Helicotrema è il festival dell’audio registrato curato dal collettivo Blauer Hase e Giulia Morucchio e che, tra le tappe della quarta edizione, ha toccato anche Forte Marghera a Mestre, Venezia, in collaborazione con Eventi Arte Venezia e Live Arts Cultures.
Moltissimi gli artisti che hanno partecipato con una o più opere (qui), alcuni tra questi rispondendo all’open call lanciata qualche mese fa. Pochi fra loro sono stati presenti fisicamente e, tra questi, Giovanni Lami o ZimmerFrei, che hanno portano nei luoghi del festival due live set di cui però non tratterò (si può leggerne di più qui e qui). Inoltre, interessante è stato l’intervento di bioacustica di Luca Mamprin, che ha riportato gli esiti di alcuni studi condotti sui pipistrelli e sulla loro forma di comunicazione, appunto, sonora e acustica; oppure l’installazione di Naeem Mohaiemen e Paris Furst Voglio andare alla biennale (2015).
Gli organizzatori hanno da poco rilasciato un’ampia intervista su PIZZADIGITALE (a cura di Matteo Efrem Rossi, da leggere qui) in cui spiegano cosa il festival proponga e come, tra “ascolti collettivi, paesaggi sonori, radiodrammi, opere sonore e radio-documentari”. “Ascolto collettivo e puro” sono le chiavi per accedere alle diverse sessioni, percorsi che sono stati costruiti rispettando un’architettura – dell’ascolto e degli ascolti -, talvolta smontandola dalle fondamenta.
Una cronaca completa non pare possibile in questo caso, e non potrebbe mai essere esaustiva quanto l’esperienza della partecipazione, quanto la condivisione della ricchezza delle proposte. E tuttavia si possono isolare alcune parti, parlarne brevemente, lasciare (o lanciare) una traccia minima di “quel presente” anche in questo presente, progettando un futuro.
Quando si sceglie di assistere a un evento come questo ci si pone almeno un paio di domande: quale genere di ascoltatore sono? E soprattutto: da che parte sto? Alla prima si risponde con “consapevole e incosciente” insieme, pronto all’imprevedibilità che la formula del “solo ascolto” – non in presenza di un esecutore (questo non vale per i live set, ovviamente) – suggerisce, perché all’opposto, quando si assiste a qualcosa che comprenda anche una parte di “visione”, si è (o si diventa) spettatori. Dalla parte dell’ascoltatore(-fruitore), infatti, “dentro il recinto dell’ascolto”, è l’unica parte possibile che si possa assumere qui che risponda anche alla seconda domanda: la relazione in atto, cruciale, si ha tra mezzo e orecchio; è, cioè, acustica. Si è, quindi, uditori. Prendere parte a Helicotrema risulta essere, dunque, un atto critico che porta non a spiegare ciò che si ascolta, ma a cogliere anche nel senso etimologico di “restringere in minor spazio”; soprattutto insegna ad accogliere, ossia “raccogliere presso di sé” in una dimensione condivisa.
Alcune istantanee da restituire. I lavori narrativi – e diversissimi fra loro – di Bianca Pitzorno I morti a Venezia e Anibal Parada & Lydia Lunch It takes one to know one: allucinato il primo, è un racconto che rievoca, attraverso la voce e il sound design, un passato mancante e fantasma; il secondo, ispirato a un fatto reale (lo scandalo di Dominique Strauss-Kahn), è un testo drammattizzato, un esercizio isolato. In entrambi l’atmosfera è parte fondamentale del lavoro, così come l’interpretazione delle voci, in italiano e in inglese. Ancora narrative, le opere di Danilo Correale, che legge un testo apocrifo di Sartre, e di Filippo Andreatta, con il suo Diario, vero e proprio diario di bordo che apre a riflessioni peculiari sui suoi studi riguardanti Josef Albers; ma anche i 9 Portraits di David Bernstein, storie personali lasciate ispirare da opere di arte contemporanea.
Tra le opere di poesia, sperimentale e non, oltre alle tre proposte di Mariangela Gualtieri, può essere d’obbligo citare i lavori di Isabella Bordoni in cui la voce risignifica la parola, di Mariateresa Sartori e di Caroline Bergvall; poetessa e sound artist quest’ultima, in particolare, opera un lavoro sul suono che diventa spazio, utilizzando loop, delay, reverse, canto e parola. La ripetizione diventa significato.
La parola è ancora al centro nel lavoro di Alessandro Bosetti, articolatissimo e spiegato qui, mentre Irene Rossini e Davide Spillari presentano il documentario sonoro Good Holidaysss!, che fa pensare a uno stretto legame con la storia orale.
Campionamenti, composizione melodica, voci ed elaborazione sonora rientrano nell’opera di Carlotta Borasco e Diego Giannettoni A cosa stai pensando?. La sessione Private Dreams, infine, a cura di Johann Merrich porta dentro la storia della musica radiogenica, della radiofonia e dell’audiolibro (e tra le scelte anche un estratto audio di Anais Nïn).
Fuori dall’imperativo dell’immagine – quasi sempre – ci si chiede cosa (se c’è) diventi imperativo, oltre all’attenzione che chi ascolta pone nei confronti di queste opere. Si potrebbe dire – ma solo in parte – il linguaggio, che non è mai lo stesso dal momento che l’ascolto lo trasforma, ulteriormente. Perciò e infine, si potrebbe forse parafrasare Wittgenstein che affermava “i limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”; a Helicotrema “i limiti del mio ascolto significano i limiti del mio mondo”.
© Alessandra Trevisan
*
Il festival proseguirà a Firenze, nell’ambito di Sonic Somatic. Maggiori info qui.