
La mia città
La mia città non è una città
vive tra il fiume e la campagna
è sospesa vicino alle colline
e se lì scavi puoi scoprire
pesci venuti dal passato
scolpiti nel calcare:
l’azzurro del cielo come il mare è solo in sogno
nel silenzio, sotto il bianco delle pietre
e i pochi cespugli di fiori.
I rami di alberi che non sono più alberi
scendono a toccare il fiume
sbattono sui massi, rompono
le gelide acque sconvolte dal silenzio –
lontano il Secchia scorre nel buio –
ma è la visione di un giovane fiume,
andato via.
Città d’inverno
chiusa nella nebbia
che aspetti la stagione più bella
nel sole della primavera
(un prato strano violazzurro
che si staglia a ventaglio
contro un nuovo palazzo bianco
e i fiumi delle ceramiche
come fossero estive nuvole naturali…)
che oggi finalmente vedo e non ricordo.
I fiori serrati fra vecchi muri,
erbe rinsecchite
l’odore forte del fiume, –
vicino a me come da sempre
una voce armata,
il pesce alato nascosto nel calcare
la melma grigia, perenne, sopra i sassi
di fragili muschi volati via.
La piazza è un rettangolo incantato
(dall’alto, nel verde,
scendendo verso la città…)
il campo ghiaioso – bucato di un cortile.
Ed è dolce la tristezza –
come l’aria al mattino
fra le case
di un’estate lontana.
Non voglio e non vorrei essere la mia città
– e che io ci creda o non ci creda
il mio sangue scorre
fra quelle cave d’argilla –
ma troppo vicino e simile a me
è il battito
il freddo del suo inutile cuore
© Andrea Gibellini

3 risposte a “I poeti della domenica #443: Andrea Gibellini, La mia città”
Che bella!
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L’ha ripubblicato su Matteo Mario Vecchio.
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La poesia e’ bella, bella assai. Fa pensare a Diego Valeri nel suo tono temperato e nella riconoscenza della terra e le acque che circondano e in qualche modo definiscono “la citta’” — sara’ Modena?
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