Una frase lunga un libro #74: Daniele Del Giudice, I racconti, Einaudi 2016, € 19,00
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L’utopia è necessaria, per cosa lottare altrimenti, l’oggetto d’utopia è ricco, abbonda, contiene perfino il suo contrario, il suo fallimento, maggiore è la passione e la precisione nell’elaborare l’oggetto tanto più il risultato contraddice e sbeffeggia l’intento.
Ogni volta che leggo un incipit di Daniele Del Giudice, che si tratti di romanzo, saggio o racconto (come in questo libro), avverto potentissima la sensazione della solitudine. Immediatamente tutto scompare, tutto si apre allo spazio che Del Giudice andrà a riempire con quello che ha scritto. Rimani tu e le parole che colmano man mano il vuoto. Vuoto che è del lettore e che è anche dello scrittore. Nel suo precedente libro, In questa luce, Einaudi 2013, Del Giudice scriveva: «Eccomi qui, davanti al foglio bianco. Quante volte, dalla prima? Quante volte ancora, fino all’ultima? Non son balle, scrivere è difficile. Per tutti.», ed è verissimo. Ma se è vero per lo scrittore è vero anche per il lettore. Il foglio bianco è come uno specchio e bisogna essere in due per vederci chiaro e poi riconoscersi, perciò la solitudine di cui parlavo è reale ed è un sollievo perché dall’altra parte del foglio bianco c’è uno dei più grandi scrittori contemporanei e leggerlo è un privilegio. I racconti sono usciti da qualche mese e sono tutti bellissimi, lo dico subito; sono accompagnati da una splendida introduzione di Tiziano Scarpa, che, tra le altre cose, scrive che negli anni ottanta e novanta quando usciva un libro di Del Giudice era un evento per critici e lettori. I problemi di salute di Del Giudice impediscono che questo evento possa ripetersi, purtroppo, ma questi meravigliosi racconti, un misto tra editi e inediti, sono qui adesso, restiamo soli con loro.
Non so mai bene come comportarmi Da un lato tenderei ad affidarmi in tutto a chiunque mi avvicini, dall’altro so che la mia condizione mi isola dalle altre persone.
Questo breve passaggio lo troviamo nel primo racconto della raccolta Nel museo di Reims, uno dei più noti tra quelli già editi. Qui, il protagonista che soffre di una malattia agli occhi, e che decide, fino a che la vista glielo consentirà, di andare a visitare musei di varie città per guardare – forse – per l’ultima volta quadri che ha amato, che ama o a cui in qualche maniera si sente legato, definisce perfettamente, non solo la condizione di precaria fiducia nei confronti del prossimo, ma anche il rapporto privilegiato e ipnotico che Del Giudice stabilisce con il lettore. Lo scrittore ci chiede di affidarci a lui, di fidarci della storia che ha inventato, e ci ricorda che questo rapporto fiduciario vale solo se si è in due. La passione per una storia letta potremo condividerla solo dopo, a libro chiuso, fino a quel momento niente altro ci riguarderà. Tutti i personaggi di questi racconti partono da una condizione di solitudine che però non lo sarà mai per troppo, non lo sarà soltanto. Ed ecco il rapporto a due, ecco la fiducia, la spinta e la curiosità. E poi i temi ricorrenti: quello del tempo e della sua importanza, o importanza relativa, nel racconto Mercanti del Tempo, si sperimenta il tempo da preservare e da reinventare, da qualche parte in Norvegia qualcuno lo conserverà in contenitori vuoti, e ognuno potrà comprarne un pezzo. Acquistare, cioè, qualcosa che non esiste, la vera utopia. Riempire un vuoto con un altro vuoto, il massimo per qualunque ossimoro. Un altro tema che torna è quello dello spazio in cui muoversi, raramente i personaggi di questi racconti stanno fermi in una casa, in un solo luogo. Se sono al chiuso è più facile che si tratti di un treno, di un ristorante o un albergo di una città straniera. Se sono all’aperto, quell’aperto sarà un cimitero misterioso e sconosciuto, nella città più misteriosa del pianeta che è Napoli. E poi Rabat ed Edimburgo, e poi il ghiaccio, il Polo, il gelo assoluto. Ogni storia è completamente diversa dall’altra. Del Giudice non si limita a raccontare qualcosa che non esiste, racconta una fantasia che per miracolo diventa una realtà possibile e credibile. La forma non è mai una sola: in un racconto, Evil Live, due sconosciuti si sfidano a colpi di email raccontandosi una storia di terribili combattimenti notturni, che siano veri o inventati non conta, conta chi scrive e chi legge, conta il loro rapporto, ancora una volta. Un racconto è soltanto una lettera, una storia racchiusa tra un «Mia cara Kathleen» e un «Tuo Edward».
Molto di quello che amiamo e che dovremmo preservare nella narrativa è racchiuso in queste pagine. Storie come L’orecchio assoluto sono anche dei veri e propri manuali di scrittura, perfetto esempio di tecnica fusa alla grazia. Perché di Del Giudice dovremo sempre ricordarci che ogni singola frase è pervasa da tutta la grazia di cui abbiamo bisogno.
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© Gianni Montieri
2 risposte a “Una frase lunga un libro #74: Daniele Del Giudice, I racconti”
L’ha ribloggato su gianni montieri.
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[…] La recensione è uscita a ottobre e la trovate qui: DelGiudice/IRacconti […]
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