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Il sabato tedesco #25: Felicitas Hoppe, da “Pigafetta” (anteprima)

“Il sabato tedesco”, rubrica da me curata per Poetarum Silva, prende il nome da un racconto di Vittorio Sereni e si propone di raccogliere riflessioni, conversazioni, traduzioni intorno a testi letterari. La venticinquesima puntata della rubrica è dedicata all’anteprima di Pigafetta, romanzo che Felicitas Hoppe pubblica nel 1999 e che è in uscita, nella mia traduzione,  con i tipi di Del Vecchio Editore. (Anna Maria Curci)

Cioccolata

Per consolazione ho inventato il gioco. Si chiama PROSPETTIVA DI SALVEZZA e funziona così: Se qui, all’istante, mi scaraventano a mare, verso dove devo dirigermi a nuoto? Vinceva sempre il geografo, il primo giorno per la costa irlandese, in seguito per le Azzorre e alla fine per la terraferma nordamericana, mentre io da molto tempo non riuscivo più a figurarmi lembi di terra, e Pigafetta non sa proprio nuotare.
Eppure, a dire il vero, avrebbe potuto imparare come si entra lentamente in acqua, un piede dopo l’altro, prima fino alle caviglie, poi fino alle ginocchia, poi fino alla pancia e come infine ci si stende molto semplicemente su tutta la superficie fredda e liscia, con le mani giunte, come il nostro vescovo, quella volta, come si divide l’acqua in due metà, si muovono le braccia e le gambe, aprendo e chiudendo e aprendo di nuovo, fino a che non si raggiunge l’altra riva e ci si mette in salvo, ma chi sa nuotare muore solo più lentamente.
La nostra posta in gioco era della cioccolata, avvolta in carta argentata. La nave ne era piena. Quando il geografo prese in consegna il premio, arrossì, si voltò rapidamente di lato e portò il bottino su al quarto piano, dove si era sistemato nella cabina del tesoriere, perché da molto tempo ormai non ci sono più tesorieri sulle navi e neanche ufficiali per il carico. Sono io che abito ora nella cabina dell’ufficiale per il carico.
Non seppi se poi si mangiò la cioccolata, le tende della sua cabina erano accostate. Forse la mise da parte per i tempi in cui ci troveremo davvero in difficoltà e staremo seduti, rannicchiati, in una scialuppa di salvataggio, nella quale presumibilmente ci sarà spazio per tutti. Allora la tirerà fuori con disinvoltura, mentre a noi verrà l’acquolina in bocca, fino al momento in cui la scialuppa non minaccerà di affondare. Ma non la dividerà con noi, chi è sopravvissuto una volta a una sciagura non è più disposto a scendere a patti. E poi non abbiamo nulla con cui mercanteggiare, solo biscotti secchi e vitamine concentrate in cubetti, tutto sigillato in pacchetti dalle dimensioni ridotte e sistemato sotto i sedili della scialuppa di salvataggio.

 

Regole

In verità l’unica prospettiva di salvezza consiste nel farsi trascinare dalla corrente, sperando che passi un’altra nave.
Era sempre il geografo a scoprire per primo una nave, giacché presiedeva il tavolo degli Ospiti Paganti, con grande disappunto da parte del signor Happolati, l’agente immobiliare di Bremerhaven che era in viaggio di nozze e al quale sarebbe piaciuto avere qualcosa da offrire alla signora Happolati, più giovane di lui. Ma poiché erano saliti a bordo dopo il geografo, sedeva adesso con le spalle alla finestra e a ogni richiamo di questi cercava di nascondere la sua furia e il suo rancore. Lanciò un lungo sguardo indagatore all’acqua, poi si voltò verso sua moglie e le sussurrò all’orecchio OH DILETTA UNA NAVE, sputando sempre un po’, perché gli mancava un dente nell’arcata inferiore.
Solo quando la nave era sparita da un bel pezzo, la signora Happolati si alzò, premette il viso contro la finestra e provò a esprimere entusiasmo, e per gentilezza anche gli ufficiali del tavolo accanto girarono leggermente il capo verso la finestra. Solo l’idraulico francese al nostro tavolo, che da Le Havre, senza parlare e con la schiena rivolta alla parete, tentava di trasformarsi poco a poco in un passeggero, mantenne la testa ostinatamente abbassata.
Lo steward filippino correva silenzioso e sorridente tra i tavoli come un acrobata. Continuò a sorridere anche con il mare mosso, quando la signora Happolati non comparve più in occasione dei pasti e perfino quando il tavolo degli ufficiali si fece più silenzioso. Nella cucina i piatti cozzarono rumorosamente l’uno contro l’altro, il cuoco alzò un bel po’ il volume della radio, e il geografo rinunciò ai grandi gesti con i quali era solito, durante i pasti, disegnare in aria i contorni di carte geografiche.
Ai tavoli le buone maniere cominciarono a perder colpi. Tutti gli sforzi erano volti ora al controllo di coltelli e forchette al di sopra del precipizio, e se di tanto in tanto l’idraulico e io non avessimo allungato le braccia verso la sedia del geografo, lui, in mezzo a noi, sarebbe scivolato nel nulla con tanto di piatto e zuppa.
Eppure le regole possono essere apprese facilmente e rapidamente: in caso di cattivo tempo meno zuppa nei piatti, in caso di tempo anche peggiore rinuncia alla zuppa. Versare il caffè, il tè, l’acqua solo a metà altezza e sfruttare sempre il tempo tra due onde per avanzare. Nel dubbio, mangiare invece di parlare e tenere sempre una mano appoggiata allo spigolo del tavolo. Ci si deve sempre ormeggiare, ancorare, inchiavardare come le porte e i cassetti a bordo. Una volta portavamo la zuppa alla bocca con il cucchiaio e non la bocca alla zuppa. Adesso è acqua passata.


Felicitas Hoppe, Pigafetta
Traduzione di Anna Maria Curci, Del Vecchio Editore 2021, pp. 16-20

 


La scatola nera del traduttore
di Anna Maria Curci

«Che cosa occorre portare con sé: canna da pesca, esca, filo. Cappelli e ombrello. Meridiana, bussola e carta. Anelli salvagente per ogni dito. In cima a tutto la lettera di raccomandazione per il capitano generale, che ha deciso di cercare isole in cui vivono nani con le orecchie grandi, un orecchio che serve loro da letto e l’altro da coperta»: dalla prima pagina di Pigafetta Felicitas Hoppe indica il bagaglio indispensabile per il viaggio. Viaggio della narrazione, viaggio della lettura, viaggio della traduzione.
Di che cosa tratta Pigafetta? Una risposta possibile è senz’altro: di tante finestre che si aprono, sia sul viaggiare in senso ampio sia su singoli viaggi, reali, immaginari, letterari e delle «rotte incrociate» tra alcuni di questi.
Il primo viaggio da prendere in considerazione, in una ideale scaletta, o, per essere più precisi, in una passerella che porta a bordo dell’imbarcazione sulla quale chi scrive, chi legge, chi traduce è invitato a salire, è quello effettivamente compiuto da Felicitas Hoppe prima della stesura di Pigafetta. Hoppe ce ne fornisce le coordinate all’inizio del paragrafo Ospiti paganti, in Sieben Schätze. Augsburger Vorlesungen, per la precisione nella terza delle sue Lezioni di Augusta: «Nel 1997 salii su una nave. Picknick der Friseure (“Picnic dei parrucchieri”) mi aveva fatto vincere molti premi e dovevo dar conto su ciò che volessi fare con tutto quel denaro. In realtà non era molto, ma per puro dispetto inventai quel viaggio intorno al mondo che è nei sogni di una persona su due e che al cento per cento nessuno intraprenderà mai. Ma quello che è detto è detto. Presero me e il mio desiderio insincero in parola, sottoscrissi e pagai».
È sicuramente un punto di partenza, ma non è l’unico; già il dato biografico, invece di semplificare le cose, le rende più complesse, affascinanti e avventurose sì, ma indubbiamente complicate. Hoppe precisa infatti, poco più avanti nel paragrafo menzionato: « Di questo viaggio racconta il mio primo romanzo Pigafetta, di cui la critica, unanimemente, ha attestato che non si trattava né di un romanzo né di un resoconto di viaggio, dal momento che di entrambi non soddisfaceva né i criteri formali né quelli contenutistici. Ebbene, le due affermazioni sono esatte. Pigafetta non è formalmente un romanzo, né, dal punto di vista del contenuto, un resoconto di viaggio, bensì, oltre alla volontà inconscia di non essere una copia esatta di quello che migliaia di altri hanno scritto e copiato prima di me, esso è innanzitutto nient’altro che il primo tentativo, il primo di una lunga serie di ulteriori tentativi, di far coincidere la mia infantile rappresentazione del mondo con il cosiddetto mondo reale».
Già in questo primo “romanzo” pubblicato nel 1999 – il precedente Picknick der Friseure è una raccolta di racconti – Hoppe spariglia le carte e dilata le distanze tra sbarra e sbarra della gabbia dei generi. È un gesto intenzionale, che anima anche le opere successive e diventerà grandiosamente programmatico nel 2006 con Johanna. L’affermazione di Hoppe appena riportata, inoltre, indica già una delle finestre che si aprono sul viaggiare, una finestra particolarmente significativa e, contrariamente a ciò che si può pensare, duratura e tenace: la finestra dalla quale da bambini guardavamo il mondo. Un dettaglio, questo, che chiarisce i riferimenti ad altre storie, ad altri viaggi, di cui Pigafetta si arricchisce nel corso della narrazione.
Per chi legge e per chi traduce, si delinea un ulteriore viaggio, quello tra i procedimenti letterari. Scrive Hoppe a proposito dei viaggi in Pigafetta: «Per essere precisi parlo di tre viaggi, che mai possono diventare uno solo: in primo luogo il sogno del viaggio, in secondo luogo il viaggio reale e in terzo luogo il loro racconto. In sintesi: avere un sogno è una cosa, riesaminare l’immaginazione sulla scorta della realtà un’altra. Lo sforzo maggiore è tuttavia richiesto da un terzo elemento, ritrasformare la realtà, dunque un viaggio che è stato intrapreso, nel sogno del viaggio, in un testo che con il viaggio stesso non ha quasi più niente a che fare, ma che senza di esso non sarebbe mai nato».
L’orizzonte si sposta in avanti, la tavolozza si riempie di altri colori, un insieme multiforme di spunti e suggestioni si fanno incontro, ma in questa navigazione occorre avere, è bene tenerlo presente, «meridiana, bussola e carta», saper manovrare il timone.
Il viaggio compiuto da Hoppe nel 1997, su una nave portacontainer – circumnavigazione con partenza e arrivo ad Amburgo – riporta immediatamente alla prima circumnavigazione del globo, l’impresa, con esiti drammatici, legata al nome di Magellano. Pigafetta, il personaggio che dà il titolo al romanzo di Hoppe, non può non essere associato ad Antonio Pigafetta, il nobile vicentino che fu tra i pochi sopravvissuti alla spedizione (1519-1522) di Ferdinando Magellano. Fu Pigafetta a redigere su quella drammatica esperienza la Relazione del primo viaggio intorno al mondo.
Nel primo paragrafo della terza delle Lezioni di Augusta, che precede quello intitolato Ospiti paganti, Hoppe scrive: «Pigafetta, il cronista di Magellano, non ha la minima idea di che cosa sia la navigazione marittima, ma spera, in maniera indistinta, di trovare fama e onore come partecipante a un viaggio intorno al mondo che alla fine costerà la vita al suo capitano Magellano e a quasi tutti gli altri, tranne che a lui, il semplice autore del resoconto».
I riferimenti alla Relazione di Pigafetta sono presenti in gran numero, a partire dai personaggi di Pigafetta e del “capitano generale”, che nella resa in italiano non solo segue l’originale tedesco Generalkapitän, ma ripropone il termine con il quale Antonio Pigafetta si riferisce a Magellano. Interi episodi – come quello dell’ammutinamento – e incontri prodigiosi, innanzitutto quello con i “nani dalle orecchie grandi”, dettagli come quelli riguardanti il malcontento dell’equipaggio nei confronti del “capitano generale”,  si richiamano esplicitamente al resoconto di Pigafetta sulla prima circumnavigazione del globo.
Centrale è la questione del tempo, intimamente collegata al “problema del giorno in meno”, un vero e proprio enigma, poi risolto, come è noto, dallo stesso Pigafetta con l’aiuto di Pietro Martire d’Anghiera. In Pigafetta di Hoppe, il personaggio Pigafetta ha il suo posto fisso sotto l’orologio della cabina occupata dall’io narrante femminile e da lì racconta, testimone sopravvissuto, monito permanente per chi voglia e sappia ascoltarlo.
Leggere e tradurre Pigafetta è un invito a ulteriori viaggi, di un tipo particolare, come suggerisce Hoppe nel terzo paragrafo della terza delle Lezioni di Augusta, intitolato, non a caso, Nani con le orecchie grandi: «Allora i veri inventori delle storie incredibili da marinai stanno seduti al caldo e all’asciutto? Il sospetto nasce e si rafforza rapidamente non appena smettiamo di viaggiare, ricominciamo a leggere e ascoltiamo attentamente il repertorio, in fin dei conti sorprendentemente limitato, delle storie da spacconi di coloro che, dopo anni apparentemente fantastici per mare, alla fine hanno piantato le tende a casa».
Sono viaggi che prendono le mosse da letture che spaziano su territori vastissimi e di cui recano le tracce episodi e personaggi, alcuni con nomi evocativi come Nobell e Canossa, altri che sono tipi indimenticabili, come il geografo britannico, l’idraulico francese, il coltivatore di pesche, la sorella “bellissima”: oltre alla Relazione di Pigafetta, dunque, la Bibbia, in particolare con gli episodi della costruzione dell’arca di Noè e di Giona nel ventre della balena, la balena di Moby Dick di Melville, la balena di Pinocchio dell’amato Collodi, L’olandese volante dalla leggenda popolare a Wagner, America di Kafka e, nel personaggio irresistibile di Happolati, Fame di Knut Hamsun, quest’ultimo letto anche attraverso gli occhi divertiti di Astrid Lindgren, creatrice di una delle più esilaranti artiste del mentire, Pippi Calzelunghe.
Ma i viaggi tra le letture non finiscono qui, per chi scrive, per chi legge, per chi traduce: la Storia fa il suo ingresso, per il tramite del racconto dell’io narrante femminile: la spedizione di Magellano, la costruzione del canale di Suez, la carriera di Churchill, di cui il geografo britannico è un appassionato divulgatore e, non ultimi, due temi sorprendentemente profetici e dolorosamente attuali: il traffico di clandestini, qui chiamati, con un termine coniato da Hoppe, Überschmuggler (termine che ho scelto di rendere con “ultracontrabbandieri”), e la scottante e spinosa questione di Hong Kong, che proprio dal 1997, anno del viaggio di Felicitas Hoppe, è regione amministrativa cinese e che con la Cina continua ad avere un rapporto conflittuale.
Sogno e Storia, rievocazione e invenzione, verità e veridicità, gioco creativo e rischio fatale: ogni pagina di Pigafetta ne trasporta la densità e, insieme, l’ampio respiro. Per rendere quella e questo, in un viaggio favoloso e rischioso, tra le vertigini di una salita sull’albero maestro della nave, l’equilibrio precario sul ponte dell’imbarcazione nel mare in tempesta e il richiamo dei flutti, incanto e incubo per chi non sa nuotare, ho portato con me il bagaglio suggerito fin dalla prima pagina, insieme a «carte oceaniche» raccolte negli anni, senza dimenticare, anche nel tradurre, quella finestra dalla quale da bambina guardavo il mondo, quella finestra che, anche grazie ai romanzi di Emilio Salgari, mi mostrava nelle notti stellate le costellazioni visibili solo con l’occhio della mente e del desiderio. (pp. 175-180)

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