AA.VV., «Autografo 58» Natalia Ginzburg, a cura di Maria Antonietta Grignani e Domenico Scarpa, Interlinea 2018
Il numero 58 della rivista «Autografo» (2018), fondata da Maria Corti e diretta da Maria Antonietta Grignani e Angelo Stella, è un volume monografico dedicato a Natalia Ginzburg che affronta “neo-geograficamente” la scrittura di un’autrice che, sempre di più in questi anni, è tornata all’attenzione della critica non solo specialistica. Una delle ragioni che muovono questa pubblicazione, come segnalato nella premessa dalla stessa Grignani e da Domenico Scarpa, è il convegno organizzato da Giada Mattarucco all’Università per Stranieri di Siena (14-15 marzo 2017), a breve distanza dal centenario della nascita della scrittrice.
Non soltanto affondi plurimi nel mondo culturale e letterario della Ginzburg, da angolazioni diverse, a segnare un territorio che possa proporre la sedimentazione di alcuni aspetti dell’opera forse non considerati sinora o del tutto trascurati − anche gli autori più indagati, spesso, nascondono nelle pieghe dei loro materiali, qualcosa di inedito, ancora da decifrare. Ciascun saggio restituisce quella «difficoltà a parlare di sé» proposta da Alessandra Ginzburg come qualità peculiare della madre Natalia (pp. 11-14), una “complessità” incarnata anche nel ruolo di intellettuale che lei ricoprì durante il secondo Novecento, che trova tuttavia origine nel periodo che precedette la seconda guerra mondiale, in un territorio − come scopriremo anche da questa pubblicazione − in cui si fondano alcune prospettive future della nostra. L’espressione di una creatività polimorfa l’ha portata, infatti, a perseguire “rotte” inattese che, nel volume, riescono a presentarsi in primo piano e concorrenti a rendere il dibattito critico sulla scrittrice più attuale e peculiare.
Fatta eccezione per Scarpa, la raccolta vede una presenza tutta al femminile di studiose che si sono misurate con un diverso approccio alla scrittura di Ginzburg, scoprendo “territori” fecondi, interni o inversamente esterni all’opera; questi critici sono stati in grado di tracciare percorsi di comparazione che amplificano l’eco ginzburghiana anche nel panorama della letteratura internazionale, e rivelano l’importanza di dettagli non marginali connessi al lavoro editoriale, portato avanti dal secondo dopoguerra in poi come sappiamo soprattutto con la casa editrice Einaudi. Se ciò potrà apparire atteso e anche un po’ vago, una più attenta lettura dei singoli scritti evidenzierà i legami che ciascun saggista ha saputo intessere con gli altri, in un libro ricco di ispirazione anche per studi futuri.
Il testo memoriale della figlia Alessandra è seguito dal saggio di Maria Antonietta Grignani dedicato alla narrativa e al teatro dell’autrice. In esso si focalizzano alcune scelte linguistico-stilistiche concentrandosi sulla “voce” come strumento espressivo ed estetico-narratologico, su cui le pièce (e non solo) paiono fare perno. La voce dei personaggi costruisce quella che Grignani definisce una «scenografia verbale» a proposito del romanzo del 1961 Le voci della sera, qualità presente anche nel teatro autoriale, che viene percorso da un punto di vista mai affrontato sino a qui.
Domenico Scarpa dedica un ampio saggio alla traduzione di La strada di Swann di Proust, che Einaudi licenziò nel 1946 dopo numerosi anni di lavoro di Ginzburg anche durante l’esilio abruzzese del tempo di guerra. Lo scritto di Scarpa, dal titolo Falsi amici, si concentra in particolare sull’epigrafe alla prefazione del romanzo, su cui si spendono numerose pagine. Si tratta di una scelta che ha un’incidenza inedita sia sul mestiere di traduttrice sia sulle scelte intellettuali della scrittrice. Il testo, andando a fondo a quest’ultima questione in modo appassionato, fornisce altresì le direttrici del lavoro del critico di Scarpa: dal suo laboratorio critico emergono le domande che si pone, le piste che ha seguito – pur fallendo – e i risultati ottenuti nel confronto con altri esperti. Un saggio, questo, che anche isolato avrebbe avuto la forza incessante di un “fare critica” considerando anche gli angoli ciechi e, ancor di più, le evidenze non evidenti: tutto ciò che sta sotto i nostri occhi e non riluce dopo un prima osservazione.
Il saggio di Anna Stella Poli porta alla riflessione sulla narrazione dedicata a Manzoni in un confronto serrato (e caustico) con il libro di Mario Pomilio e con le posizioni di Sciascia espresse negli anni Ottanta sull’autore lombardo, mentre Emmanuela Carbé analizza filologicamente l’«elaborazione» di Lessico famigliare, scavando «Fino alla pura memoria» nel testo manoscritto conservato nel Fondo Ginzburg, all’interno del Fondo Manoscritti dell’Università degli Studi di Pavia grazie al lascito di Maria Corti. il lavoro filologico sino a qui è intenso e puntuale, e rivela un continuo rimestare nelle carte per far affiorare (come nel caso di scarpa e diversamente) ciò che ancora non è stato detto. Entrambe le saggiste nutrono le proprie Appendici di materiali inediti (cosa non scontata, come si è detto all’inizio), così come sono raccolti da Domenico Scarpa alcuni Inediti e rari a chiusura dell’intero volume monografico, testimoniando così la cura nei confronti di «articoli, lettere e pareri editoriali» che compongono uno sfaccettato quanto intatto Breviario ginzburghiano.
Giada Mattarucco indirizza il proprio studio verso la letteratura per ragazzi amata dall’autrice piemontese, riconoscendo quali siano stati i testi di formazione che l’hanno incuriosita tanto da condurla, nel 1981, alla stesura di un’antologia per la De Agostini co-curata insieme all’amica Clorinda Gallo, moglie di Niccolò Gallo.
Il saggio di Giorgia Benedetta Erriu esplora in termini comparatistici elementi stilistici ginzburghiani e di Ivy Compton-Burnett e Harold Pinter, riuscendo a dimostrare in termini comparatistici quella «sfrenatezza dialogica» già rilevata da Grignani nel suo scritto, con cui questo è in rapporto stretto. Anna Baldini legge invece il volume di Giorgio Bertone Lessico per Natalia (il melangolo 2015) dal punto di vista del valido “sillabario autoriale”. Questo doppio tirare i fili di diverse “voci” autoriali e critiche, di nuovo e anche qui, si pone in modo congeniale a chiusura di una raccolta in cui si ha una continua risposta a canone tra gli studiosi coinvolti, che si dimostrano di continuo in una sintonia involontaria e parlante.
Le numerose “mappe” che Natalia Ginzburg ha disegnato per condurci nel presente, indicate diversamente dai saggisti, riconsegnano l’immagine dell’autrice a «figura intera», secondo l’auspicio dell’Introduzione, seguendo una “nuova geografia” testuale tracciata in modo impensato, coinvolgendo i lettori e proiettandoci nel dopo.
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© Alessandra Trevisan
Una replica a “«Autografo» 58. Natalia Ginzburg”
“Lessico famigliare”, un caposaldo della letteratura del Novecento da rivalutare così come la sua autrice.La prosa asciutta, mai ridondante, eppure altrettanto mai banale e povera. La capacità dello sguardo interiore con la condiscendenza per la flessione e per la debolezza, la nostalgia per quanto è stato, la consapevolezza che solo l’intelligenza di quanto è stato può essere strumento conoscitivo del presente,dei rapporti interpersonali, dei legai duraturi. Un’attitudine nello scrivere in prosa che dovrebbe essere sottoposta a rinnovata attenzione da parte del lettore e dello scrittore contemporanei per il perfetto connubio stilistico e di contenuto. Sembra appartenere a una stagione lontana questa distillazione, ormai davvero troppo rara nella letteratura contemporanea. Rileggere Ginzburg dovrebbe essere un monito ad abbandonare cascami sterili di non significanza e non comunicazione, di riflessione banale e di altrettanto banali argomentazioni che talvolta campiscono la narrativa italiana da troppo tempo.
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