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Maria Giudice: nella storia e nella ‘memoria’ di Goliarda Sapienza

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(© Archivio Sapienza-Pellegrino)

Maria Giudice è stata una figura cruciale per la storia del Novecento: socialista, tra le prime sindacaliste e proto-femministe italiane (ed europee), giornalista, attivista dall’eccezionale vitalità e dinamicità, Giudice era una ‘donna atipica’ per la sua contemporaneità, in grado di dedicare il proprio sé agli altri con innata generosità. La sua forza – politica e culturale insieme – emersa nelle battaglie per i diritti dei lavoratori socialisti e in difesa delle lavoratrici, nei dibattiti e negli scioperi che l’hanno più volte condotta in carcere, è stata oggetto di studio negli ultimi vent’anni non soltanto da parte della storia contemporanea: la narrazione della sua vicenda, che attraversa due secoli e gli anni che vanno dal Ventennio al 1953 (in cui è morta) è anche al centro dell’opera della figlia Goliarda Sapienza, come vedremo.
Vi sono almeno tre punti di partenza che aiutano a mettere in luce l’importanza di Maria Giudice nel panorama della prima metà del secolo scorso: il racconto storico ‘su di lei’, i suoi ‘testi politici’ e la memoria che Sapienza ha tenuto in vita non solo nei romanzi ma anche nei Taccuini degli ultimi anni, che sviscerano peculiarità importanti e, fino ad oggi, poco considerate altrove, aprendo così a un’indagine diversa.
La biografia di Giudice è stata puntualmente tracciata da Giovanna Providenti, biografa di Sapienza, sia in La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza (Catania, Villaggio Maori, 2010) sia in un articolo apparso nel 2007 su «Noi Donne», i cui contenuti sono frutto di un’elaborazione di fonti provenienti dalle monografie a cura di Vittorio Poma, Una maestra fra i socialisti. L’itinerario politico di Maria Giudice (Bari, Laterza, 1991), e Jole Calapso, Una donna intransigente. Vita di Maria Giudice (Palermo, Sellerio, 1996). Vale la pena di riprendere i tratti salienti della biografia anche qui citando, ai fini di questo discorso, almeno un paio di scritti di Giudice che testimoniano l’incorruttibilità del suo pensiero e la tenuta dello stesso nel tempo.
Figlia del reduce garibaldino Ernesto e di Ernesta Bernini, Maria era nata a Codevilla, in provincia di Pavia, il 27 aprile 1880; maestra elementare e compagna dell’anarchico Carlo Civardi morto in guerra nel ’17, ha attraversato i primi vent’anni del Novecento con un doppio ruolo: quello di ‘donna d’azione’ e ‘donna di parola’. Nel 1902 si avvicinerà al socialismo grazie a Ernesto Majocchi, collaborando con lui al periodico «L’Uomo che ride»; nel 1903 diventerà segretaria della Camera del Lavoro di Voghera e, subito dopo, per volere del partito, responsabile dell’organizzazione camerale a Borgo S. Donnino presso Parma. In quel periodo verrà segnalata dalla questura per l’attività di propaganda e per le manifestazioni pubbliche; finirà ben presto in carcere a causa di un articolo pubblicato su «La parola ai lavoratori», in cui affronta un episodio tragico per l’epoca con estrema criticità: l’eccidio di Torre Annunziata. Incinta del primo figlio di Civardi – con cui non fu mai sposata –, sceglierà di partorire da esule in Svizzera, restandovi per quindici mesi. Conoscerà lì Lenin e Angelica Balabanoff, con cui fonderà «La difesa delle lavoratrici»; tra le due nascerà anche una forte amicizia che continuerà fino alla morte di Giudice (Balabanoff ne scrive in La mia vita di rivoluzionaria del ’79). «Eva» e il quindicinale «Su Compagne!» sono tra gli esempi di riviste femminili in cui Maria esprimerà il suo personale punto di vista su temi che riguardano la vita intima delle donne. Ciò sarà testimoniato poi nei romanzi del “ciclo autobiografico” di Goliarda Sapienza, in cui Maria sarà la madre capace di trasmettere alla figlia alcuni rudimenti che riguardano la sessualità femminile e il rapporto con l’altro sesso. La precocità delle sue idee è notevole per l’epoca; in tutt’altra chiave e forse in termini comparatistici – anche per vicinanza anagrafica –, l’approccio diretto di Giudice può dirsi simile a quello di Sibilla Aleramo, che nei primi anni del Novecento sarà impegnata come giornalista e attivista in molti giornali femminili.
Di quel periodo è tuttavia importante La nostra idea, in cui Giudice spiegherà quel “socialismo umanitario” di cui sarà ‘portatrice’ per tutta la vita:

distruggiamo il disagio economico, creando l’uguaglianza economica […] Noi sappiamo che l’ingegno umano va sempre inventando nuove macchine destinate a sostituire l’uomo nei mestieri meno nobili e più faticosi, ora esse e non sempre dappertutto vengono adottate, perché, dato il sistema attuale della proprietà privata dove le macchine sono solo a disposizione ed a tutto beneficio di pochi privilegiati, ciò non riesce sempre né facile né utile al capitalista, ma riuscirebbe facilissimo e sommamente utile l’applicarle in un ambiente collettivo, ove le macchine diventerebbero proprietà di tutti quanti i lavoratori e la scienza, che riceverebbe allora maggiore impulso della nuova società, ne inventerebbe sempre delle nuove, talché esse verrebbero a sostituire l’uomo nei mestieri più bassi e faticosi, ne sarebbe tanto lontano il tempo nel quale l’uomo sì nell’agricoltura che nell’industria, diventerebbe un semplice direttore di macchine.
E così noi avremo messo la natura in perfetto accordo con la scienza […]
Rimarrebbe l’altra questione, quella della vanità, per cui ciascuno cercherebbe per ambizione personale di darsi ad una professione piuttosto che ad un mestiere, ma se questo fatto può avvenire oggi, in una società che bada più all’apparenza che alla sostanza, scomparirebbe all’orquando gli uomini sarebbero giudicati a seconda di quello che sanno fare e non alla stregua dei titoli che portano.
È vero, oggi noi, per una falsa educazione avuta siamo usi a trattare con molto più riguardo un avvocato, un ingegnere, che non un falegname od un contadino, spesse volte si dia il caso di persone esperte nel proprio lavoro e di un titolato che non vale un’acca; da qui il disprezzo generale per tutti i mestieri. Ma se per mezzo di un’educazione più seria e più giusta ci si abituerà a considerare del pari (come d’altronde si è già cominciato a fare) il lavoratore delle braccia come quello della penna ed a dare valore tanto al falegname che sa fare un bel tavolo, quanto al pittore che ci dipinge un bel quadro o al letterato che scrive un bel libro, a giudicare insomma le persone, non dai titoli che portano, ma da quello che sanno fare, vedranno ciascuno scegliersi quel mestiere o quell’arte, o quella professione alla quale potrebbe dedicarsi, con maggiore profitto, ben sapendo che altrimenti non glie ne deriverebbe che del danno.

Providenti ha definito Maria Giudice come una “donna non carismatica ma caparbia”, in grado di comunicare con facilità ciò che pensa; i suoi testi politici, infatti, godono di una scrittura diretta, comprensibile, che ‘arriva a tutti’ e, anche per questa ragione, creerà subbuglio all’interno del partito.
A partire dal 1905 scriverà per «l’Avanti!» di Antonio Gramsci a fianco di Benito Mussolini. Proseguirà la sua attività di insegnamento e giornalismo con determinazione (per il periodico «La Campana socialista», fra gli altri) pur iniziando a diventare una figura scomoda, da controllare; lo sciopero delle lavoratrici della Valsesia da lei guidato nel ’14 sarà esemplare in questo senso.
Dal 1916 sarà giornalista de «Il grido del popolo», che dirigerà personalmente. Nello stesso anno sarà anche a capo della Camera del Lavoro di Torino e, nel ’17, verrà arrestata con Terracini per aver guidato lo sciopero generale contro la guerra. Dal 1919 si trasferirà in Sicilia per volere del partito: l’allontanamento dal nord è oramai necessario e la possibilità di occuparsi della questione contadina in quella terra diventa, a quest’altezza, imprescindibile. Arriverà sull’isola con i sette figli avuti da Civardi e si stabilirà a Catania nel ’20, dove fonderà con l’avvocato anarchico catanese Peppino Sapienza il giornale «L’Unione», titolo emblematico anche della loro relazione: i due non si sposeranno mai, e perseguiranno insieme alcune battaglie sociali per i diritti dei lavoratori siciliani. L’avvento del fascismo e i frequenti periodi di incarcerazione per lei si susseguiranno, con frequenza, soprattutto dopo la nascita della figlia Goliarda nel ’24.
La spiga, suo testo letterario e politico insieme, che porta in copertina queste parole:

E la vanga sprofondò nella terra e aperse il solco.
E la spada sprofondò nelle carni e aperse la ferita.
E dal solco spiccò la spiga
E dalla ferita uscì il sangue.
E di verrà che maledetta giacerà la spada e n’andrà
……….glorificata, tra i figli degli uomini, la vanga simbolo
……….di vita, arra di pace.

97mariagiudice_01Lo ‘stile impegnato’ e letterario eppure – ancora una volta – comprensibile permette perciò di collocare Maria ‘con il corpo nella storia’; quello di uscita di La spiga sarà, tuttavia, anche l’anno della famosa “scissione di Livorno”, che segnerà un suo allontanamento progressivo e non facile dalla politica.
La sua, negli anni fino al ’41 – anno in cui si trasferirà a Roma con la figlia Goliarda ammessa alla Regia Accademia di Arte Drammatica di Silvio D’Amico –, è una presenza-assenza familiare che la vedrà comunque perseguire l’interesse nei confronti della propria formazione: la lettura dei classici greci e latini, di Dickens, Dostoevskij e molti altri, nonché la trasmissione di quella che è un’attenzione straordinaria nei confronti della cultura, saranno indispensabili nella formazione di Sapienza stessa in un momento storico delicato.
A Roma Giudice riallaccerà i rapporti con i principali antifascisti e parteciperà alla Resistenza con Peppino e la figlia, iniziando a manifestare i primi sintomi di una follia che l’accompagnerà fino alla morte, avvenuta il 5 febbraio del ’53. Tra i suoi ultimi interventi pubblici si ricordano la firma, nel 1944, dell’atto di fondazione dell’Unione Donne Italiane (UDI) e il sostegno, espresso nel 1947 insieme con Balabanoff, ai promotori della scissione socialdemocratica di palazzo Barberini.

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Mamma, mamma, mamma mia, grande amore ed esempio per me sempre.
G. Sapienza, taccuino di novembre ’77

L’impegno filiale nella riabilitazione della figura materna sarà per Goliarda Sapienza, dal ’53 in poi, costante; connettere la vita di Maria Giudice a quella della figlia è anche un tentativo di concederle una dignità ‘altra’ nonché una modalità di lettura che invita all’approfondimento.
I romanzi degli anni Sessanta di Sapienza sono solo il primo tassello di un percorso articolato, che inizia già prima, con le poesie degli anni Cinquanta di Ancestrale, in particolare con A mia madre (di cui ha parlato Fabio Michieli qui). E tuttavia la riappropriazione del corpo materno ma anche della memoria di un vissuto che attraversa l’infanzia e l’adolescenza costituiscono, per l’autrice, uno dei tanti modi attraverso cui ‘ricostruire la propria identità’ plurima e complessa. Si tratta – comunque – di una riabilitazione ‘autobiografica’ che assumerà forme diverse in base al genere letterario che Sapienza sceglierà.
L’importanza della madre è stata evidenziata da alcuni interventi critici recenti, a cura di Cinzia Emmi e Katrin Wehling-Giorgi (citati nella bibliografia); l’excursus nei romanzi – soprattutto – che Emmi fa, porta a rivelare l’importanza di quanto appena asserito. Al centro del suo articolo, nuovamente, si ha L’arte della gioia. Eppure è nei diari – fonti autobiografiche per eccellenza – che Sapienza esprimerà senza mediazioni l’amore nei confronti della madre; il dialogo con lei si farà lì più intenso nel periodo successivo alla conclusione del grande romanzo (dal ’77 appunto).
Negli anni Novanta – e fino alla sua morte nel ’96 probabilmente – Goliarda sarà impegnata a scrivere Amore sotto il fascismo, romanzo incompiuto e inedito in cui intenderà attraversare la vicenda di Maria «senza che questa implicazione sentimentale entri nello svolgere la sua vita» (taccuino del giugno 1990). Goliarda visiterà in quel frangente l’Archivio di Stato: ritroverà i documenti dei genitori, le loro fotografie; riattiverà una memoria lacerante che, quasi da subito, la metterà a confronto con una mancanza, in un decennio di spaesamento, in cui si era molto allontanata dalla vita pubblica, era stata a Rebibbia, aveva ricominciato a recitare e a insegnare recitazione pur di lavorare e guadagnare. Il lavoro sul romanzo che riguarda Maria diventerà una sorta di ‘ossessione’, di cui si conoscono solamente i contorni, i motivi. Nel settembre 1988, tuttavia, Goliarda aveva già scritto:

A casa, sola col rimpianto di non avere più la mia Maria, madre con i suoi difetti e pregi, ma madre. Ridendo con me stessa mi chiedo se ho incontrato – nascendo – l’unica madre che sia esistita sulla terra.

Maria la porterà di nuovo – e per sempre – a scrivere, della sua famiglia e di sé, a continuare quella pratica di ‘scrittura che cura’; una madre “appassionata” dunque, prima di lei e con lei.

© Alessandra Trevisan

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Oltre ai già citati volumi e articoli di Providenti, Poma e Calapso, sono stati preziosi anche:
MONTONATI, PAOLO, Maria Giudice una donna contro, in «Pavia Free» <http://www.paviafree.it/storia/maria-giudice-una-donna-contro.html&gt;
PULINA, PAOLO, MARIA GIUDICE, LA “PASIONARIA” SOCIALISTA COMPAGNA DI GRAMSCI, NATA 130 ANNI FA IN PROVINCIA DI PAVIA in
<http://tottusinpari.blog.tiscali.it/2010/04/10/maria-giudice-la-pasionaria-socialista-compagna-di-gramsci-nata-130-anni-fa-in-provincia-di-pavia&gt;
SANTINO, UMBERTO, Maria Giudice in «Enciclopedia delle donne», <http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/maria-giudice/&gt;
SERCI, MARIA ANTONIETTA, GIUDICE, Maria in «Dizionario Biografico Treccani»
<http://www.treccani.it/enciclopedia/maria-giudice_(Dizionario_Biografico)/&gt;
Maria Giudice in «ANPI.it» < http://www.anpi.it/donne-e-uomini/2636/maria-giudice >
EMMI CINZIA, La figura della madre e le rinascite nell’opera di Goliarda Sapienza, in Le madri: figure e figurazioni nella letteratura italiana contemporanea, a c. di L. Lombard, Avellino, Ass. Cult. Intern. Edizioni Sinestesie, 2014
WEHLING-GIORGI, KATRIN, Dislocazioni materne: memoria, linguaggio e identità femminile nelle opere di Goliarda Sapienza, in Nel nome della madre. Ripensare le figure della maternità, convegno Siena, 11-12 novembre 2015
SAPIENZA, GOLIARDA, Il vizio di parlare a me stessa. Taccuini 1976-1989, a c. di G. RISPOLI, ivi, 2011
EAD., La mia parte di gioia. Taccuini 1989-1992, a c. di G. RISPOLI, ivi, 2013

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La foto è tratta da L’arte della gioia di Goliarda Sapienza, Roma, Stampa Alternativa, 2003, terza edizione (© Archivio Sapienza-Pellegrino)

I testi di Maria Giudice citati sono conservati rispettivamente presso l’Istituto Mantovano di Storia Contemporanea e la Fondazione Istituto Gramsci di Roma.

Opera tutelata dal plagio su www.patamu.com con numero deposito 56535

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