Domanda e risposta: due entità complementari, eppure l’una genera l’altra, in un interscambio potenzialmente infinito, mai esausto, mai uguale a se stesso. La sintesi dell’incontro, il binomio preferito della conoscenza. E della curiosità.
“Intervista” è solo il nome che ne racchiude l’atto e l’intenzione ma, in questa rubrica, protagonista sarà il dialogo – l’incontro – lo scambio.
Esseri umani che hanno una visione e che si sono imbattuti nel proprio labirinto personale. Perdersi significa anche attraversarlo. E magari raccontarlo.
Creatività, arte, progetti, riflessioni, esperienze e uno sguardo rivolto al futuro, in quell’orizzonte magnetico che è la parola.
Giulia Bocchio
L’amore è un atto senza importanza (66thand2nd) è il romanzo d’esordio di Lavinia Mannelli.
E dentro c’è uno spaccato dei nostri tempi, specie per chi come noi è nato negli anni Novanta ed è stato bambino o bambina in una terra di mezzo, fra la crisi economica e l’avvento inarrestabile dei social media e delle avanguardie tech.
Questi tempi, però, hanno la loro Pizia e i loro oracoli, tipo Maria De Filippi e i fedeli Gianni & Tina. Perché lamentarsi? Ci pensano gli opinionisti, in questo casino politico e sociale, a spiegarci cos’è l’amore, cosa significano certi segnali da parte della persona che ci piace. Sociologia e antropologia le trovi in diretta, siamo tutti osservatori grazie al GF Vip adesso: Kurt Lewin non ci era mica arrivato.
Come in tutte le epoche c’è chi si ribella al Trono e ai salotti: in questo romanzo ci sono Giulia e Guido, una coppia che annaspa, c’è anche David, un artista che l’arte la subisce. Loro non hanno tempo per Barbara D’Urso, ma non possono raccontarlo, perché è il punto di vista di lei, Tamara, la femme fatale, la bambola del sesso, a restituire di loro un’immagine che è il frutto dell’abbandono su un divano. Lì, fra disordine e cuscini, costantemente illuminata dallo schermo del televisore sempre acceso e sintonizzato su Mediaset, la RealDoll memorizza informazioni e costruisce un immaginario plasmato sui reality e su quei programmi trash che diciamo di non guardare, ma che tutti, in fondo, conosciamo bene…
Giulia Bocchio: Lavinia, bentrovata. Devo dire la verità: ho empatizzato molto con Tamara, questa bambola del sesso in balìa di una moderna Maria la cui religione è l’amore, sì, ma a portata di telecamera. Tamara è ingenua, direi quasi primitiva, le manca la sottigliezza del senso critico e questo la immerge in un immaginario che è il degno foie gras di quello che rappresenta una certa televisione. Come nasce il suo personaggio?
Lavinia Mannelli: Ciao Giulia, grazie dell’invito prima di tutto.
Sono felice che ti sia immedesimata molto in Tamara: devo dire che è successo a tante persone, anche a quelle che per molti versi non hanno niente della bambola del sesso o di una spettatrice media di Maria de Filippi (io per prima). Questo penso che derivi dalla sua costitutiva profonda ambiguità. Tamara è una RealDoll: una bambola a grandezza naturale, iperrealistica, modellata in siliconi ipoallergenici. Può pure parlare, ma la sua principale attrattiva resta il suo corpo: è perfetto, morbido, si riscalda al tatto, e dovrebbe essere concesso in qualunque forma in qualsiasi momento a chiunque lo desideri. È una merce, cioè, nata per rispondere a un
bisogno, e soddisfarlo dovrebbe essere il suo unico obiettivo.
Però, Tamara è anche una merce in un certo senso difettosa. Come dicevi tu, è ingenua, e in questa sua paradossale ingenuità riesce a sottrarsi in qualche modo alla logica del mercato. Il suo punto di vista sul mondo, che il romanzo assume per la maggior parte del tempo, è infantile, incerto. Il suo immaginario si riprogramma continuamente proprio come un software elementare che debba fare diversi aggiornamenti prima di poter essere avviato, ma si potrebbe dire che tentenna, si approssima a un grado di verità, che poi rifiuta e riformula, proprio come è avvenuto da piccoli e come continua ad avvenire a ciascuno di noi di fronte alla progressiva e infinita scoperta di noi stessi e del mondo circostante: per questo motivo L’amore è un atto senza importanza è anche un romanzo di formazione.
Quando il libro è stato segnalato sul canale social di SkyTg24, per riportarne brevemente la trama è stato scritto che Tamara è una bambola del senso. Certo, è un lapsus, ma come ogni lapsus nasconde una piccola verità: Tamara è un’interprete del mondo, o almeno ci prova. Non è facile con quei due che l’hanno comprata, Giulia e Guido, e che ora la ignorano.
Tu poi parlavi di foie gras (che è un’immagine di cui ti ringrazio e che, da sola, non sarei stata capace di evocare). Tamara, in effetti, è un’anatra all’ingrasso, ingozzata di Canale Cinque da una parte e di slogan femministi, citazioni da Mark Fisher dall’altra. Cosa vogliamo che capisca di se stessa, della vita, dell’amore, con una simile alimentazione forzata? Quello che ne esce è, sì, una sorta di foie gras: annacquato rispetto a quello che ci aspetteremmo da una bambola del sesso che funziona perfettamente, forse, e per questo, forse, più delicato e gustoso. La cosa curiosa è che, da questo punto di vista, Tamara è proprio come noi, quando guardiamo la tv o leggiamo un libro e non sappiamo distinguere bene tra realtà e finzione.
G.B.: Se in qualche modo il palinsesto Mediaset è un persuasore non troppo occulto, che ha tratteggiato e tratteggia l’estetica stessa di una generazione, ci sono poi Giulia e Guido, una coppia che oscilla: non ascoltano i consigli di Gianni e Tina, non seguono il GF Vip, annaspano nella quotidianità complicata che è Milano (che noi giovani ben conosciamo) e litigano parecchio. Anche loro, come la tv e i social, sono uno specchio dei tempi? Una sorta di metafora del presente?
L.M.: A BookPride, a Milano, dopo una delle primissime presentazioni del libro, ho firmato una copia a una ragazza molto gentile, che è venuta da me e mi ha detto: “Sai, io mi chiamo Giulia”. Io avevo già iniziato a scrivere sulla prima pagina bianca: “A Giulia, …”, provando a inventarmi qualcosa di carino da lasciarle come ricordo, quando lei, tutta contenta, mi fa: “E il mio fidanzato si chiama Guido”. Ridiamo insieme di questa bella coincidenza e poi aggiunge: “Magari prendo spunto dal tuo libro!”.
“Mmmm, prima leggilo, dai”, le ho detto scherzando – ma non troppo. Giulia e Guido sono (come me) due tipici rappresentanti giovani di una classe borghese, intellettuale e talvolta persino intellettualistica che la sera, quando torna da lavoro, legge libri impegnati, guarda film in bianco e nero collegando pc sgangherati allo schermo della televisione, adora i libri e le pellicole dalla trama sfilacciata e non esita a definire quella di Mediaset “tv spazzatura”. Come per una sorta di scherzo del destino, però, la loro televisione funziona solo su Canale Cinque. E gli unici occhi che li descrivono sono proprio quelli di Tamara.
Questa condizione è forse il loro incubo più grande: qualcosa che Giulia e Guido hanno in un modo o nell’altro desiderato ma con cui non hanno mai il coraggio di fare davvero i conti, se non in una maniera spostata e con la paura di esserne assediati. E Tamara è anche l’unico punto di vista da cui possono essere raccontati…
G.B.: Parliamo di sesso: Tamara è un regalo che Giulia fa a Guido. La prima reazione è una risata, poi una certa latenza di sguardi, tocchi e parole. La bambola sexy – soprattutto più sexy di Giulia – però, sorprendentemente, ricerca amore, attenzioni, banalità e pace perpetua nella coppia. Eppure, anche con Tamara vicino, quanto sono complicate le relazioni umane…
L.M.: Sono molto complicate! Sono però anche indispensabili, così com’è indispensabile Tamara e qualsiasi altro elemento di terzietà in una coppia. René Girard, analizzando le relazioni tra i personaggi dei romanzi di Dostoevskij o, per esempio, ciò che sta alla base del Don Chisciotte, parlava del carattere mimetico del desiderio. Quando amiamo qualcuno, o quando lo odiamo, il nostro sentimento è sempre influenzato da un elemento terzo, che lo modella o addirittura lo motiva. Questo aspetto è mostrato molto bene secondo me da un bel podcast di Paola Moretti per Emons Record, che si chiama Terzo Incomodo e parla dei più famosi triangoli amorosi nella storia della letteratura.
In questo senso Tamara è l’oggetto che incarna le istanze contraddittorie e mediate del desiderio mimetico di Giulia e di Guido: vale a dire, anche del desiderio tra Giulia e Guido. Prima di incontrare Tamara, per loro l’amore è più che altro il rimprovero che lo può incorniciare: come dei veri nevrotici, trasformano il piacere in un dovere, come un conto da regolare possibilmente in maniera degradata (cioè umiliandosi). Quando Tamara arriva nelle loro vite, invece, entrambi iniziano a delegare a lei, a questa macchina del piacere, l’incombenza di amare. Non proprio una scelta sana, ma già l’inizio di qualcosa. Tamara è l’oggetto che Giulia regala a Guido per festeggiare il loro anniversario di fidanzamento, ma è anche il loro cavallo di Troia.
Che tipo di regalo è, infatti? Forse uno scherzo, o forse, ancora meglio, è un regalo sadomasochistico: una sorta di ricatto. Forse l’unico modo che Giulia, o, meglio, il suo inconscio, ha trovato per tirarsi fuori da una situazione di infelicità.
G.B.: E poi c’è la performance, non quella di Tamara, ma quella che fa dell’arte contemporanea un urlo del corpo, del limite. L’arte, quella autentica, non ti permette di sopravvivere, ma ti dà un sacco di ispirazione per provare a essere ricordato o ricordata. David, in fondo, è il personaggio più tragico all’interno del tuo romanzo…
L.M.: Presentando il mio libro a Pistoia, la mia città d’origine, nella bella libreria indipendente Lo Spazio, Matteo Moca ha notato che nel romanzo tutti i personaggi sono anche, tra le altre cose, la metafora di un rapporto problematico con la creazione artistica: che si tratti di un’opera a tutti gli effetti, figurativa come nel caso di Guido, o performativa come nel caso di David, o di arredare una stanza, ricostruire da zero un ambiente con il software di progettazione dell’Ikea, come nel caso di Giulia, l’atto di creare è descritto come una velleità. Un desiderio (ancora) che difficilmente troverà una forma soddisfacente o priva di conseguenze dolorose.
Per questo sì, sono assolutamente d’accordo: David è il personaggio più tragico, perché è quello che avrebbe più possibilità di salvarsi e invece non ci riesce. Perché non pensa di meritarselo, forse, per altri casini che ha combinato con la madre, o perché pensa che la vera arte coincida con un qualche grado di autofustigazione.
Ciò che muove e che blocca David è, credo, una forma parossistica di narcisismo. O l’atroce consapevolezza che l’arte, da sola, se non vuole essere consolatoria, non può bastare.
G.B.: La tecnologia come prolungamento del nostro corpo è già realtà e questa influenza velocemente le nostre percezioni, i nostri gusti, i nostri canoni: come ti immagini l’umanità del futuro?
L.M.: Ho scritto la prima stesura di questo romanzo nell’ormai lontano 2018. Ancora non si parlava così tanto di AI. A ChatGPT non riuscivamo a pensare davvero come a una possibilità concreta nemmeno quando ho saputo che il libro sarebbe stato pubblicato da 66thand2nd (grazie all’interessamento di Elisa Cuter prima e, poi, e subito, di Alessandro Gazoia e Isabella Ferretti: li ringrazio di cuore ancora, anche qui).
Del resto, Tamara non è che una forma primitiva di entrambe le cose. Nel frattempo avevo vinto un dottorato di ricerca all’Università di Siena, in Letterature moderne. Sono entrata con un progetto sull’influenza di Dostoevskij nell’opera di Pasolini, Moravia e Morante, ed era (ed è tuttora) un argomento che mi affascina moltissimo, ma dopo pochi mesi ho sentito che avevo bisogno di dedicarmi anche ad altro: in questo senso devo tanto alla mia tutor, la prof.ssa Daniela Brogi, che mi ha spronata verso un tema che stavo timidamente iniziando a studiare in piena e caotica autonomia, ma che, a quanto pare, mi parlava più di quanto non sapessi ammettere. Così ho iniziato a studiare i personaggi di donne-macchina nel cinema e nella letteratura italiana del Novecento. Ce ne sono molti e la loro presenza dialoga profondamente con l’assenza o con l’arrivo delle donne nel discorso pubblico, nella Storia. Questo per dire che, anche se/proprio perché studio la correlazione tra corpo umano femminile in particolare e tecnologia, credo che serva prudenza da una parte e intelligenza dall’altra. Non so davvero dire cosa ci accadrà, ma per il momento non temo nessuna conquista del mondo da parte degli androidi o delle intelligenze artificiali né, d’altra parte, ho paura dell’intrusione del tecnologico nei nostri corpi: siamo noi, giorno dopo giorno, a decidere il discrimine tra naturale e artificiale.
Non vedo fratture. E poi sarebbe bella una società in cui Tamara possa essere la compagna di solitudine di un anziano e trovare finalmente ciò di cui lei, di cui tutti noi abbiamo bisogno: per dirla con parole banali, un po’ d’amore. Che poi, forse, quello su cui dovremmo interrogarci quando pensiamo alla società, all’uomo e alla donna del futuro, non è tanto legato ai mezzi che avremo a disposizione quanto a come li useremo e per quali desideri.
Infinite quest by Giulia Bocchio