In una notte precisa di un imprecisato momento, il vasaio Butade decide di imprimere dell’argilla su un segno che sua figlia ha lasciato sul muro. La linea ricalca il profilo dell’amante di lei, addormentato prima della partenza: la ragazza, disperata per la separazione, aveva cercato almeno di fermarne i lineamenti che la luce di una lampada proiettava sulla parete. Suo padre, per pura inventiva o intenerito dalla sua tristezza, ha invece fatto di quel gesto di disperazione un’opera. Così nascono, in una notte precisa di un imprecisato momento, la pittura e la scultura; Plinio il Vecchio (Nat. Hist. XXXV 15 e 151) riporta questo mito chiaramente: se dobbiamo a Butade l’invenzione tecnica, Butade deve la volontà del gesto a sua figlia. E così noi non dovremmo guardare, forse, a un vasaio che escogita una nuova maniera di distribuire l’argilla, ma a quel groviglio di disperazione e amore verso ciò che si sta perdendo che è il vero nodo emotivo del mito.
È a questo segno nel muro che penso quando leggo le poesie di Sonia Gentili: un atto che non è nostalgia né resistenza, ma violenta reazione a quel caso tanto obbligato quanto insopportabile che è il perdere.
Perdere è diventare, e il diventare si registra, ma senza volontà narrativa: Sonia Gentili ama la visione (sua vera cifra), non ha paura – in qualche modo, non ha pudore; notturni, risvegli, in cui si confondono minacce di addormentamenti e morti, ostinazioni a sopravvivere, maledizioni: La luce ha gridato stamattina: «Alzati, /guarda il torrente di rovina che io / porto nel mondo: in questo avrai il coraggio / di gettarti per vivere […]».
Chi percepisce porta con sé lo sterminato possibile, come fatica e non come celebrazione, perché ogni individuo fa i conti con il limite nell’esprimere e nel padroneggiare ciò che in qualche modo contiene:
Tutto il cielo mi dice tu sei sorta
dalla distanza morta che gli oceani
hanno lasciato andare
alla tempesta: dal vortice, da pezzi
di vite fortissime, ormai
estintela marcia dei mostri sterminati
dal ghiaccio mi ha dato vertebre,
frammenti di mandibole, pensieri
di forza, fame e procreazione
che oggi senza saperlo
sono miei
Allora l’occhio è aquilino, e alla salmodia si sostituisce il grido, tanto più sonoro perché posato. Ferme nella loro esattezza, le immagini si affiancano simili alla marcia dei mostri sterminati, per consegnare con le loro zampate l’esperienza che ciascuna singola voce può dare al mondo.
*
Macchina per musica
Non riconosco che misteri
chiusi nelle immagini: sirene
vuote che nuotano come sacchi in superficie
finché il buio per desiderio
di segreta evanescenza
le penetra di sensi e di parole. Così
le cose cantano la gloria che le affonda
internamente, la vittoria dell’indovinello
sulla cosa, il mondo come macchina
per musica*
Amore
Non ti avrò per buon governo,
per misura, calcoli o virtù
militari. Dunque
non ti avrò. Ma
sese per l’aperta
estatica tristezza
del mio corpo – così l’abbiamo
solo io e i neonati
che fissano
le prime ombre al sole – se
per la forza visionaria del mio
corpo profetico diventerai
un verbo al presente e, chissà
per quale fede negli avverbi, vorrai
esserlo sempre, sarò io
allora a chiedermi: lo sa? Conosce
le pance rosse
dei fiori, i denti d’oro e i tesori
nascosti dei cani? Capisce
la maledizione che il pesce
rivolge ai becchi dei gabbiani?
No! mi risponderanno angeli
e bestie in coro, non
capisce. E io, sa
Satana perché, crederò
invece
a te*
Soprattutto spegnere
Soprattutto spegnere ogni voce, annegarla
nel presente come in un catinostarsene al sole, nella tristezza muta che è dio
con il suo male, frugare i suoi disordini passati
e le sue abitudini di oggi, fu un drogato
ed oggi governa gli angeli, domani diremo
governò gli angeli ed è ormai un cristallo
di tristezza*
Serata in ghetto II (sogni di cani)
Sotto cieli turbati dal vento
come acque, i tavoli specchiano lune
e archi in rovina, il bianco scabro
della colonna mozza e il fianco
egizio del cameriere muto davanti all’estasi
dei cani che dormendo
offrono le costole
alla lunatutta la remota guerra
dei cieli è nelle zampe dei cani che corrono
in sogno: il ringhio di esseri nemici, la lotta nell’erba
veloce e madida del giorno e poi il nero
del troppo sole o la stanchezza, la morte o il sonno su cui
sorge la luna, la colonna, il sacerdote muto che ha nome
cameriere*
Khartago (profezia formula frammento)
…….ma tu sei malinconica,
reginaCartagine regale tra le nubi, Cartagine
superba è grande gloria
………………..ma tu sei malinconica,
regina
il tuo essere superba di morte e di vittoria è triste
gloriaCartagine eretta sugli scudi, ed il tuo sguardo
è il piombo e l’argento degli scudile armi del re morto alle tue labbra, e le tue labbra
sono nubi. Di queste hanno il destino: recedere
nei ventiCartagine, il tuo regno da distruggere, accoglierà
un re naufrago, coi suoi; amare, per un naufrago, è
distruggere
2 risposte a “Sonia Gentili, “Viaggio mentre morivo”: cinque poesie e una nota di lettura”
Sono rimasta incantata.
Vorrei regalare questo libro di poesie al mio fidanzato… non riesco proprio a trovarlo!
Sai consigliarmi?
Giulia
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Ciao Giulia! Ne sono felice. Il libro è in distribuzione a breve, ti consiglio di tenere d’occhio il sito http://www.libroco.it e ovviamente quello dell’editore, Nino Aragno.
Sarà un bellissimo regalo!
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