– Nie wieder Zensur in der Kunst –
Cantano l’infinito le nuove poesie di Antonio Prete – Tutto è sempre ora, nella “bianca” Collezione di poesia Einaudi, 128 pagine – l’infinito del dettaglio, del frammento di sguardo, del “tempo” del cielo, del paesaggio, dello scorrere dei giorni. L’infinito di cui lo scrittore salentino è cantore ed esegeta, l’infinito leopardiano, il limite che prelude agli «interminati spazi» dell’immaginario. Ma il libro è anche cantico delle creature, coro del mondo, contemplazione di un paesaggio solitario dove le figure – siano case, prospettive o persone – hanno la fluidità del sogno o la luce innamorata del ricordo.
…Gli autori che Prete tanto ama e a cui ha dedicato studi fondamentali – Leopardi su tutti, Baudelaire, Celan, Jabès – tornano controluce in queste liriche: sono intonazioni, velature, in uno stile che è rarefazione della scrittura, voce del silenzio (e il silenzio è uno dei temi-tessuto di questo libro).
…Le citazioni non sono innesti eruditi, entrano nella scrittura – vedi il «nero latte dello sterminio» (p. 43) di Azzurro, nero che rinvia al «nero latte dell’alba» della celaniana Todesfuge.
…Il titolo, Tutto è sempre ora, cita l’Eliot dei Quattro quartetti («And all is always now»), epigrafe in Nel respiro dell’ora che intona anche il pensiero del libro – viene da citare il titolo, bellissimo, del saggio di Prete sullo Zibaldone leopardiano, Il pensiero poetante (Feltrinelli, Milano 1980) – esplicitato dal frammento della Bhagavagītā, VI «…e stima uguali una zolla di terra, una pietra e l’oro»: «Il transito, la cenere, l’aurora / tutto è sempre nel respiro dell’ora»; «Gonfio di tempo, e profondo, è l’istante» (p. 50).
…Alida Airaghi, in una breve nota su sololibri.net (3 ottobre 2019) scrive dello stile di Prete: «La rarefazione, l’immaterialità, la “perlata trasparenza” in cui cose e persone si trasformano, divenendo quasi evanescenti, è evidente nel riproporsi di alcuni termini: ombra, chimera, piuma, nuvola, sabbia, soffio, profumo». E, rispondendo a una domanda di Massimo Cappiti nel saggio-intervista ”Il respiro poetico del sapere” (“L’ospite ingrato”, 24 ottobre 2018) il poeta salentino dice che «il compito (o il miracolo?) dell’arte […] è quello di nominare le cose accogliendo la loro presenza, la luce del loro esserci, e allo stesso tempo mostrando la loro intima appartenenza all’orizzonte della sparizione. Un movimento che porta ogni forma dell’apparire nel ritmo del vivente». E il «ritmo del vivente», in questo libro, è in ogni pagina. In Solstizio d’inverno (p. 10), dopo un quadretto trakliano – «Lungo il ciglio, sopra il muschio, / cadono foglie morte dai noccioli, / Sul tronco del cipresso il lichene / ha figurato sagome d’animali. / Il canale ristagna lungo gli olmi» − annota il poeta: «Il ritmo del mondo, sai, pare dica / priva di voce una voce, è anche in questo / andare prima di sera, tu e il cane, / lungo uno stradone, gli occhi sul ciglio / d’erbe, sugli alberi spogli di tempo, / sulle tracce che fanno disegni sulla mota». Il paesaggio – che non ignora il dolore della storia, come nella poesia sui migranti e il naufragio di Lampedusa (3 ottobre 2013) sotto un cielo (una natura) leopardianamente indifferenti dove «il cielo guarda con occhi di pietra» (p. 12) o è un cielo silenzioso (p. 17) – è teatro del dolore o di una domanda destinata a restare senza risposta, come la Natura che non risponde all’Islandese ma si dissolve in una tempesta. Ma il paesaggio è anche lingua, anzi «giardino della lingua» (p. 14; a p. 27 l’autore scrive «il nido / della parola»; a p. 72 «in un cantuccio tra il silenzio e la parola») mentre Prete è anche un paesaggista (si veda la bellissima “Dicembre” di p. 18).
…Se questo libro è scritto in punta di pennino nel giardino della lingua, nella lingua nascono invenzioni o derivazioni lessicali ben oltre il gioco, hanno la necessità di andare oltre le gabbie del vocabolario (soprattutto in Mercoledì delle Ceneri, p. 20 e L’apparizione, p. 24): disombra, albescenza, disinverna, chiarìo, sfrascò [il silenzio], una zanzottiana «vespertina ombria» (p. 22), diroccia, s’inselva (p. 32), il mareggiare degli ulivi (p. 45); «Sale dal vuoto / il ricordo, s’infigura» (p. 53); «si sfoglia / s’infoglia» (p. 81); torna persino “nivea” (p. 28), lemma qui miracolosamente liberato dal collegamento pubblicitario a una marca di creme.
…Ma le citazioni si rincorrono, sempre senza civetteria, echi dell’intenso lavoro di decenni del Prete saggista e traduttore: c’è persino Dreams di Kurosawa (le nozze delle volpi); quadretti leopardiani – Visita dell’aurora, Estate, prima di sera – i ricordi di Antonio bambino nel Salento dove è nato: ogni immagine è presente allo sguardo eppure ha il tono della nostalgia (altro tema indagato dallo studioso, a lungo docente di Letteratura comparata all’Università di Siena, autore di libri fondamentali come Trattato della lontananza, Bollati Boringhieri, Torino 2008; Il demone dell’analogia. Da Leopardi a Valéry: studi di poetica, Feltrinelli, Milano 1986; Compassione. Storia di un sentimento, Bollati Boringhieri, Torino 2013, un altro recente studio leopardiano, La poesia del vivente. Leopardi con noi, Bollati Boringhieri, Torino 2019), è un canto del paesaggio che è il canto della vita, l’illuminarsi del senso attraverso le cose, sino a un verso stupendo: «L’ora si sfoglia in istanti viola» (p. 57).
…Delle cinque sezioni di questo libro, la terza, Lengua mara, “Lingua amara”, è nel dialetto di Copertino, il paese del Salento dove Antonio Prete è nato nel 1939: sono quattro poesie, due – ‘Na ‘intata (Una ventata) e Poi comu nee (Poi come neve) – sono due capolavori.
…Tutto è sempre ora è anche diario: di ricordi, amici, paesaggi e città: il Salento, Milano, Venezia, la Liguria vista dal treno, Colonia, New York, Lisbona. E se è l’endecasillabo il verso madre di quasi tutto il libro, Prete non si nega al sonetto – uno, delizioso e amaro, è Sullo stato della lingua italiana (p. 92) – e a brevi “prose d’inverno”, forse sogni, o enigmi, o pitture, o incanti (a proposito: se tutto il libro ha la trasparenza dell’acquarello c’è un testo, L’una e l’altra vista, p. 79 – dove la forza del colore è da pittura a olio).
…Tante le citazioni: ma Prete è così innamorato della letteratura viva che nessuno dei rinvii testuali è accademico, anzi: si legga Dolce color d’orïental zaffiro (p. 107) che è sì Purg. I, 13 ma è, leopardianamente, «in quella luce estrema la lontananza». Prete come Leopardi ma, invece della penna d’oca alla luce di una candela, per scrivere ha la tastiera di un computer e la dolcissima malinconia è quella della Sera del dì di festa. «Guardava fuori, di là dalla finestra della stanza», l’incipit di Pensieri sull’armonia (p. 109), è la finestra da cui Leopardi amava il mondo. Ed è un altro sguardo a concludere il libro (p. 112): in una strada dove «le foglie degli alberi erano parole» l’autore vede un funambolo attraversare il cielo alle note di un violino che suona Paganini. Un incantesimo, come tutto questo libro..
© Roberto Lamantea
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