tutti quei morti / seppelliti nel fango. Così sono / qui con lui, nel suo lettino (in equilibrio / anch’io, a franare un pezzo al giorno, / come il monte Toc, sopra i dubbi / di questa vita sempre più dura e scura, / nato lo stesso anno di quello splonf, / poi), qui che gli parlo delle stelle, / lo accarezzo, gli scompiglio i capelli / e poi, con le dita aperte, glieli pettino / all’indietro, dalla fronte sino al groviglio dei suoi / pensieri. E pettinando i suoi, mori, / lisci e lunghi come i miei, prima / della calvizie, da ragazzo, mi perdo via, fra / questo attimo e il passato, e mi addormento anch’io.

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Un lento sgnutaràr

‘A canotiera bianca, i brazhi
fondi te l’acqua, ‘a testa bassa.
Incùo mé pare el torna qua
de spàe, nissùna paròea.
Sol un lento sguataràr come
de pessi che vièn su dal tórbio,
tea caldana, ‘na istà lontana.

Un lento ciangottio: La canottiera bianca, le braccia / dentro l’acqua, il capo chino. / Oggi mio padre ritorna / di spalle, nessuno specchio sopra / il lavabo, nessuna parola. / Solo un lento ciangottio come / di pesci che emergono dalla fanghiglia / della caldana, un’estate lontana.

 

6 risposte a “Fabio Franzin Sesti/Gesti”


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