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Paola Deplano, Invito alla poesia di Arthur Symons

Arthur William Symons, by Jacques-Emile Blanche [oil on canvas, 1895]
Tra giglio ed eliotropio. Invito alla poesia di Arthur Symons

di Paola Deplano

 

ELIOTROPIO BIANCO                                                                

Febbrile la stanza, quel letto bianco,
le gonne arruffate su una sedia
un libro buttato semiaperto ove son sparsi
cappello forcine piumini belletti.

Lo specchio che ha succhiato la tua faccia
nella segreta sua profondità più profonda
e lì, oscuramente, nasconde
obliate memorie di grazia.

E tu, mezza vestita e mezza sveglia
gli occhi tuoi obliqui che strani mi figgono
e io, che indolente t’osservo
con gli occhi insonni e dolenti.

Tutto questo (lo temo? Lo spero?)
riaffiora, fantasma, alla memoria
se ancora adesso il mio fazzoletto
porta il profumo di quel fiore bianco.

WHITE ELIOTHROPE

The feverish room and that white bed,
The tumbled skirts upon a chair,
The novel flug half-open, where
Hat, hair-pins, puffs, and paints, are spread;

The mirror that has sucked your face
Into its secret deep of deeps,
And there mysteriously keeps
Forgotten memories of grace;

And you, half dressed and half awake,
Your slant eyes strangely watching me,
And I, who watch you drowsily,
With eyes that, having slept not, ache;

This (need one dread? nay, dare one hope?)
Will rise, a ghost of memory, if
Ever again my hand kerchief
Is scented with White Heliotrope[1]

Questi versi non li ha scritti Andrea Sperelli, nel ricordare le passate intimità con Elena Muti, ma una certa aria di famiglia c’è, perché il loro autore, Arthur Symons, fu un appassionato lettore e traduttore di D’Annunzio e, come lui, si inseriva nella più vasta corrente del Decadentismo europeo.
Presentiamo qui, in una nostra traduzione, alcune liriche tratte dalle sue prime prove poetiche, Silhouettes (1892) e London Nights (1894). La scelta è stata fatta tra le poesie degli anni giovanili dell’autore, prima del grave esaurimento nervoso che lo colpì nel 1908 durante un viaggio in Italia in compagnia della moglie – e ciò per vari motivi. Innanzitutto, già prima del matrimonio, avvenuto nel 1901, egli non poté più dedicarsi a un’attività così poco lucrativa come la poesia e si dette a recensioni, articoli, traduzioni, in poche parole a tutto ciò che gli avrebbe consentito di mantenere decorosamente la famiglia che era in procinto di formarsi. La malattia, poi, per alcuni anni compromise il suo lavoro e lo isolò dal panorama letterario del tempo. Anche quando tornò in pieno possesso delle proprie facoltà, Symons non si trovò più in sintonia con la nuova generazione di letterati inglesi e quasi sopravvisse a sé stesso fino alla morte, avvenuta nel 1945, all’età di ottant’anni. Per finire, sono proprio le poesie giovanili quelle che portano più impresse le stimmate del tempo, rivelando a noi moderni il clima di un’epoca e la suggestione dei grandi maestri del giovane poeta in formazione.
I giudizi dei contemporanei sulla sua figura furono abbastanza discordi: poeta stimato da intellettuali del calibro di Pater, Verlaine e Oscar Wilde, egli ricevette in generale giudizi negativi da parte delle riviste e indifferenza da parte del pubblico. Di solito veniva giudicato un mero cantore d’impressioni e stati d’animo e le sue poesie erano etichettate come vuoti esercizi di stile, come più o meno fedeli imitazioni dei suoi maestri, primi fra tutti Verlaine e Baudelaire. Col passare del tempo, l’attenzione dei critici nei suoi confronti rimase pressoché nulla. Dopo la scarna monografia di T.E. Welby,[2] si sono avuti solo lavori minori, tranne il volume di Lhombreaud, nel quale si possono trovare cenni biografici, giudizi di merito, analisi della produzione.[3] In Italia, solo f. Oliverio, nel lontano 1913, ha scritto un breve saggio su di lui.[4]
La scarsità d’interventi dei contemporanei la dice lunga a proposito del giudizio dei coevi sull’opera di Symons: per la maggior parte dei suoi colleghi filologi egli non era altro che uno studioso e le sue poesie erano viste come nulla di più che un’appendice alla sua pregevole opera di critico.
Per quanto mi riguarda, con questa mia traduzione di alcune delle sue liriche intendo, se non capovolgere questo giudizio di ottimo filologo e di pessimo poeta, almeno dimostrare come le sue poesie abbiano un certo fascino e un indubbio valore nonostante – o forse proprio perché – esse presentino alcuni clichés della Belle Époque.
La carriera di Symons come critico cominciò assai presto, nel 1884, quando questo diciannovenne «provinciale senza cultura universitaria e senza esperienza letteraria»[5] ricevette l’incarico di curare l’edizione critica di Venere e Adone per la “Shakespeare Quartos”, una prestigiosa collana di studi shakespeariani aperta solo a una ristretta cerchia di eruditi. Egli evidentemente si mostrò all’altezza della situazione, perché fu contattato per la cura di altre due opere della stessa collana, Tito Andronico (Giugno 1885) e Enrico V (Febbraio 1886).
Parallelamente a questi lavori, egli stese il suo primo libro di critica, Study of Browning, che pubblicò, appena ventunenne, nel 1886. Inaspettatamente, Pater lo recensì in modo favorevole su «The Guardian», dando così inizio a una solida amicizia che si doveva interrompere solo nel 1894, con la morte di Pater.
Da allora in poi fu un susseguirsi di articoli, interventi, conferenze, saggi, il più importante dei quali, The Symbolist Movement in Literature (1900) lo consacrò definitivamente come critico e influenzò i giovani poeti inglesi degli anni a venire.
Non meno copiosa fu la sua produzione drammaturgica: La morte di Agrippina, Cleopatra in Giudea e Mietitori, uscite in volume nel 1916 col titolo generale di Tragedie, sono solo alcune delle opere teatrali di Symons.
Le prime prove liriche – ben quattro volumi – risalgono all’infanzia e all’adolescenza, ma egli stesso non le ritenne valide, al punto da distruggerle nel 1916. Il primo libro effettivamente edito, Days and Nights, è del 1889. Esso consta di sessantatré poesie scritte fra il 1884 e il 1888 ed è dedicato a Pater, il quale lo recensì favorevolmente sulla «Pall Mall Gazzette» con un articolo dal titolo Un poeta con qualcosa da dire (23 marzo 1889). Symonds e Meredith si unirono agli elogi. Altro grande estimatore di Symons fu Oscar Wilde, che lo invitò a collaborare alla rivista «Woman’s World» nel 1888 e di quando in quando partecipava alle riunioni del Rhymers’ Club, un circolo di poeti fondato, tra gli altri, da Symons e Yeats nell’inverno del 1891.
Dopo Silhouettes, del 1892, uscì, due anni dopo, London Nights, dedicato a Verlaine, che lo recensì entusiasticamente nella «Revue Encyclopédique». I due si erano conosciuti durante un viaggio di Symons a Parigi. In seguito, egli aveva invitato a casa propria il grande maestro francese, adoperandosi affinché tenesse un ciclo di conferenze in Inghilterra. La recensione di Verlaine lo ripagò solo in parte dei giudizi negativi – o nel migliore dei casi indifferenti – che aveva riportato in patria. Tuttavia, sebbene amareggiato, egli continuò a pubblicare una copiosa mole di liriche, delle quali nominiamo solo le più significative: Amoris Victima (1897), Images of Good and Evil (1899), Lesbia and Other Poems (1920), Love’s Cruelty (1923).
Uno degli autori prediletti di Symons fu Baudelaire: lo lesse, lo tradusse, lo analizzò come critico e – in una sorta di laico e commosso pellegrinaggio – visitò i luoghi da lui abitati. Egli non solo lo aveva letto ma – mi si consenta il gioco di parole – aveva letto anche coloro che lo avevano letto. È il Baudelaire prosatore piuttosto che il poeta a influenzare il Symons nella scelta del maquillage come tema artistico. L’autore dei Fleurs du mal scriveva infatti, in Elogio del trucco:

La donna è proprio nel suo diritto e anzi compie una sorta di dovere quando si studia di apparire magica e soprannaturale: è necessario che stupisca e incanti, deve dorarsi per essere adorata. La donna perciò deve prendere a prestito da tutte le arti i mezzi di elevarsi al di sopra della natura per meglio soggiogare i cuori e colpire gli spiriti […] E quanto al nero artificiale che cerchia l’occhio e al rosso che segna la parte superiore della guancia […] il bordo nero fa lo sguardo più profondo e singolare, dona all’occhio un’apparenza più risoluta di finestra aperta sull’infinito; il rosso che infiamma i pomelli accresce vieppiù la luminosità della pupilla e insinua in un bel volto femminile la misteriosa passione della sacerdotessa.[6]

Alla luce di ciò non stupisce che Symons abbia scritto una lode poetica del trucco nella sua Maquillage:

MAQUILLAGE

Malìa del rosso su gracili guance
polvere di perle e attorno all’occhio
tetri e lucenti colori d’oriente;
una voce di violette che dice
d’aulenti ore merigge e dubbie notti
d’alcove chiuse con veli alla luce.

Gracile e vellutato bianco e rosa,
quasi il boccio dell’alba l’incarnato
i fugaci colori suoi son quelli
che tolti al ciel d’april smorti si fanno
quando – nelle aulenti aure di pianto –
geme il meriggio e reca il dì cangiato.

MAQUILLAGE

The charm of rouge on fragile cheeks,
Pearl-powder, and, about the eyes,
The dark and loustrous eastern dyes;
A voice of violets that speaks
Of perfumed hours of day, and doubtful night
Of alcoves curtained close against the light.

Gracile and creamy white and rose,
Complexioned like the flower of dawn,
Her fleeting colours are as those
That, from an April sky withdrawn,
Fade in a fragrant mist of tears away
When weeping noon leads on the altered day.

Per Symons il trucco e il profumo non sono che l’ennesima incarnazione dell’artificiale e della modernità. Allontanano la donna dalla grigia monotonia della natura e portano, insieme al treno e ai lampioni a gas, una ventata di modernità nella poesia. Illuminante in questo senso ciò che egli scrisse nel 1896, in difesa della seconda edizione di Silhouettes:

Il patchouli. Bene, perché non il patchouli? C’è una ragione al mondo per la quale dovremmo scrivere esclusivamente sul rossore naturale se il rossore delicatamente acquisito del belletto ha una qualche attrattiva per noi? Entrambi esistono: entrambi, ciascuno a suo modo, sono affascinanti, e in ogni caso l’ultimo, come soggetto, ha una maggiore novità.[7]

In Eliotropio bianco, come abbiamo visto, la donna che si trucca e si cosparge di profumo è ormai decisamente avviata sulla via dell’emancipazione e della modernità, un essere nuovo e avulso dalla natura, un individuo ormai inscindibile dal suo corredo di “cappello forcine piumini belletti”. Non è ininfluente né casuale il fatto che nella scena della stanza, insieme alle armi della seduzione classica, compia un libro, simbolo del fascino anche intellettuale che la nuova donna esercita sugli uomini di una certa cultura. Il profumo di questa femme fatale – l’eliotropio bianco – ha il potere di evocare nell’amante le passate intimità. Ma è appunto un profumo innaturale e artificiale che si sovrappone a quello naturale della pelle. In Morbidezza il profumo seducente d’eliotropio si mischia a quello dei gigli e arriva a renderlo provocante:

MORBIDEZZA

Bianca fanciulla, la tua pelle è gigli
sotto un’algente luna
così silenziosa l’estasi
del tuo deliquio
neve o gigli.

Virginale nel palesarsi
ricetto
inebriante d’eliotropio
d’un bianco rivelarsi ancor più bianco
la china palpitante del tuo seno

come un letto di gigli
una siepe gelosamente custodita
il cui desire
è solo casti sogni.
Ma ecco
il provocante profumo di gigli.

MORBIDEZZA

White girl, your flesh is lilies
Under a frozen moon,
So still is
The rapture of your swoon
Of whiteness, snow or lilies.

Virginal in revealement,
Your bosom’s wavering slope,
Concealement,
In fainting heliotrope,
Of whitest white’s revealment,

Is like a bed of lilies,
a jealous-guarded row,
Whose will is
Simply chaste dreams: but oh,
The alluring scent of lilies!

Come si può notare, nonostante la descrizione giocata sui toni del bianco e sulla simbologia del giglio, la protagonista della lirica è una fanciulla sensuale suo malgrado, non molto dissimile dalla donna fatale di Eliotropio bianco.
Quello del giglio è un tema presente nell’autore sin dagli anni giovanili, a giudicare dall’unica poesia di quel periodo che è sopravvissuta alla totale distruzione operata dall’autore nel 1916. Il titolo è A Dream of the Garden of God. Ne riportiamo qui alcuni versi: «The lilies in the Garden of God,/ Mother, they are more white/ That the tender snow […]» («I gigli nel Giardino di Dio,/ Madre, son più bianchi/ della tenera neve […]»).[8]
Il giglio era il fiore-simbolo dei movimenti estetici anglosassoni, consacrato, tra gli altri, da Ruskin, Pater, i Preraffaelliti, Wilde.  Ad una delle serate del Rhymer’s Club il moderatore, vista la grande quantità di poesie ad esso dedicate che venivano lette una dopo l’altra, si vide costretto a proporre il pagamento di una multa da parte di chiunque intendesse ricorrere ancora, per quella giornata, ad un simbolo così abusato.[9] Tale inflazionata presenza era stata persino oggetto di parodia in un’operetta dal titolo Patience, scritta e musicata nel 1881 da Gilbert e Sullivan.[10]
Morbidezza sembra quasi la traduzione poetica di un quadro di Dante Gabriel Rossetti dal titolo “Sogno ad occhi aperti” (1878). La donna effigiata nel dipinto tiene in mano un giglio e tutta la scena è immersa in un’atmosfera di surreale candore. È chiaro che Symons, grande estimatore dei fratelli Rossetti[11] e competente critico d’arte figurativa non poteva non conoscere quest’opera. Un’altra fonte d’ispirazione di questa poesia, col suo uso ossessivo del bianco e della simbologia del giglio, sono le pagine de Il piacere di D’Annunzio in cui Andrea Sperelli crea una sorta di Symphonie en Blanc majeur[12] nell’attesa di un appuntamento galante. Symons aveva letto D’Annunzio, aveva scritto su di lui[13] e ne aveva tradotto molte opere, tra cui, appunto, Il piacere.
Il tema degli effluvi conturbanti ritorna nella poesia Perfume, la cui fonte d’ispirazione primaria è probabilmente La Chevelure di Baudelaire:

PERFUME

Scuoti i tuoi capelli su di me così
ch’io possa sentire il movimento, il profumo,
di questi vaghi odori, andare, venire,
come andarono i baci.
Donò la notte quest’ora inestimabile d’amore
ma ora l’alba la ruba
e sulla meraviglia del tuo volto
si china, con amore.
‘Addio’ s’insinua tra i baci
e tu svanisci – fantasma – nell’aria.
Ma ecco: il posto vuoto ancora porta
dei tuoi capelli il profumo.

PERFUME

Shake out your hair about me, so,
That I may feel the stir and scent
Of those vague odours come and go
The way our kisses went.
Night gave this priceless hour of love,
But now the dawn steals in apace,
And amorousily bends above
The wonder of your face.
‘Farewell’ between our kisses creeps,
you fade, a ghost, upon the air;
Yet ah! The vacant place still keeps
The odour of your hair.

Si veda soprattutto l’incipit de La Chevelure di Baudelaire, che qui riportiamo nella traduzione di Gesualdo Bufalino:

O chioma ondosa in boccoli fino alla spalla pura,
balsamo intriso d’estasi e di pigro diletto!
Per destare stasera dentro l’alcova oscura
I ricordi che affollano questa capigliatura,
voglio nell’aria scuoterla al par d’un fazzoletto![14]

Ovviamente, nell’immaginario di Symons cantore dei profumi, aleggiano e dominano anche i fantasmi di Des Esseintes e di Dorian Gray, la cui maniacale ricerca del Bello non risparmia il vasto mondo delle essenze preziose e ricercate.

Il giglio e l’eliotropio, come pure la carnagione pallida e il trucco, sembrano quindi essere i poli tra i cui oscilla l’idea della femminilità in Symons, ma a mio parere questa dicotomia è solo apparente. L’innocenza della fanciulla di Morbidezza è in realtà una sensualità mascherata, resa ancora più conturbante dalla sua apparente purezza. Tra lei e la travolgente signora di Eliotropio bianco non sembra esserci, nella poetica dell’autore, una così marcata differenza. Ciascuna delle due donne, a suo modo, incarna il mito fin de siècle della femme fatale e il giovane Symons, scrivendole e descrivendole, s’immette con sicura naturalezza in una tradizione già consolidata.[15]

 


[1] L’edizione da cui sono tratte le liriche è la seguente: Poems by Arthur Symons, William Heinemann, London 1907. White Heliothrope, l’unica tratta da London Nights, è alla pagina 123; le altre, tratte da Silhouettes, sono Maquillage (p. 24), Morbidezza (p. 23), Perfume (p. 44).
[2] T.E. Welby, Arthur Symons. A Critical Study, Philphot, London 1925.
[3] R. Lhombreaud, Arthur Symons. A Critical Biography, The Unicorn Press, London 1963.
[4] F. Oliverio, L’opera poetica di Arthur Symons, in Saggi di letteratura inglese, Laterza, Bari 1923.
[5] R. Lhombreaud, Arthur Symons. A Critical Biography, cit. p. 25.
[6] C. Baudelaire, Elogio del trucco, in Scritti sull’arte, Einaudi, Torino 1992, pp. 305-306.
[7] Brano citato in R. Lhombreaud, Arthur Symons. A Critical Biography, cit., p. 215.
[8] Ivi, p. 9. Sul tema del giglio si potrebbe accennare almeno ad un’altra poesia, questa volta della maturità di Symons, dal titolo Mater Liliorum, in A. Symons, Poems, cit., p. 132.
[9] Cfr. R. Lhombreaud, Arthur Symons. A Critical Biography, cit., pp. 86-87.
[10] Cfr. R. Ellmann, Oscar Wilde. Una biografia, Rizzoli, Milano 1991, p. 113.
[11] Tanto da dedicare loro alcuni studi: Dante Gabriel Rossetti, in A. Symons, Figures of Several centuries, Constable and Company, London 1916, pp. 201-206 e The Rossettis, in A. Symons, Dramatis Personae, Faber and Guyer, London 1925, pp. 118-131.
[12] G. D’Annunzio, Il piacere, Mondadori, Milano 1983, pp. 372-373.
[13] Cfr. A. Symons, Gabriele D’Annunzio, in Studies in Prose and Verse, Dent, London 1904, pp. 129-142.
[14] C. Baudelaire, I fiori del male, a cura di G. Bufalino, Mondadori, Milano 1983, p. 47.
[15] Per il tema della donna fatale a cavallo tra Otto e Novecento si vedano soprattutto B. Dijkstra, Idoli di Perversità. La donna nell’immaginario artistico filosofico letterario e scientifico fra Otto e Novecento, Garzanti, Milano 1988; l’ormai antiquato (la prima edizione è del 1930) ma per certi versi ancora attuale M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Sansoni, Firenze 1984, oltre allo scarno G. Buttazzi-A. Mottola-Molfino (a cura di), La donna fatale, De Agostini, Milano 1991.

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