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Cristina Bove, Una donna di marmo nell’aiuola

Cristina Bove, Una donna di marmo nell’aiuola. Prefazione di Annamaria Ferramosca, Campanotto Editore 2019

Colma della sapienza di chi ha assaporato prospettive e dimensioni plurime in viaggi ampi, perfino estremi, ancorché senza usuali lasciapassare, mezzi di trasporto o documenti di transito, Una donna di marmo nell’aiuola, la raccolta più recente di Cristina Bove (con prefazione di Annamaria Ferramosca, Campanotto Editore 2019), predilige l’endecasillabo per dare vita a resoconti, a illuminazioni, a rilevazioni e a rivelazioni in un continuum sì armonioso, tuttavia non disgiunto dalla registrazione di note dissonanti.
Per chi legge e ascolta da anni la poesia di Cristina Bove questa raccolta è una conferma della originalità della sua voce poetica e, inoltre, un passo avanti dal punto di vista progettuale, del filo conduttore così come di tutto l’impianto. In un passaggio della quarta poesia del volume, Farsi parola e nome, si annida la chiave di accesso a Una donna di marmo nell’aiuola: se l’esistere con consapevolezza – progressiva, ma pur sempre consapevolezza – significa riconoscere la prossimità di punto di partenza e punto di approdo, in una dimensione straordinariamente ampia, ben oltre la sfera individuale, è importante, d’altro canto, individuare, analizzare, contemplare, perfino, le fasi ‘intermedie’ di quel costante perdersi, equivocare, illudersi ed errare che è il camminare su questa terra: «in fondo sono luce anche le pietre/ e noi gherigli dentro un mallo amaro/ che mettemmo tra noi per farci noi/ di vista incerta _ch’eravamo dio_/ per ritrovarci dopo esserci persi/ e questo è il gioco».
Illuminata anche dal richiamo a Little Gidding, il quarto dei Quattro quartetti di Eliot («e il termine d’ogni nostro ricercare / sarà arrivare lì dove iniziammo», nella mia traduzione), a chi percorre queste pagine di Cristina Bove si palesa una caratteristica fondamentale, vale a dire la presenza di un movimento che da altezze vertiginose (da un trauma, da una cesura irreversibile sono derivate, così come narrava l’autrice nel romanzo Una per mille, doti spiccate di discernimento), dalle quali è possibile intuire essenze e persistenze attraverso lo spazio e il tempo (a ragione Annamaria Ferramosca scrive del ritorno della “dimensione cosmica”), si avvicina, si fa sempre più dappresso all’obiettivo dell’attenzione, per evitare equivoci e banalizzazioni, oltre che per affondare con la maggiore precisione possibile la lama della parola nel tessuto molle delle auto-giustificazioni, delle scusanti e dei bassi interessi.
Non c’è pausa in questo moto incessante che va dall’estrema rarefazione del dire, dai voli mistici, perfino dai toni cromatici e musicali della spiritualità, fino alla fustigazione puntuale e amarissima di quelli che ebbi a definire “riti tribali affantoccianti”.
L’eterea presenza di luce – candida e celestiale tra chioma e pupilla – è anche la impeccabile, tra asettica e implacabile, ricercatrice delle umane falle, di ipocrisie e incoerenze: «Insieme d’incostanze: l’io depone/ l’uovo del suo sentirsi unico/ tra le infinite repliche/ nasce l’uomogirino e in una virgola/ a sua insaputa è già cambiato il mondo/ i tu/ i voi/ i noi/ i loro».
Di varia natura e ampiezza, così come le dimensioni toccate, sono le fonti alle quali si abbevera lo spirito, di cui si nutre una penna che, per ricorrere a una metafora che in questa raccolta fa apparizione, tutto fa tranne che semplicemente imbrattare e imbibirsi di inchiostro. A chi legge affido il compito di individuarle, oltre i confini delle belles lettres, oltre le distinzioni tra letture filosofiche, scientifiche e divulgative, tra musica e arti figurative.
Quello che resta, straniante e rivelatore insieme, è una cifra inconfondibile; quello che resta sono la tela, i colori, la tessitura della poesia di Cristina Bove.

© Anna Maria Curci

 

Farsi parola e nome

Che sono mia e non delle correnti
d’acqua o d’aria che fossero
appartengo alle luci che s’impigliano
tra figlifiori alle pareti e luci
che quando sto per dire è notte
mi splendono il mattino

appartengo alle voci, anche
in cantilene da memorizzare
il silenzio mi s’annida nel petto _non lo temo_
e mi spartisce in due che più ne sanno
di questa donna all’apparenza vetro
ma siderale invece, quasi temprata stella

come del resto tutti, astri caduti e smemorati
dell’infinito che ci tesse intorno
noi che facciamo finta
d’essere microscopici e mortali

in fondo sono luce anche le pietre
e noi gherigli dentro un mallo amaro
che mettemmo tra noi per farci noi
di vista incerta _ch’eravamo dio_
per ritrovarci dopo esserci persi, e questo è il gioco

quanto c’incuriosisce il movimento
dai solstizi alle suole delle scarpe
eppure sempre noi
pensiero che stormisce nella carne
in un continuo scorrere d’abbagli
quel pensiero
nostra dimora vera inalienabile.

Se solo ricordassimo l’immenso
quando ci prende e ci asserisce il male!
Se solo ci sapessimo morire
alle misure, ai calcoli, ai confini
_e viverci d’eterno!_

 

Filogenesi metafisica

Insieme d’incostanze: l’io depone
l’uovo del suo sentirsi unico
tra le infinite repliche
nasce l’uomogirino e in una virgola
a sua insaputa è già cambiato il mondo
i tu
i voi
i noi
i loro
principiano giornate sotto il sole
in questa dimensione da pantano
schiude la consistenza
accenna la variabile

si nasce tondi e non si muore quadri
tuttavia
non esistendo stampi nel difforme
oltre le coordinate dei batraci
si può nascere tondi
morire quadri
e non finire mai

 

Esaurivento

Mi si è seduto accanto
il maestrale
ripido come tutte le tempeste
e s’è acquietato
immoto
non ha più nome ora ch’è ammutolito
e non può dirlo a me_roccia mancata_
precipitata dentro un cuore
donna da parte a parte

e vidi tutti gli occhi degli umani
aprirsi come fiori di torrente
scorrere nella valle della vita
imbacuccati d’aria per volare

di me vidi la tana dei pensieri
incanutirsi al lume dei ricordi
le mani prigioniere del granito

le pietre non carezzano le pietre
_è compito del sole farle vive_

 

Dal carbonio al pensiero

Materia e antimateria
e qui ci siamo
il periplo del nulla eppure tutto
a dirsi romanzati
o proiettati in stanze versi eccetera
raccontare di noi
del permanere sulle scale mobili
in equilibrio instabile
mentre il mondo ci manca
o noi manchiamo al mondo

4 risposte a “Cristina Bove, Una donna di marmo nell’aiuola”

  1. la parola grazie è talmente riduttiva, rispetto alla gratitudine che provo, che dovrei scriverla in caratteri cubitali… ma non basterebbe il foglio.
    proietto allora ogni emozione in quell’oltre che tu cogli perché ti appartiene.
    tuttavia la dico: GRAZIE!

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