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Quando dici Mantova # 4 – (felicità)

 

Michael Cuningham, foto di Richard Phibbs
Michael Cuningham, foto di Richard Phibbs

Approfitto di questo spazio, oggi, per fare due comunicazioni di servizio.
La prima è che ho incrociato Michael Cunningham mentre salivo le scale, e ho avuto la possibilità di stringergli la mano. Questo perché Festivaletteratura non è solo eventi (e sarà Michael Cunningham, alle 18:30, a chiudere il festival incontrando il pubblico a Piazza Castello), ma anche possibilità di incrociare senza preavviso il proprio autore più caro e regredire ad uno stadio preverbale quale nemmeno nei miei ricordi più foschi di interrogazione in chimica.
La seconda comunicazione mi serve a precisare alla mia redazione, che mi supporta e segue da un campo-base ideale di cura e consulenza in questa impresa a tempi stretti, che alla domanda “allora, come va?” la mia risposta non doveva essere “sono felice”.
Anna Marchesini ha detto qualcosa di magnifico, ieri, sulla felicità. Lei lo pronunciava e io mi rendevo conto, subito, di essere d’accordo, da sempre. Non è il suo obiettivo, ha detto, la felicità, né il suo interesse, né il faro della sua ricerca. Non lo è nell’osservazione del mondo, che per lei è anzi tesa verso una comprensione intima, rispettosa, del dolore; e non lo è nella costruzione della sua persona, o almeno non più dell’allegria, del dolore, della gioia, dell’infelicità, di tutte le espressioni estreme dell’essere viva, molteplice, presente. L’estasi, piuttosto: artistica, emotiva, estetica, è l’estasi, per lei, non la felicità, l’esperienza massima da ricercare.
Ripensando a questa riflessione, che già trovo perfetta per me come un ciondolino, mi tornava in mente un’altra modalità di gironzolare per il cosmo di cui mi sento grata di godere: lo stupore.
Ad esempio.
Fin dal primo momento ho avvertito un feeling con una particolare modalità del festival, che è quella delle “lavagne”: un palco, una lavagna di ardesia, gessetti, la gradinata della Basilica di Sant’Andrea a far da platea per il pubblico, e lezioni brevi, divulgative, di linguistica o di scienza o di scrittura musicale. Per rispondere allora alla mia redazione su com’è che mi sento qui, riferisco, spero senza imprecisioni, da una “lavagna” del fisico Carlo Rovelli:
1) Se volesse diventare un buco nero, la Terra dovrebbe comprimersi nello spazio di un centimetro.
2) Quello che succede al centro di un buco nero in un secondo dura dieci miliardi di anni per l’osservatore esterno.
3) Vari modi per essere certi che un buco nero esiste sono la presenza di stelle che danzano, stelle che si sgretolano e stelle che vengono mangiate.
4) Mentre scrivo, gli astronomi stanno seguendo il pasto di un buco nero, che ha la durata ridicola, in termini di tempo astronomico, di qualche mese.

© Giovanna Amato


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