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Bustine di zucchero #52: Milo De Angelis

In una poesia – in ogni poesia – si scopre sempre un verso capace di imprimersi nella mente del lettore con particolare singolarità e immediatezza. Pur amando una poesia nella sua totalità, il lettore troverà un verso cui si legherà la sua coscienza e che lo accompagnerà nella memoria; il verso sarà soggettivato e anche quando la percezione della poesia cambierà nel tempo, la memoria del verso ne resterà quasi immutata (o almeno si spera). Pertanto nel nostro contenitore mentale conserviamo tanti versi, estrapolati da poesie lette in precedenza, riportati, con un meccanismo proustiano, alla superficie attraverso un gesto, un profumo, un sapore, contribuendo in tal senso a far emergere il momento epifanico per eccellenza. Perché ispirarsi alle bustine di zucchero? Nei bar è ormai abitudine zuccherare un caffè con le bustine monodose che riportano spesso una citazione. Per un puro atto spontaneo, non si va a pescare la bustina con la citazione che faccia al proprio caso, è innaturale; si preferisce allora fare affidamento all’azzardo per scoprire la ‘frase del giorno’ a noi riservata. Alla stessa maniera, quando alcuni versi risalgono in un balenio alla nostra coscienza, non li prendiamo preventivamente dal cassettino della memoria. Sono loro a riaffiorare, da un punto remoto, nella loro imprevista e spontanea vividezza. (D.Z.)

Pensiamo a una città immersa nell’estate, reale e sospesa insieme, che vive tra il caldo e l’asfalto rovente. Può essere Roma o Milano. In prospettiva vediamo già una strada che alita un calore invisibile e mordente. Ma estate e asfalto, oltre a mostrarsi come riferimenti tangibili e chiavi simboliche di un discorso poetico, riecheggiano di un’atmosfera, riportano a un dolore interno che si prolunga, che fugge dalla pagina e si riversa silenziosamente, per proiezione intrapsichica, nelle stesse strade. È un dolore di ospedale dove l’olfatto, a lungo andare, si abitua all’aria chiusa che sa di quell’odore asettico di medicine e flebo e fa ripensare a una poesia di Maurice Maeterlinck intitolata Ospedale: «Ospedale nel mese di luglio!/Si prepara il fuoco nella sala! […] (Che le finestre restino chiuse,/ che nulla, là fuori, ci possa colpire)». È un’aria di serra che serba una memoria vocativa, fiabesca e visionaria, e un tepore annichilente, di fiori malaticci arresi alla stanchezza (Serre calde è il titolo del libro di poesie di Maeterlinck). Eppure, nella consunzione del dolore appena citato – che vuole comunque trattenere qualcosa nel tempo e nell’assenza di qualcuno –, il gesto sintetico per eccellenza, la poesia, polarizza un incontro inevitabile fra vita e morte. La poesia si adopera per parlare di morte sia per tentare quel noto dialogo con le persone amate non più con noi sia per non essere sopraffatti dal pensiero della stessa morte, divenendo, allora, questo atto uno scongiuro per rendersi consapevoli di un’epifania. La raccolta Tema dell’addio di De Angelis tenta proprio la via dello scongiuro, segnando uno dei suoi vertici più importanti, contrassegnato sia sul piano stilistico sia tematico. Il libro, notoriamente dedicato a sua moglie Giovanna Sicari, narra, con struggente ma asciutta malinconia, la malattia e la morte prematura della poetessa. In particolare la terza sezione della raccolta, intitolata Trovare la vena, è indicativo non solo di una via Crucis lucidamente descritta, bensì pure di un’indagine profondamente umanizzante, oltre che sentimentale, in cui la cura medica di trovare la vena svela un’analogia e un’incertezza tremende perché trovare la vena è trovare la vita, il suo senso, la consolazione. La vena è la via, la direzione che conduce a qualcosa e a comprendere quel qualcosa, reso nella trasfigurazione delle vicende umane e della propria identità nel mondo. La vena è «anche quella astratta, poetica» (Annelisa Alleva), la poesia che cerca di capire e penetrare il dolore, osservarlo per, ancora una volta, oggettivarlo con un atto di seppur drammatica riflessione. Cosa succede quando non si trova la vena, la sorgente, anzi «lo zampillo» senza dimenticare Maeterlinck? La situazione precipita, tutto si capovolge. Si prefigura la notte sul volto amato, il silenzio, il momento di un preannunciato distacco. Allora il tema dell’addio, sottolinea Giuseppe Genna, «non è la morte: è la proiezione del distacco». La riflessione di Tema dell’addio ci dice questo: quanto è sicuro nel nostro vivere è la perdita e il fatto di dover imparare a gestirla per capire come viverla.

 


Bibliografia in bustina
M. De Angelis, Tema dell’addio, Milano, Mondadori, 2005.
M. Maeterlinck, Serre calde e quindici canzoni (a cura di M. De Angelis), Milano, Mondadori, 1989.
A. Alleva, Sulla poesia di Milo De Angelis, 6 giugno 2020, disponibile a questo link.
G. Genna, Milo De Angelis: tema dell’addio, 18 giugno 2012, disponibile a questo link.

Una replica a “Bustine di zucchero #52: Milo De Angelis”

  1. Mi permetto una critica, perché da tempo seguo con piacere questa rubrica in cui ho rinvenuto talvolta autentiche pietre preziose. Non sembri quindi gratuito il mio intervento, ma profondamente inteso a ricordarci (lo dico anche a me stesso) che la poesia in quanto incontro senza intenzione di immagini, parole e pensieri non “tollera” troppe spiegazioni.
    La meravigliosa bellezza di una bustina sta nella consunzione dello zucchero, lenta e insieme fuggevole.

    Grazie.

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