– Nie wieder Zensur in der Kunst –
LAGUZ ᛚ
Cosa ne sanno i vicini del tuo canto
Estivo che sovrasta quello sgraziato
Delle rane che non si arrendono a
Perpetuare lo strazio del male
Cosa ne sanno i vicini degli abusi che
Hai subito da bambino, cosa ne sanno
Dell’emarginazione, del rifiuto di un
Corpo che non hai mai sentito reale.
Ai vicini basta che l’orario condominiale
Sia rispettato, il decoro che poi uno può
Fare quello che vuole, ma se si va in bici
Con la minigonna, poi i bambini si potrebbero
Turbare… Che poi dicono che faccia entrare
Ospiti a tutte le ore… No, non sono affari nostri…
Cosa ne sanno i vicini del tormento di Liù
Di una schiava innamorata in una sera
Di luglio a profetizzare il tuo squarcio
Quando ero in Brasile volevo entrare in
Convento, fare del bene, adottare gli orfani
Non si può dire dell’abbandono…
Se canto tutto scorre e torno felice, quando
Canto non sento le voci, le sirene, non ci sono le
Stanze d’ospedale, le lavande gastriche, il terrore
Del tumore, all’inizio pensavo di serbare
Una vita dentro la mia pancia…
Cosa ne sanno i vicini di un sogno
Infantile reso armonia dall’aria di Armida
Se canto tutto scorre e torno felice
Dio crede che anch’io sia una sua creatura.
È stanca, smette di parlare, ci sorride,
Torna a passeggiare lungo il confine del giardino
URUZ ᚢ
Sapessero tutti che l’irruenza del toro
La forza primordiale
Del cosmo
Non può essere imprigionata
Nelle reti illusorie dell’io-mondo
Nelle trame del cacciatore del tempo
Quando in principio vi era solo il silenzio
Del vuoto
Sapessero tutti che dall’irruenza
Del toro
È nata la sofferenza dell’anima
Per il corpo
Prima ancora della parola
TEIWAZ ᛏ
Nel dominio del maschile
Hai deciso di seguire la legge del padre
Per impedire all’istinto di prevalere
Come il Dio che esegue il comando di
Odino e pone la mano a sacrificio
Tra le fauci del lupo
Hai preferito la resa momentanea
L’ordine plasmato dalla norma
All’amore incondizionato dell’animale
PERTH ᛈ
Dovremmo accettare le semplici regole
Del gioco antico, come pedine dorate
Mosse dal destino
Se abitiamo la stessa notte femminile
Se nel sogno impudente dopo mesi
Mi baci mordendo il labbro, se con leggerezza
Mi cingi i fianchi, i capelli in questi mesi
Ti sono cresciuti, se ridiamo
Del buio che ci ha avvolto, se i nostri
Corpi sono rigenerati dall’argilla bianca,
Dall’idromele che portiamo in dono
Alla signora del cielo
Allora come posso dirti
Della fatica di desistere, come posso
Tacere di questa prova a cui mi sottoponi
Se manchi nel giorno, amore.
OTHILA ᛟ
Pensare all’impensabile ora che l’autunno avvolge e lenisce
Le nostre mani che aderiscono al torace è testimonianza naturale
Del tuo incarnato, come se da sempre il tuo ovale mi accompagnasse
Nella trasparenza del giorno.
Seduti a tavola, mentre parli, l’iride assimila il tuo corpo mistura
Per amori di canapa e limo.
Ho pensato ai tuoi antenati, ai tuoi lari che da bambino conoscevo
A memoria, i paramenti ufficiali le vesti ricamate dei visir, i giochi e
Gli onori per giovani futuri faraoni trapiantati in una terra contadina
Concreta come la parola che utilizzi più per i morti che per i vivi.
Con tremore, ci esponiamo, accenniamo al novembre che ci attende
Annunciato dalla melagrana e dal fiore che cresce sotto la cenere.
Nell’abbracciarsi è la separazione dal desiderio, dall’impronta della tua pelle.
Nota: Runa in norreno indica il sussurro o meglio il segreto sussurrato. L’alfabeto runico, composto da venticinque glifi, che affianco alla traslitterazione, rappresenta l’antica sapienza dei paesi scandinavi. Le Rune – per chi scrive – sono archetipi junghiani della Natura, capaci di incarnare e smuovere flussi energetici, e di essere sostanzialmente il contraltare della vita.
Laguz è la Runa dell’acqua, del cambiamento, del continuo fluire. Lìù è il personaggio della Turandot, Armida è la protagonista del dramma per musica in tre atti di Rossini. La poesia è dedicata a una ragazza transessuale che con pudore dolente vive la sua condizione di essere umano.
Uruz è la Runa del toro, la forza primordiale, rispecchia l’aspetto più arcaico della nostra anima. È il potere indomabile insito nello spazio creatore.
Teiwaz è la Runa del maschile, del dio Tyr- colui che dopo aver cresciuto il lupo Fenrir sacrifica la sua mano per il bene momentaneo dell’umanità. In questo testo, però, il predomino maschile limita e intacca l’anima imponendo l’ordine e la legge della società.
Perth è la Runa della valenza femminile dell’iniziazione, presieduta da Frigg, moglie di Odino e signora del cielo, appunto. Nel sogno le distanze con la persona amata si colmano e diventano superflue.
Othila è la Runa che conclude l’alfabeto, il futhark antico. È la runa degli antenati, delle nostre radici grazie ai quali torniamo pienamente nella vita, consapevoli del nostro posto nel mondo. E può come in questa poesia coincidere con un nuovo interesse, un nuovo sguardo, forse.
© Andrea Breda Minello
Bravo! Ho letto con interesse e ne ricavo il senso di poesia potente e sanguigna, cosa rara.
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