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E un altro corpo dice: “Creatura breve” di Gabriele Galloni

 

Creatura breve (Edizioni Ensemble 2018) è il terzo libro di Gabriele Galloni, dopo Slittamenti (Augh edizioni 2017) e In che luce cadranno (RPlibri 2018), una trilogia unitaria che trova qui il suo momentaneo esaurimento. Il merito di Galloni è innanzitutto quello di avere avuto un’intuizione stilistica, e cioè la scelta di adottare il discorso sui morti come strategia retorica, come il punto di vista di qualcuno che contempla freddamente, con precisione autoptica, la realtà distesa sul tavolo. Esperienza scarnificata, ridotta alla cartilagine e all’osso: scrittura scarnificata, con accento emotivo spostato su qualcosa che non viene detto (un esperimento simile, altrettanto riuscito, è stato quello di Carmen Gallo, con i suoi appartamenti o stanze frequentati da figure intraviste, diafane, spettrali, come in un teatro d’ombre cittadino, un incubo svuotato dalla paura). Nessuna rilettura a posteriori della vita alla Edgar Lee Masters, nessuna costruzione etica sul mondo. C’è in questi testi come una sensualità raggelata, un Sandro Penna lunare, perfino nei componimenti più apertamente erotici, che abbondavano in Slittamenti e ritornano in Creatura breve: dettagli scabrosi colti con voyeurismo indifferente, “dietro il portone socchiuso” (Creatura…, p. 38). Che il nuovo libro prosegua nel solco del precedente lo mostra il primo testo, un outtake che descrive per un nuovo segmento le peripezie silenziose dei morti. La folla unanime degli estinti è infatti la stessa che riempiva In che luce cadranno, i morti continuano a popolare “l’inquieta vastità della casa” (In che luce…, p. 35), attraversano i corridoi, sostano nel bagno, in cucina, e su di loro convergono perfino gli apparecchi (il frigorifero “aperto nell’Erebo” – Creatura, p. 17 – o “in dialogo amoroso con le stelle” – In che luce…, p. 13). Ma soprattutto è come se Galloni nel suo terzo libro riprendesse un’intuizione già proposta nell’altro, che ogni discorso sui morti non può che diventare simmetricamente un discorso sui vivi, su quanto di morto i vivi si portano addosso, “i lapsus, gli inciampi, l’indicibile/ della conversazione” (In che luce…, p. 9), i “gelati/ caduti di mano ai ragazzini” (In che luce…, p. 45), “l’insieme di tutti gli oggetti […] che dimentichiamo puntualmente/ lungo la strada” (Creatura…, p. 18), le cose “le tante perdute” (Creatura…, p. 19), e al limite “due chiamate perse” (Creatura…, p. 44). La nota di commento surreale e ironica che chiude la sezione Ritratti di comunità in sei giorni (“Qui finisce la galleria di ritratti per il poco tempo concesso all’Autore”, Creatura…, p. 31) può quindi essere anche considerata come una dichiarazione di poetica, laddove poesia è tutto ciò che il poco tempo – e la poca luce caduta- ci ha mostrato prima che andasse perduto.

@ Andrea Accardi

Outtake

I morti naufragano negli specchi.
Ma quanta ne raccolgono, di luna,
prima di visitarti come vecchi
amici. Luna a porgerti la scusa
del cielo.

 

Fabula

Colleziona le foto dei suoi amici.
Le nasconde tra i giochi o nei quaderni
scarabocchiati della primavera.
Oltre seicento polaroid e tutto
il suo mistero è nel modo in cui dorme.

 

Fabula

Dietro la tenda l’ombra di una palma.
Pomeriggio. Domenica. Tijuana.
Sopra il letto, svestita, una salma
di bambina

 

Fabula

San Cono levitò per tutto il giorno.
Cadde stremato a sera nella quiete
di un roseto; sognò quello che secoli
dopo sarebbe stato un frigorifero.

Un frigorifero aperto nell’Erebo.

 

Fabula

Sognò intera la Rosa dei Beati.

Era l’insieme di tutti gli oggetti
(lampade, guanti, lame, scendiletti)
che ci portiamo dietro da una vita
e che dimentichiamo puntualmente
lungo la strada; in discesa o in salita.

 

Pro Verbis #5

È questo:
che il mondo
diventa le cose.

Le tante
perdute.

 

I

Padre Alessandro trucca i morti. Li
veste, li espone a notte sopra
il palco del teatro parrocchiale.

Quando è il giorno del loro funerale
li accompagna lui stesso in chiesa, mano
nella mano, nel caldo equatoriale

dell’incenso.

 

Fabula

Il tin-tin-tin-tinnio della moneta
caduta in terra l’attimo a precedere
lo scoppio. Il corpo asciutto dell’atleta
fa un balzo indietro; un altro sparo. Scivola
cosciente ancora il maratoneta
fra gli sconfitti della terra, rantola,
si aggrappa ai concorrenti che lo superano
pensando un incidente, un contrattempo
di piedi in fallo.
………………………….Sangue poco o niente.

 

Fabula

Eccolo, il Diavolo: è il bambino moro
scopato in bocca e in culo da due uomini
in un fiorito giardino andaluso.

Tuo padre, dietro il portone socchiuso.

 

Pro Verbis #6

Le conosco a memoria, queste stanze.
So bene come perderti ascoltando
l’acqua del corridoio in ombra: stanza
del mare.

 

Pro Verbis #0

In cucina è settembre. Due chiamate
perse. Il lavabo lucido; fantasmi.

E un altro corpo dice che ha paura.

 

4 risposte a “E un altro corpo dice: “Creatura breve” di Gabriele Galloni”

  1. Nonostante l’intricata ramaglia della selva, ove mal ci si orienta, c’è una grande prospettiva di curiosità in itinere. Pertanto il cercar di capire, comprendere le nuove sensibiltà che man mano emergono, sono fonti d’impegno non proprio semplici. Difficili le effettive assimilazioni delle novità per i ‘ diveramente giovani’. E lo sguardo sul Nostro cerca, e necessita, un lento, laborioso lavorio mentale per andare oltre la semplice assimilazione pratica, ma soprattutto concettuale. Lì per lì par vi sia, nei versi di Gabriele Galloni, una certa ‘freddezza’ riguardo ai temi cruciali trattati. L’universalità di codesti ‘misteri’ esistenziali, fanno da contrappunto al soggettivo punto di vista dell’autore, ma pur li mettono in circolo e ritornano nella consueta coazione a ripetere, in un certo senso. Ecco la complessità dell’intendere, per chi legge e, di conseguenza, cerca di capire.

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    • I ‘ diversamente giovani’ sono coloro che, come me, hanno serenamente superato la soglia dei 70 anni. Costoro hanno a che fare, gerarchicamente parlando, prima con la durata della propria vita, poi con la letteratura emergente. Cordialità,

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