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Con il lapis #4: Roberto R. Corsi, la perdita e il perdono

Con il lapis* #4
Roberto R. Corsi, la perdita e il perdono
Pietre Vive 2020

 

*Con il lapis raccoglie brevi annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura dell’intera raccolta a partire da un componimento individuato come particolarmente significativo.

 

EXEGI MONUMENT’

Stiamo leggendo l’Antologia Palatina, il libro quinto. Luigi
borbotta e fa una gaffe: nell’indice dei poeti non riesce a ritrovare
«Né questo Adespotón né… Adelón? sarà stato un Adelio corpulento?»
«Luigi – replico con sufficienza, correggendogli gli accenti –
sono due aggettivi comuni, indicano che l’autore e ignoto!»
Imbarazzato, tace; mi lascia meditare che la fama è una sfoglia sottile:
alcuni poeti si sciolgono a contatto con le acque della morte,
altri galleggiano alquanto nella sempre più labile memoria degli amici.
Persino l’inclito Callimaco, renitente a usare i social network,
è stato ostracizzato dai librai per fare spazio a qualche star mediatica.
Da Heidelberg a oggi ci siamo giocati le vite di Numenio e Tudicio,
ma già nel medioevo, a quanto pare, si erano perse
le tracce d’una ventina tra Adespotoni e Adeloni:
tipi senz’altro robusti, gaudenti, da Wein, Weib und Gesang,
eppure han catturato il tormento d’amore come pochi.

11 dicembre

(p. 48)

Sin dalla prima lettura della raccolta la perdita e il perdono di Roberto R. Corsi il pensiero è andato subito a un termine ‘cornice’ che non manca mai di spiazzare studentesse e studenti delle mie classi quando lo affrontano, in particolare, per il primo romanticismo nella letteratura di lingua tedesca, e che pure mi sembra cogliere il timbro singolare della poesia di Corsi: “Paradoxie”. Continuo rovesciamento, ma, soprattutto, anche divertito eppure serissimo andare a scoperchiare l’inusuale, il lato oscuro o, ancor più precisamente, quello che devia dalla “norma” e perfino ciò che non è – ricorro ancora a un termine in tedesco, “salonfähig”, “decoroso”. Ma la “Paradoxie” è convivenza, mescolanza, affiancamento quando non è addirittura fusione, di ironia e struggimento, umorismo (nel senso additato da Jean Paul in Propedeutica allo studio dell’estetica all’inizio dell’Ottocento e ripreso, esattamente un secolo dopo, da Pirandello nel saggio Sull’umorismo). Non potevo non affiancare idealmente, nella mia lettura della raccolta di Corsi, un bozzetto sulla vita a Jena in quegli anni tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, la frequentazione fittissima e concentrata in uno spazio-tempo limitato di lezioni universitarie, fondazioni di riviste, vita in comune, salotti letterari e convivialità, ivi comprese – è facile immaginarlo, ma qui ho calcato la mano – grandi bevute insieme. Da Jena in Turingia, a cavallo tra Settecento e Ottocento, la “Paradoxie” si è felicemente trasferita nella Versilia di Corsi. Leggere la perdita e il perdono ha costituito per me un’esperienza di “conoscenza relazionale”, una forma di sapere attualmente a rischio, se non addirittura sottoposta a un attacco senza precedenti. Ma la conoscenza può e deve nutrirsi di relazione. Le relazioni in questo libro sono ricchissime e di vario tipo, a partire dalle più ‘umili’ e legate al familiare “mare della soggettività”. Sembra infatti, scorrendo le pagine di questa raccolta e soffermandosi, tra l’altro, su EXEGI MONUMENT’, di riprendere una chiacchierata, una passeggiata, una conversazione con un compagno o una compagna di liceo: musica, poesia, letture amate, lazzi e sberleffi anche autoironici, versi e sbuffate di insofferenza, citazioni letterarie alte, insieme a prese in giro di sé stessi alle prese con gli sfondoni in versioni di greco o latino. Poi ci sono le relazioni con il mondo mutato, in cui gli eterni, se pur divertiti, inattuali, nella cui schiera mi permetto di annoverare Corsi, soffiano spirito – e che motti di spirito! – in una materia (che resta tale anche quando è ‘dematerializzata’ perché digitale) che vaga tra l’insulso e l’ostile. Ecco che l’alessandrino diventa prezioso sovversivo “nell’orbe geolocato”.
Mai innocua è la parola che oppone il paradosso: se lo fa toccando le corde dell’ironia non perde minimamente la sua efficacia, tutt’altro.
Infine, c’è la relazione con la poesia di tutti i tempi, con gli antichi e con i contemporanei (dall’Antologia Palatina a Barbara Pumhösel passando per Rilke, Neruda, Caproni, Kavafis e Cristina Annino), pur nella divertita consapevolezza della «glassa poetica galante», con la sonorità evocativa di altre lingue (A se îndrăgosti), con battute di musica che fanno capolino da nomi o titoli, ma facendo già risuonare note e ritmi, tra un volteggio di valzer di Johann Strauss (Wein, Weib und Gesang, citato appunto in EXEGI MONUMENT’), la sobria malinconia delle note cantate dalla Marescialla – “Con lievi mani” – in Il cavaliere della rosa di Richard Strauss, la Sesta di Mahler (25 gennaio 2020, Maggio Musicale Fiorentino) e una dissonanza ricercata; ancora, con la pittura e il canto di un colore, come in Richard Gerstl, Autoritratto su sfondo blu («Solo il blu ci accomuna:/ mentre tu ti accanisci su te stesso/ e risorgi nell’arte, io guardo il Chelsea») componimento in cui l’incanto si mescola, in maniera esemplare per la poesia di Corsi, con la precisa, punzecchiante autocoscienza. (Anna Maria Curci)

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