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Tra i cuscini dell’amante. “Ketty” di Guido Gozzano. Di Massimiliano Cappello

GUIDO GOZZANO a tavola 716463-2 ©Archivio Publifoto/Olycom
GUIDO GOZZANO a tavola
716463-2
© Archivio Publifoto/Olycom

Tra i cuscini dell’amante. Ketty di Guido Gozzano

.

I.

Supini al rezzo ritmico del panka.

Sull’altana di cedro, il giorno muore,
giunge dal Tempio un canto or mesto or gaio,
giungono aromi dalla jungla in fiore.

Bel fiore del carbone e dell’acciaio

Miss Ketty fuma e zufola giuliva
altoriversa nella sedia a sdraio.

Sputa. Nell’arco della sua saliva
m’irroro di freschezza: ha puri i denti,
pura la bocca, pura la genciva.

.
Cerulo-bionda, le mammelle assenti,
ma forte come un giovinetto forte,
vergine folle da gli error prudenti,

ma signora di sé della sua sorte
sola giunse a Ceylon da Baltimora

dove un cugino le sarà consorte.

Ma prima delle nozze, in tempo ancora
esplora il mondo ignoto che le avanza
e qualche amico esplora che l’esplora.

Error prudenti e senza rimembranza:

Ketty zufola e fuma. La virile
franchezza, l’inurbana tracotanza
attira il mio latin sangue gentile.

.
II.

Non tocca il sole le pagode snelle
che la notte precipita. Le chiome
delle palme s’ingemmano di stelle.

Ora di sogno! E Ketty sogna: “…or come
vivete, se non ricco, al tempo nostro?

È quotato in Italia il vostro nome?

Da noi procaccia dollari l’inchiostro…”
“Oro ed alloro!…” – “Dite e traducete
il più bel verso d’un poeta vostro…”

Dico e la bocca stridula ripete

in italo-britanno il grido immenso:
“Due cose belle ha il mon… Perché ridete?”.

“Non rido. Oimè! Non rido. A tutto penso
che ci dissero ieri i mendicanti
sul grande amore e sul nessun compenso.

.
(Voi non udiste, Voi tra i marmi santi
irridevate i budda millenari,
molestavate i chela e gli elefanti.)

Vive in Italia, ignota ai vostri pari,
una casta felice d’infelici

come quei monni astratti e solitari.

Sui venti giri non degli edifici
vostri s’accampa quella fede viva,
non su gazzette, come i dentifrici;

sete di lucro, gara fuggitiva,

elogio insulso, ghigno degli stolti
più non attinge la beata riva;

l’arte è paga di sé, preclusa ai molti,
a quegli data che di lei si muore…”
Ma intender non mi può, benché m’ascolti,

.
la figlia della cifra e del clamore.

.
III.

Intender non mi può. Tacitamente
il braccio ignudo premo come zona
ristoratrice, sulla fronte ardente.

Gelido è il braccio ch’ella m’abbandona
come cosa non sua. Come una cosa

non sua concede l’agile persona…

– “O yes! Ricerco, aduno senza posa
capelli illustri in ordinate carte:
l’Illustrious lòchs collection più famosa.

Ciocche illustri in scienza in guerra in arte

corredate di firma o documento,
dalla Patti, a Marconi, a Buonaparte…

(mordicchio il braccio, con martirio lento
dal polso percorrendolo all’ascella
a tratti brevi, come uno stromento)

.
e voi potrete assai giovarmi nella
Italia vostra, per commendatizie…”
– “Dischiomerò per Voi l’Italia bella!”

“Manca D’Annunzio tra le mie primizie;
vane l’offerte furono e gl’inviti

per tre capelli della sua calvizie…”

– “Vi prometto sin d’ora i peli ambiti;
completeremo il codice ammirando:
a maggior gloria degli Stati Uniti…”

L’attiro a me (l’audacia superando

per cui va celebrato un cantarino
napolitano, dagli Stati in bando…)

Imperterrita indulge al resupino,
al temerario – o Numi! – che l’esplora
tesse gli elogi di quel suo cugino,

.
ma sui confini ben contesi ancora
ben si difende con le mani tozze,
al pugilato esperte… In Baltimora

il cugino l’attende a giuste nozze.

.

Nella produzione di Guido Gozzano, ricordato soprattutto come il poeta di La signorina Felicita o L’amica di nonna Speranza (veri capisaldi della poetica crepuscolare delle “buone cose di pessimo gusto), esistono anche sezioni dedicate alla prosa: è il caso di Verso la cuna del mondo, controverso diario del suo viaggio in India, intrapreso per tentare di curare la tubercolosi che lo affliggeva.
Le coordinate temporali del viaggio e lo stesso ordine di redazione dei testi sono oggetto di pesanti controversie: l’occhiello al titolo recita 1912-1913, alludendo sia alla durata del viaggio che al periodo di composizione dei vari articoli; tuttavia, dai dati emersi (contenuti soprattutto in lettere, documenti e fotografie) pare impossibile contemplare una permanenza così prolungata nel subcontinente indiano, anzi: a un’analisi comparativa del manoscritto rispetto a (varie) versioni edite dell’opera e a ulteriori testi di argomento indiano di area sette-ottocentesca (Tra tutti, Pierre Loti e il suo L’inde (sans les anglais), pare addirittura evidenziabile una palese contraffazione di date, luoghi e itinerari: Gozzano si comporta dunque da abilissimo falsario, capace di rivivere e rendere verosimili esperienze soltanto lette. Da questa indagine, svolta con alacre solerzia da Alida d’Aquino Creazzo, Gozzano emerge dunque come viaggiatore “immaginario” di un’India che non vide quasi per nulla.

Questi resoconti, tuttavia, non esauriscono la produzione gozzaniana di argomento indiano: di questa produzione, tuttavia, non si conosce quasi nulla. Si salvano il poemetto etimologico Le farfalle, alcuni titoli per poemetti in latino di argomento erotico e due sole poesie in italiano: Risveglio sul picco d’Adamo e Ketty.
Quest’ultimo componimento è oggetto di una curiosa gestazione: nel taccuino che contiene il manoscritto è infatti segnato, a margine, l’intero Epodo VIII di Orazio, probabilmente inteso come modello ispiratore per i sopracitati poemetti in latino; e l’influenza del modello oraziano gioca un ruolo importante anche nella definizione della situazione poetica e della figura di Ketty.
L’ambiguità di questo rapporto intertestuale si presenta già ai primi livelli di analisi: pur differendo molto sul piano della mise en oeuvre, entrambe le poesie condividono argomento – l’eros – e situazione – il rapporto con un’amante. Pare che Gozzano tenti un capovolgimento dell’epodo oraziano utilizzando armi retoriche astute e di buon gusto. L’amante ammuffita di Orazio viene descritta nella sua senilità in termini pittoreschi, il poeta lamentando la mancata erezione alla luce della di lei sfioritura fisica; eppure, pare quasi che la donna l’abbia condotto al suo talamo con la forza del suo intelletto:

Quid? quod libelli Stoici inter Sericos
iacere pulvillos amant,
inlitterati num minus nervi rigent
minusve languet fascinum?

Orazio non va per il sottile: il suo nervo è illitterato, e non bada a cosa giace tra i cuscini dell’amante: ma sa bene essere questi libelli stoici, se non attraenti da un punto di vista prettamente filosofico – la controversa attribuzione di una filosofia ad Orazio è ormai proverbiale – sicuramente stimolanti sul piano intellettuale. L’amante di Orazio è un’amante colta, che lo ha sedotto con il suo ingegno (e probabilmente con la sua biblioteca di donna ricca…) e che diviene poi vittima della furia del poeta atta a mascherare la “colpa” dell’atto mancato.
Se non sapessimo il giambo degli Epodi un metro scherzoso e d’invettiva, potremmo quasi credere che Orazio, di quella donna, non avesse mai voluto veramente saperne.
Gozzano, a confronto, presenta una situazione completamente capovolta: alla verve di Orazio contrappone tocchi di distacco epicureo, al non detto che soggiace all’epodo – l’atto sessuale – risponde ammettendo serenamente la pulsione che sperimenta per Ketty. Ma cambiano anche i presupposti a questa pulsione: La virile/franchezza, l’inurbana tracotanza/attira il mio latin sangue gentile. Ketty è, infatti, un modello in negativo dell’amante: non vanta una bellezza più raggiante della compagna oraziana – ha puri i denti/pura la bocca, pura la genciva./Cerulo-bionda, le mammelle assenti,/ma forte come un giovinetto forte, […] – e a essa è attribuita anche una certa incapacità intellettuale. Numerosi i rimandi a questa inurbana tracotanza, che si manifesta nelle sue parole come nelle sue azioni: “Voi non udiste, Voi tra i marmi santi/irridevate i budda millenari,/molestavate i chela e gli elefanti”, Dico e la bocca stridula ripete/in italo-britanno il grido immenso:/”Due cose belle ha il mon… Perché ridete?”. E il poeta si riserva persino un’amara sentenza su tutta una generazione di americani, che ben definisce la distanza dialettica e culturale che rende impossibile un rapporto tra i due che non sia dettato da interessi carnali:
“Ma intender non mi può, benché m’ascolti,/la figlia della cifra e del clamore”.

Un ulteriore approfondimento consente di individuare, nell’incipit di Ketty, una vera e propria finezza poetica: “sospesi al rezzo ritmico del panka” è, infatti, un endecasillabo a maiore dai forti connotati giambici (ammettendo, con un po’ di fantasia, un accento secondario sull’ultima sillaba di ritmico, il risultato è un trimetro giambico catalettico: U – U – / U – U – / U – U ). Gozzano si cimenterebbe dunque anche in una resa metalinguistica del suo ricalco oraziano. Nel corso del componimento ricorrono, intercalate nelle terzine che costituiscono il metro – ulteriore gioco linguistico, data l’ecletticità della forma dantesca – ulteriori sfumature giambiche.
Gozzano, nella figura del coprotagonista, si limita a sorridere, distaccato, e a stare al gioco. Pur riprovando aspramente e quasi con disprezzo la figura e gli atteggiamenti di Ketty, pur sovrastandola intellettualmente e non trovandovi quasi nulla da salvare, ne è al contempo giocosamente attratto. Ketty appare dunque come un negativo dell’amante oraziana, che non stimola per nulla l’intelletto del poeta ma solo il suo sangue; eppure conserva, del suo archetipo latino, qualche traccia. Viene detta infatti “signora di sé e della sua sorte”. E quale miglior definizione di uno stoico?
La posa di Gozzano è dannunziana, di quel d’Annunzio che viene citato ampiamente nel testo: basti pensare, oltre al facile richiamo alla sua figura (“manca d’Annunzio tra le mie primizie”) anche a versi come “attira il mio latin sangue gentile” o “due sole cose belle ha il mondo: amore e morte”, solo abbozzato nella mimesi dialogica con Ketty; né è un caso che i due nomi di Orazio e D’Annunzio vengano appaiati da Gozzano. Il vate si rivolse sempre alla sua opera come monumentum aere perennius, instaurando con il poeta delle Odi una vera e propria sfida, dettata dall’ambizione di dire e solcare con i suoi versi il perimetro di una rinnovata romanità; e Gozzano, non ignorando per nulla questo atteggiamento, omaggia entrambi alla maniera che lo contraddistingue.

© Massimiliano Cappello

Una replica a “Tra i cuscini dell’amante. “Ketty” di Guido Gozzano. Di Massimiliano Cappello”


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