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proSabato: Antonio Delfini

RITORNO IN CITTÀ

Il giorno in cui son tornato in città era tutto grigio.
Dopo aver ammirato dal treno quell’immensa distesa che è la pianura padana, dopo aver passato paesi illuminati nel primo oscurar del giorno, tra il fischio delle locomotive e il tornar dei ricordi in un turbine di pensieri senza freno, ho udito il tintinnio regolare della stazione, le solite voci dei facchini, ho visto il berretto rosso del capostazione tutto filettato d’oro, e l’ingresso fiocamente illuminato del ristorante.
Mi sentivo come quando ero bambino. Di ritorno dal mare. Le valigie da caricare e la bolletta dei bagagli da consegnare. A questo ci pensava sempre un uomo, che mi pare dovesse trovarsi lì tutti gli anni d’ottobre soltanto per noi. E poi c’era la carrozza che io volevo fosse sempre chiusa e con i vetri alzati. Poi si andava chi sa dove, lontano lontano, tra il rumore delle ruote in movimento sull’acciottolato. Invece dopo pochi minuti si arrivava a casa.
La gente delle due botteghe veniva fuori a vedere, davan la buona sera e rientravano. Qualcuno di loro rimaneva: la luce  a gas che illuminava la bottega, portata fuori a metter tristezza nel portico buio. La vecchia portinaia veniva su con noi per aprirci la porta,. Un odor di chiuso e la realtà di ricordi recenti.
Così mi sentivo e avrei voluto, in quel momento, dire agli uomini tutto il mio tormento, avrei voluto udire trombe e tamburi al mio passaggio: avrei voluto qualcosa di cambiato.
Perché riandando il tempo trascorso sento un nodo alla gola e vorrei che qualcosa mi distraesse. Come è poco mutevole il nostro tempo! Sempre quello.
Almeno per che appena uscito dalla stazione, ho guardato in estasi la mia città piena di nebbie e son tornato a dei ricordi senza pensiero e senza perché. Infatti ho preso una carrozza chiusa con i vetri alzati, e vi sono salito con una nostalgia nel cuore di fatti luci e cose passate, che proprio non sono quelle consistenti e piene di pensiero di cui, si dice, si debba parlare nel mondo.
Anche quest’anno la carrozza scorreva rumorosamente sull’acciottolato. Le botteghe del corso, il rumore dei tram, l’orologio del palazzo ducale, la gente che rincasava per l’ora di cena, eran sempre così: illuminavano ad un modo, andavan come sempre, batteva la sua continuità, pensavano alla stessa cena!
Io mi rannicchiavo in un angolo, guardavo il vecchio cuoio della carrozzeria sulla quale incominciava a battere una lieve pioggia, ammiravo la bombetta del vetturini. Di tanto in tanto m’attaccavo col naso al vetro ritmico del finestrino, cercando di riconoscere le facce note della gente che s’affrettava sul lontano marciapiede. Pensavo di una vecchia stampa, mai veduta, ma elaborata nella mia mente. Una vecchia stampa raffigurante dei passanti curiosi, i quali guardando la vecchia carrozza si chiedessero meravigliati: Chi è quel giovane signore? Donde viene?

Pensavo al mondo così sempre eguale.                                                       Chi lo sa se è sempre lo stesso mondo?                                                   Passò accanto un’automobile e chiazzò di fango il finestrino

 

ATTESA

Vieni.
Non penso più come allora alle nuvole bianche a quelle grigie a quelle nere,quelle dei temporali che ci facevano sorridere perchè ci davano l’attesa dell’imprevisto.
No, penso che un giorno avrei potuto avvicinarmi a te.
Ma tutto si allontana.
Sono sempre alla finestra, e le nuovole passano sopra la mia casa.
Guardo giù nella strada la gente che passa, e aspetto che in mezzo al silenzio compaia un ricordo
un ricordo per unirmi a te

È passata una carrozza con dentro un signore ben vestito
un venditore di frutta
una vecchiua che sembrava una bambina
un giovinotto che strascicava i piedi come un vecchio
un teatrino con le scene rosse e i burattini dentro.
Poi sono passati tutti i desideri della mia anima.

Più tardi, a sera, han suonato l’Ave Maria.
Ma io aspettavo che passasse un reggimento con la fanteria per udire una vecchia canzone.
Non lo sai che in questo tempo ho sempre pensato che sarei venuto un giorno sotto le tue finestre, con la fanfara a suonare quella vecchia canzone?

Non lo sai che mi si gonfiava il petto pensandoci?
E ti avrei visto sorridermi come ti ho sognata.
Con un gran mantello scuro
un fazzoletto al collo
un bel cappello largo in testa
mi sarei presentato  a te mentre le note della fanfara avrebbero allietato i nostri cuori.

Non ci hai mai pensato?
Vieni e ci penseremo.
Non voglio più stare alla finestra e, se non vieni tu, mi toccherà di rivedere ogni sera la vecchia, il giovanotto, il venditore di frutta, e quel teatrino rosso.
Ma quando torneremo a cantare – perchè quel giorno prima o dopo verrà – allora verrai.
e potrò chiamarti per nome senza arrossire ché adesso perfino l’aria mi ride dietro quando il tuo nome compare dappertutto perché le mie labbra l’hanno mormorato.

 

 

© Antonio Delfini, Autore ignoto presenta. Racconti scelti e introdotti da Gianni Celati, Einaudi, 2008


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