Viola Amerelli, L’indifferenziata
Seri Editore, 2020
Appunti di lettura di Carlo Bordini
CIÒ CHE FORSE POTREBBE
È un testo estremamente complesso e, credo, uno dei più alti che abbia prodotto in Italia la poesia contemporanea.
Primo pezzo:
LA FORMA DEL FIATO
Dentro L‘indifferenziata ci sono tutte le parole – mischiate – come nei cassonetti dei rifiuti. Dire che ci sono tutte le parole può apparire puerile; anche nella Divina Commedia o in un dizionario ci sono tutte le parole. Ma qui sono mischiate, messe una accanto all’altra, senza che ne nasca nessun discorso o nessun disegno.
C’è però un nesso: tutte queste cose stanno nel cervello di una persona che guarda, o che sogna, o che ricorda: «il lucido sogno, non ha più i volti, le facce, le inventa, disegna, il lucido sogno che chiamano coma.» Non è esperienza, quindi, è qualcosa che possiamo associare a uno stato confusionale, o, come suggerisce l’autrice in una nota di lettura, primordiale. Un flusso di in-coscienza. È un flusso a cui è necessario abbandonarsi, come ci si abbandona a una musica. O come si guarda un’opera architettonica. La razionalizzazione del linguaggio scritto o parlato è stata già superata, è rimasta inesorabilmente indietro. E non tornerà. Addio razionalità, addio ragione…
Potrebbe anche essere un grafico della morte, questo testo, di ciò che accade nella testa che cessa di funzionare e che affastella schegge di cui era fatto il logos, come nel cervello di HAL di Odissea 2001 quando viene disattivato. «Stracci a un mercato d’africa», d’Africa – e non, appunto.
In effetti nel libro c’è molta musica. Non c’è nulla di aspro. Scorre musicalmente, armoniosamente. L’armonia che non è nel logos è – dove? – nella musica? O non piuttosto nella danza, forma ancestrale di gioia? Nello scorrere di questo testo che è una danza? È un testo che può comunicare solo se ci si abbandona ad esso, come al ritmo di una danza o a una cantilena. Potrebbe anche essere un testo sciamanico, per esempio.
L’importante è che non si deve sapere cos’è: «solo gioco di ormoni finché dura la carne», e basta. Benessere: «chissà in quale jungla una ragazza freme,/ inarca schiena e gambe, ride da sola», infatti.
«lei prende i pensieri, li raggela/ e poi li e-dita// così una bisnonna incorniciava/ i suoi lavori a punto a croce.» Il testo diventa sempre più femminile. Il superamento del logos (in avanti, o all’indietro) è sempre più femminile. La danza è femminile.
Poi comincia la guerra. I ritmi si fanno aspri per un attimo. I tamburi rullano veloci.
Secondo pezzo:
LA LINEA LA CURVA
Qui una parodia di logos, che neanche tenta di occultare il malessere, «arterie bloccate… annebbiamento/ si vive lo stesso», una ricerca di razionalità che sfugge sempre, coerentemente a tutta la logica di questo poemetto. Iniziano ad apparire immagini di morte: «strazio della curva nella/ emergono cadaveri dal.» Si è detto una parodia di logos, lo sforzo di mettere insieme concetti o almeno cose o almeno regole semplici.
Terzo Pezzo:
BIODEGRADO
Il testo diventa sempre più duro, fino ad essere atroce: «uno sgozzare polli, cristiani/ aggiungi maiali e musulmani, elenchi/ […] ucciditi, ucciditi, ucciditi tu./ io vivo ancora. ucciditi tu», ma è ancora, io credo, interpretabile come una danza, che si snoda comunque lungo una coreografia epica, già palese nei cori che rispettivamente aprono e chiudono L’indifferenziata.
Poi si arriva a doxa (p. 54); da qui il linguaggio cambia in maniera definitiva, diventando dilaceratamente sentenzioso, con un risuono di metallo nelle note. E infatti con doxa che in greco significa opinione (contrapposta a certezza) Viola Amarelli prende in mano la situazione e la descrive chiaramente e in maniera altissima: siamo soffocati dai rifiuti e dalla tecnologia e dai rifiuti tecnologici ma anche dall’odio e il testo diventa un’invocazione, un invito in cui la passione angosciata può esplodere insieme a un senso di corresponsabilità: «voi, identici a noi» in un richiamo alla Baudelaire («– Hypocrite lecteur, — mon semblable, – mon frère!»).
E, anche : «biodegrado del cesio/ estraiamoci dal coltan/ interfaccia parla parla a// sguardo che svia, mente,/ piantala di osservare/ tanto non ci capisci niente// ammesso che (qualunque atto, il/ passivo)// epifania dell’irrilevanza// prendine atto al, tempo, che/ memorabilia d’ogni respiro/ – l’onne laudatio non lasciar traccia –// non ci siamo mai stati vi siete sbagliati», come pure: «siamo animali che hanno inventato/ un linguaggio e dei manufatti/ non per adattarsi all’ambiente/ ma per adeguarlo alle nostre esigenze,/ talmente bene che non rimane niente» e «i lutti che affollano di corpi e ricordi/ confusi gli attriti, gli sfreghi/ scomparsi.»
Devo dire che è raro, estremamente raro che la poesia contemporanea adotti questi toni, questa invocazione e denuncia così diretta che in genere sembra così retorica. Ci sono migliaia di cattive poesie retoriche che criticano il capitalismo, la realtà esistente e i poeti migliori, più avvertiti, giustamente se ne tengono lontani, ma Viola Amarelli riesce dove altri hanno fallito anche perché c’è questo senso di corresponsabilità, e, in controluce, potrei aggiungere, di com-passione, o forse perché oggi la poesia è femmina.
In questo scenario può apparire direttamente “l’indifferenziata” ma è solo un attimo perché, dopo un «preferirei di no/ non in mio nome», la scrittura continua nel caos, essere polvere e polvere tornare: «un pullulìo in continuo cambiamento» e dalla descrizione del caos emerge l’ultimo verso: «qui dove non si salva mai nessuno» che credo sia l’interpretazione più autentica di un libro apparentemente distopico ma di fatto profondamente realista, perchè dal magma emerge una lama di acuta consapevolezza, che si riflette in un testo estremamente lucido sull’epoca che stiamo attraversando e su un mondo che non riusciamo né a interpretare né a salvare.
Una replica a “Viola Amarelli, L’indifferenziata. Appunti di lettura di Carlo Bordini”
[…] L’indifferenziata è dunque, a sprazzi e a lampi, avvelenata come la canzone di Guccini. Eppure, l’apparizione di questi stilemi non è un elemento di contraddizione con la dimensione collettiva presupposta dal titolo, integrandone la fisionomia con una serie di marche di genere che – per quanto legate alla prima persona, e quindi a un io che però, nel caso di Amarelli, è opportunamente depotenziato – possono essere appropriate anche da prospettive altre. Come ha scritto Carlo Bordini, negli appunti sul libro di Amarelli pubblicati postumi su «Poetarum Silva»: […]
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