Jean Paul, Viaggio a Flätz
Traduzione e cura di Dario Borso
Del Vecchio Editore 2021
Non meno veritiero dell’impulso al tragico e semmai ancor più disprezzato è lo slancio al comico. Sovversione e svelamento: entrambi i movimenti, associati eppur diversamente combinati, si oppongono alla prosa dei verbalizzatori, dei cancellieri dei processi inscenati da chi edulcora per addomesticare. Apprivoiser, qu’est-ce que c’est? Sta qui il narcotico rassicurante, multitradotto anche in vernacolo di un petit prince anch’esso addomesticato, reso innocuo. Ebbene, la sovversione e lo svelamento possono dispiegare e affinare i loro strumenti anche nel comico. Come? Per esempio, palesando i tic e le sfaccettate manie dei singoli, che si ripetono, echeggiano, si rispondono, sopravvivono, esplodono, perfino, al tempo di guerra. Tanto più nella guerra permanente in continua prosecuzione.
Viaggio a Flätz di Jean Paul è stato scritto durante l’occupazione napoleonica; l’anno di pubblicazione dell’intero originale da parte dell’editore Cotta è, dopo gli stralci pubblicati nel corso del 1808, il 10 febbraio 1809, ma la redazione dell’opera si colloca esattamente tra Jena e Tilsit, vale a dire tra la disfatta prussiana a Jena nel 1806 e il trattato di Tilsit del 9 luglio 1807, con il quale la Prussia rinunciò a metà del suo territorio, che andò alla Confederazione Renana appena costituita, mentre il principato di Bayreuth, dove allora risiedeva Jean Paul, venne dichiarato pays reservé di Napoleone Bonaparte. C’è poco da ridere, avrebbe detto un contemporaneo. Eppure nel viaggio del prudente – un capolavoro di cautela – predicatore di campo dall’altisonante nome, per comico contrasto, Attila, c’è tanto da ridere.
È un riso che punge, indirizza l’obiettivo sulle variopinte miserie e sulle inaspettate arguzie umane, smaschera ogni vanagloria, ivi compresa, è bene ricordarlo, quella del cognato, il fratello dell’adorata Berghina (Berga è la moglie del protagonista, sorridente e solare bellezza “piena”, colma di buonsenso così come di sogni di avanzamento sociale), il dragone, soldato per status e buontempone per vocazione, autore di tutte le burle giocate ai danni di Attila Schmelzle.
Su strade maestre e su sentieri sterrati, in compagnia dei tipi più strani – si potrebbero definire forse gli ‘universali’ della stranezza, il nano, il boia, l’acchiappatopi, il “passeggero aggiunto”, che in realtà è all’inizio un «blinder Passagier», un clandestino, dunque – si dipana, con il corredo di note a piè di pagina dai numeri rimescolati, la vis comica di quel maestro dell’umorismo che fu Jean Paul. Una vis comica di ‘sovversione e svelamento’ che, nella storia della ricezione di Jean Paul in Italia, fu riconosciuta ben presto dagli autori della Scapigliatura. Nel 1835, sul lombardo «Indicatore», fu pubblicata una sintesi e la traduzione in italiano di Giambattista Menini di alcuni brani da Viaggio a Flätz, che ora, nella nuova collana di Del Vecchio Editore, appare nella sua interezza nella traduzione di Dario Borso, che affianca alla sua resa accurata anche un sostanzioso apparato di note. Nelle Note e nell’Introduzione Dario Borso dà conto delle scoppiettanti scelte linguistiche di Jean Paul, delle allusioni alla cronaca del tempo narrato e alle sterminate letture dell’autore, così come della puntuale e punzecchiante satira nei confronti di temi e controversie della filosofia tedesca, dai cui nodi concettuali conosciuti a menadito sembra essere legato stretto, quasi soffocato, Attila Schmelzle, prigioniero e incapace di affrontare anche i più elementari aspetti della vita.
La risposta di Jean Paul all’esplosione della precarietà – siamo all’indomani della fine del millenario Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca – è una comicità densa e ricca di digressioni, lunare nel suo raggiungere vette di stravaganza e terrestre nel suo essere argutamente verosimigliante quanto alla galleria di personaggi e situazioni che viene via via mostrata a chi legge.
Il Viaggio a Flätz racconta l’itinerario da Neusattel a Flätz – dove deve consegnare una richiesta privata al Generale Schabacker – del predicatore di campo Attila Schmelzle, la sua breve permanenza nella città e il viaggio di ritorno a Neusattel.
Schmelzle, il cui nome è già un programma, tra il “fondersi” del verbo “schmelzen” e la regionale varietà del diminutivo in -le (potrebbe forse suggerire l’equivalente di “Fusolino”), è, nella sua sfaccettata pavidità, fatta di piccole e grandi manie, l’eroe ovvero, per essere precisi, l’antieroe per eccellenza tra i personaggi di Jean Paul, il coniglio (in tedesco è, per la precisione, “der Hase”, la lepre) che presenta le sue paure e le sue ridicole manie come astuzie leonine.
Il piccolo-borghese ha con Jean Paul, sostenuto da un umorismo degno del miglior Lawrence Sterne, ma cucinato in salsa teutonica, una visione al contempo estremamente concentrata ed estremamente profetica. Lo dimostra anche lo scritto che segue Viaggio a Flätz, la Confessione del diavolo a un uomo di Stato. Lo intuirono, come già accennato in precedenza, gli Scapigliati per primi (in testa a loro tutti Carlo Dossi), poi, all’inizio del XX secolo, Luigi Pirandello, che nel suo saggio L’umorismo del 1908 mostra di conoscere, e di trarre profitto da questa ampia conoscenza, la Propedeutica allo Studio dell’estetica (Vorschule der Ästhetik), scritta un secolo prima (la prima edizione risale al 1804) da Jean Paul, poi, ancora, Italo Svevo, che nella visione profetica, dai toni apocalittici, del brano finale in La coscienza di Zeno, fa sconfinare (così come aveva fatto l’autore da Svevo letto fin dal tempo del collegio a Segnitz presso Würzburg) il comico nel tragico, li fa incontrare nell’acutissima visionarietà. Nella letteratura europea, sempre nella prima metà del Novecento, furono Il’ja Il’f e Evgenij Petrov nell’esilarante romanzo Le dodici sedie del 1928, a raccogliere la lezione di Jean Paul, dimostrandosi, dal canto loro, magistrali allievi e a loro volta maestri nella caratterizzazione minuta e raffinatissima di tic e manie dei singoli tra intuizioni, mezzucci e imprese di titanica comicità nella valanga della storia.
© Anna Maria Curci
Ma avevo altro ancora da sbrigare a causa del sonnambulismo. Mi fu generalmente da sempre incomprensibile come tanti individui vadano a letto e possano star piazzati lì senza considerare che forse al primo sonno si rialzano da sonnambuli e strisciano fuori sui tetti e si svegliano da qualche parte, dove si rompono il collo e il resto. Anzi per me sarebbe già pericoloso se un uomo integerrimo, un predicatore di campo, si addormentasse nel proprio letto e si destasse tra i cuscini di seta in camera della dama più distinta della città, da cui forse attende la sua felicità. Se sono a casa: rischio poco col sonno; perché, venendo il mio alluce destro ogni notte fissato con tre cubiti di fettuccia per neonati (io la chiamo scherzando il nostro vincolo coniugale) alla mano sinistra di mia moglie, ho la certezza che, nel caso fuggissi dagli arresti giaciliari, con il laccio bloccante la sveglierei e perciò verrei da lei quale mia briglia vivente ritirato per la corda notturna a letto. Ma in albergo non potevo fare nulla, se non legarmi più volte a una gamba del letto, per non ambulare; benché allora un’irruzione di ladri avrebbe comportato nuovi guai. Ah, così pericoloso è ogni dormire, che purtroppo chiunque non giaccia di schiena come un cadavere deve badare che con il tutto non si addormenti pure questo o quell’arto, un piede, un braccio – e poi al mattino l’arto assopito può – ché nella storia medica non mancano affatto esempi – giacere lì maturo per l’amputazione. Perciò mi faccio spesso svegliare, perché nessuno di essi si addormenti. (pp. 74-75)
Ma il tema, sì, il tema a premi sarebbe ora questo: «Fin dove, a far data dalla minaccia di Lichtenberg, appare suicida e mondicida che sovrani illuminati di popoli chimici non impongano ai loro chimici, tanto abili a separare corpo da anima e accoppiare terra con cielo, di bloccare gli esperimenti chimici, pur avendo quelli fatti sinora molto più giovato che nuociuto agli Stati?».
Purtroppo rimasi sprofondato in questo Giorno Finale del Fermento con tutti i sensi, senza più per l’intero viaggio di ritorno a Neusattel provare e notare altro se non che giunsi giusto là, dove al contempo vidi il passeggero aggiunto riandare per la sua strada. (p. 98)
Una replica a “Jean Paul, Viaggio a Flätz”
[…] di Charms, che lo accomuna a due scrittori che, come lui, sfuggono a classificazioni riduttive: Jean Paul e, in particolare per il romanzo Fame, Knut […]
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