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Una frase lunga un libro #35: Luciano Funetta, Dalle rovine

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Una frase lunga un libro #35: Luciano Funetta, Dalle rovine, Tunué, 2015, € 9,90

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Quando Rivera se ne andò, nessuno lo vide a parte noi. Lo guardammo mentre si allontanava e scompariva tra gli alberi, lo osservammo inoltrarsi nella prigione di rami, dentro la vegetazione dove ad aspettarlo erano in due, in tre o in venti, anche se in realtà lo aspettava una persona sola. Quando Rivera uscì dal suo nascondiglio, noi eravamo pietrificati dalla paura e dalla stanchezza. Rivera invece non tremava. Sapevamo che sarebbe entrato nella foresta che divorava la casa e che qualcuno lo stava aspettando nel buio. Nessuno sa cosa successe dopo a Rivera, tranne noi.

Questo romanzo comincia così, ma non è del tutto vero. Quello che è vero è che questo brano è posto all’inizio del romanzo, ma potrebbe esserne il finale, potrebbe essere parte di un sogno che uno dei protagonisti fa nella parte centrale, potrebbe non verificarsi mai, potrebbe essere soltanto un’immagine in dissolvenza o un simbolo. Simbolo che potrebbe significare che questo Rivera, di cui non sappiamo ancora nulla, metaforicamente sparisca o si perda, metaforicamente si ritrovi. Dalle rovine, romanzo di Luciano Funetta, che esce domani per Tunué, può darsi che sia un libro in cui la gente si smarrisca fino a dissolversi o a distruggersi, ma andiamo per ordine.

Rivera dunque, è lui il protagonista, lo sappiamo dal primo capitolo. Rivera è un uomo solo e solitario, uomo che ha scelto entrambe le cose. Un giorno ha scelto tra la moglie, il figlio e i serpenti che alleva. Ha scelto i serpenti. Tra il lavoro di giornalista e restare in  casa con i suoi serpenti. Ha scelto i serpenti. Può permettersi di non lavorare, di lavarsi e alzarsi quando vuole, può fare a meno di tutto, eccetto dei serpenti. Rivera ha cominciato ad allevarli quindici anni prima, serpenti velenosi di diverse specie, alcuni di facile reperimento, altri meno, serpenti che nutre, che coccola, che usa. Serpenti dai quali ricava piacere, forse riceve amore. Rivera è un uomo che da subito appare inquietante ma non inquieto, non è terribile ma al terribile è pronto, è destinato.

Funetta chiarisce dalle prime pagine, attraverso la sua prosa diretta e molto efficace, che quello che andremo a leggere non sarà un libro facile né sarà banale. Rivera con i suoi serpenti incrocerà il mondo del porno, quello che contiene tutto, l’erotismo raffinato e il porno da scantinato, da vecchi cinema semideserti e sale da proiezione private. Il mondo del porno che è fatto di tanti mondi, di grandi produttori, di personaggi inquietanti e sfuggenti. Il mondo del porno che contiene storie e desolazioni che vengono da lontano. Ciò che procura piacere a tanti può derivare da sofferenze lontane, da atrocità, da luoghi in cui il vero e il finto sono destinati a sovrapporsi, per forza di cosa a confondersi.

La storia è ambientata tra Fortezza, una stranissima città, che sembra arrivare da tanti luoghi messi insieme, una città dall’aria sudamericana, ma che è in Italia, e Barcellona, ma rimanda a un passato duro, angosciante, fatti accaduti tra l’Europa dell’Est e Buenos Aires, la Buenos Aires degli anni settanta, quella della dittatura, delle torture. Un uomo argentino, appunto, tormentato, enigmatico, spaventoso aprirà la botola che porta all’orrore, Rivera si muoverà in questi luoghi che non esistono come un’anima in pena, sarà attratto da qualcosa che sa di non poter controllare.

Per dirla col giovane Holden, Dalle rovine è un libro che lascia secchi, non c’è scampo. Leggiamo una storia che apre a molte domande, attualissime, alle quali non possiamo sottrarci ma nemmeno rispondere. I protagonisti di questo romanzo – tutti – potrebbero venire da un altro mondo, potrebbero essere tutti morti, ma nemmeno ci stupirebbe se uno di loro fosse il nostro vicino di casa. Cosa attrae nella violenza? Perché alcune persone hanno bisogno di provare dolore? Perché c’è chi ha bisogno di sparire fino alla distruzione? Qual è la soglia del piacere? Perché quello che è piacere per qualcuno è una tortura per un altro? L’innocente è il serpente, il narratore di questa storia, la voce fuori campo è lo spettatore unico, non pagante, perché non c’è un prezzo che si possa sostenere, a meno che non vi chiamiate Rivera.

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