Dove sosta l’inverno
Siamo autentici in quel tremore
che ci assale di fronte al dubbio
noi che portiamo addosso tutte
le contraddizioni tra la mente
e un cuore sul quale scopriamo sempre
rughe nuove, noi quelli che hanno
l’incertezza sopra le punte di dita
rattrappite con le quali vogliamo
rinnovare i sogni e rammentare
che ciò che chiamiamo lucidità
è solamente un lago piatto dove
ci siamo talvolta lasciati andare.
L’attesa
Povere cose di terra e di sangue
silenzi di ombre addormentate
gesti compiuti senza speranza
ceri spenti e riaccesi senza fede
davanti alle icone della memoria
scontri muti e parole della notte
dietro pareti di vetro ove
transita in quest’attesa l’ora
del giorno prefestivo mentre
si ripete l’avviso di chiamata.
Ritratto di stanca signora
Una nuvola si spiana e corre
verso il profilo blu intenso
delle colline, ed il pensiero
la riconduce dentro la sua scia.
È una mezza stagione quella
che ho vissuto, ma giunge sempre
l’ora di riporre ogni strumento.
Liberata la vita dai vecchi sogni,
conservo la memoria di attimi convulsi
ma non infilo cerchi d’oro all’anulare
ed il letto sovente non condivido
mi basta il gusto di sapermi ormai
attenta e stanca, senza la passione
per un gesto consolatorio che mi poteva
fare incenerire, e la certezza d’essere
come vite spanata da buttare.
A chi racconteremo i silenzi?
Sapessimo prevedere quando
finiranno le tempeste
potremmo metterci al riparo
dentro un portone o sotto gli archi,
ma ciò non ci è concesso, ogni risveglio
riporta vecchie ruggini e s’accresce
il cigolio sopra i cardini del tempo.
Andarsene sarà capire il metro
di quel verso troppo lungo
che si voleva spezzare perché
non s’adattava e nel respiro s’assopirà
la nostra voglia di trasmigrare.
A chi racconteremo i silenzi
di quando il giorno è peso
senza ragione, la fatica
per rimanere in piedi – vigili
ma disattenti – se non a un foglio
bianco con sopra tracce di parole?
Fine
Ce ne andremo verso terre inventate
da una fantasia malata che non cessa un istante
di bussare alle tempie, di noi neppure resterà
questo involucro scarno di ossa, cenere grigia,
un segno di penna sopra la carta, pensiero
creato negli anni mai lasciato cadere, e così
rimaniamo carte assorbenti e assorbite
sulle quali abbiamo inciso e scavato
le tracce di ogni carezza non data
di un riposo accogliente, sperato ma vano.
© Luigi Paraboschi, da Tra due parentesi e un punto di domanda (raccolta inedita)