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Con il lapis #8: Maria Grazia Palazzo, Toto corde

Con il lapis #8*
Maria Grazia Palazzo, Toto corde
Prefazione di Rita Pacilio
La Vita Felice 2020

 

*Con il lapis raccoglie brevi annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura dell’intera raccolta a partire da un componimento individuato come particolarmente significativo.

 

 

Bisogna ripartire
da un caffè settimanale,
e rifiorire in azioni prêt-à-porter
tra sfide quotidiane uscire dal letargo
di mondo, tenendo stretto almeno
un bandolo di aggrovigliata materia.
Ad ogni costo l’animale sociale dovrà
spaziare tra il serio e il faceto, intorno alla curva
del desiderio e discendere nell’infero quotidiano.

Essere sé non chiede un colpo di genio
ma l’imperfetto esistere comunicante
in vasi rotti di Pandora e spellarsi
e raccogliere cocci fin dentro
l’utopia di sogni plananti.
Questo si chiede,
procedere verso
una semplice destinazione,
rivelazione di viaggio
di coscienza universale

(p. 35)

 

Leggere, ascoltare, scrutare, esplorare Toto corde di Maria Grazia Palazzo richiede immersione, adesione, perlustrazione con tutto il cuore, sì, e anche con tutti i sensi e con le “braci della memoria” (richiamo qui intenzionalmente un’espressione del dichiaratamente ‘mediterraneo’ scrittore e poeta Jean-Claude Izzo) roventi.
Sensi desti e memoria ardente: nella Nota dell’autrice, Palazzo indica nell’amore e nella memoria il nutrimento, la sostanza primigenia di questa raccolta. Con un’avvertenza, tuttavia, che si coglie nel corpo dei testi: amore non è sentimentalismo, amore è «dimenticare ogni bruttura/ a braccia aperte» (p. 32), amore è memoria di morte, in un Sud (che è Mediterraneo, è Magna Grecia, è ricordo – passaggio del testimone – della poesia di Vittorio Bodini e della prosa di Mariateresa Di Lascia) che pratica, come condanna e costante, «l’oblio della morte»).
È acuta «coscienza universale» di un lutto che si rinnova – «Tutto è compiuto» (p. 64) riecheggia dal Golgota alla terra nostra devastata da noi umani – e che in molti negano, nonostante sia «un lutto quotidiano» (p. 14), un «lutto già vissuto». È coscienza, altresì, di una «Guernica incompresa», è aperta dichiarazione che quelli contemporanei siano «perversi giorni di Guernica», una Guernica che assume i colori dell’azzurro e del celeste, là, su un soleggiato terrazzo di «piante/ con spine: agave, aloe, cactus, opuntia fico» (p. 23).
Sensi desti, totalità di cuore e corde, coscienza acuta di ciò che si manifesta nel tempo e di ciò che quel tempo vuole contemporaneamente abbracciare e trascendere: tutto questo non può non discernere tra «parole addestrate per riempire/ il niente» e una «lingua madre/ cucina naturale di salsedine e sale», tra una «lingua invertebrata» che «nutre il fervore populista» e lo smascheramento delle parole d’ordine e delle campagne di distrazione manovrate ad arte per suscitare artificiosamente illusioni di autonomia e libertà: «Nulla di nuovo per riscuotere consenso» (p. 62) .
La via additata è, al contrario, quella semplice e impervia, chiara e aguzza, indicata nei versi riportati dalla p. 35 della raccolta: occorre attraversare le utopie di «sogni plananti» e correre il rischio di ferirsi, di lacerarsi la pelle con i cocci dei «vasi rotti di Pandora», procedere verso una meta che è non soltanto coscienza universale, ma dinamica e illuminante «rivelazione di viaggio».

© Anna Maria Curci

 


Maria Grazia Palazzo è nata nel 1968 a Martina Franca (TA), vive a Monopoli (BA) dal 2006, dove si sono rotte le acque della poesia. Ha esercitato la professione di avvocato, per oltre vent’anni. Con l’arrivo di Amit dall’India nel 2014 è diventata mamma adottiva e nel 2015, con la seconda laurea in Scienze Religiose, è entrata nel mondo del super precariato della scuola. Pubblicazioni in poesia: Azimuth (LietoColle, 2012); In punta di piedi (Terra d’ulivi, 2017); Pi Greco, piccolo e-book, (Stefano Donno, 2017); Andromeda (I Quaderni del Bardo, 2018). Altre poesie sono uscite in collettanea per altre case editrici e su siti web.

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