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Biomechanical Circus: nell’arte di Giorgio Finamore

Credo che l’attrazione verso ciò che non si conosce e la curiosità a esplorare sempre nuovi territori anche lontani da noi siano due motori complementari che permettono di fruire dell’arte, immergervisi e poi rielaborare quest’esperienza per farla propria, e che siano motori che permettono di allargare il nostro bagaglio culturale, sempre. Tutto questo fa parte del mio personale e soggettivo approccio all’arte di Giorgio Finamore. Ho conosciuto Giorgio come grafico prima, perché sue sono le copertine di molti dischi che ho amato, e come disegnatore o artista interessato all’illustrazione poi. Quest’intervista ci fa entrare nel suo laboratorio, a mio parere un luogo molto interessante in cui i tanti stimoli ‘centrifughi’ provenienti da forme artistiche diverse, emergono per condurci a comprendere come nelle opere dell’autore questi diventino essenzialmente ‘centripeti’. Nell’intervista parleremo della sua opera Biomechanical Circus (Logos Edizioni, 2012) in cui la tessitura delle immagini ha una trama ampissima di suggestioni e riferimenti, molti dei quali appartenenti al postmoderno per definizione; parleremo di ‘(s)oggetti’, parleremo di luoghi fisici o mentali, di spazi contemporanei, senza dimenticare di essere nel solco di una tradizione. Questi cenni molto sommari spero stuzzichino la lettura. Ultima cosa: io immagino l’arte di Giorgio come un cerchio, ed è la prima figura geometrica cui l’associo, e non a caso perché – pensandoci a posteriori – “circùs” muove dal latino, lingua in cui appunto Cerchio e Circo coincidono. E con quest’intervista tentiamo di chiuderlo – o aprirne e percorrerne molti!

Link utili. (Vi rimando al booktrailer qui). La pagina di Logos Edizioni, in cui figura anche la rassegna stampa: http://www.logosedizioni.it/logos.php?bid=4259 E se invece cercate il libro, lo trovate qui: http://www.libri.it/catalog/product_info.php?products_id=6367

Alessandra Trevisan

1. Quando, dove nasce, come e in cosa consiste il progetto Biomechanical Circus

Sebbene abbia iniziato il progetto verso la fine del 2011, e l’abbia portato a termine durante i primi mesi del 2012, quindi molto recentemente e in tempi tutto sommato abbastanza brevi, l’idea di “Biomechanical Circus” stava germinando e si stava preparando a sbocciare da moltissimo tempo. Io disegno da sempre, e sin da piccolo ero appassionato di fantascienza e horror; una ventina di anni fa, ho deciso che avrei iniziato a focalizzare tutta la mia attenzione sull’arte fantastica e surreale, immaginando  inoltre che realizzare disegni di quel genere, potesse un giorno, forse, anche diventare un lavoro. Mi piace rappresentare il mondo per quello che è, tentando di andare oltre la percezione superficiale delle cose, quindi cercando uno sguardo diverso. Il tema principale delle mie elaborazioni è il rapporto simbiotico tra l’uomo e la tecnologia, spinto verso estremi scenari verso cui il corpo e la macchina si uniscono in ibridi cibernetici. La Biomeccanica è per l’appunto la forma estrema, l’ultimo stadio metamorfico e potentemente allucinatorio di questo rapporto. Ho pensato quindi che l’allegoria del Circo potesse aiutare, in modo davvero esplicito, ad entrare in questo tipo di ragionamento, parlando principalmente dell’uomo come macchina programmata a svolgere determinate funzioni nel contesto sociale, fino però in alcuni casi, a restare intrappolato, imprigionato, metaforicamente in un groviglio di tubature, schiavizzato dal lavoro, dalla burocrazia, dal consumismo, e reso in tutto e per tutto assimilabile ad un meccanismo metallico o ad un circuito elettrico. La diversità delle varie attrazioni circensi rappresenta lo spettacolo e la varietà (il Varietà!) di persone cerebralmente e fisicamente programmate in azioni ed esibizioni nel corso della vita di tutti i giorni, ma ho voluto rappresentare anche, nella parte finale, un freak show industriale, ispirandomi a quei padiglioni che si trovavano nell’Ottocento accanto ai Luna Park, detti Side Show (famoso quello del Circo Barnum per esempio) per evidenziare in modo ancora più estremo la natura umana che possiede sin dalla nascita caratteri primordiali ed artificiali, un senso di mostruosità che alcuni portano dentro di sé ancora prima di nascere.

2. Leggo sulla pagina di Logos Edizioni “Programmate per esibirsi in spettacolari compiti e attrazioni,/ le macchine sono presenze quotidiane dal cigolio sinistro.” Mi sembra di rileggere qui una citazione calzante di un poeta contemporaneo che amo, Guido Oldani, il quale afferma che: – Questo è il tempo in cui i popoli si affastellano l’uno sull’altro nelle città e si affastellano sugli oggetti che sono egemoni, e cioè l’oggetto è diventato soggetto e noi al contrario. E qui succede un fatto nuovissimo, cioè che la natura si mette ad assomigliare agli oggetti e non viceversa e quindi la similitudine si è rovesciata.  […] questa vicenda per cui i popoli si sono portati a distanza zero dagli oggetti attraversando anche le galassie per poterli raggiungere, io la chiamo ‘realismo terminale’, cioè il realismo in cui è terminato il viaggio dei popoli per succhiarsi gli oggetti. – (Venezia, novembre 2011). Ci dai un tuo punto di vista in merito? 

Sono d’accordo col pensiero del poeta Oldani, specie alla luce di questi tempi folli in cui viviamo, perché assistiamo spesso al ribaltamento di cose e ruoli; il fulcro del suo discorso è proprio basato su quanto dicevo prima parlando della simbiosi organico-meccanica: l’uomo diventa assimilabile alla macchina, il soggetto all’oggetto, fino ad un imperbolico senso di sostituzione, ma, questo era già stato affrontato per esempio, anche nell’Espressionismo tedesco. Uno dei pittori simbolo del movimento espressionista, Georg Grosz, disse già negli anni Venti che “le persone non sono più rappresentate in termini individuali con le loro caratteristiche psicologiche, bensì come cose collettive, quasi meccaniche”. Le macchine un tempo erano state concepite per aiutare l’uomo. L’uomo quindi ricorre alla tecnologia per estendere il suo potere sulle cose, ma rischia sempre più spesso di abbandonarsi e di perdere il controllo sul suo stesso corpo, che può arrivare beffardamente a tradirlo. La figura dell’automa che mi affascina moltissimo, deriva da tempi antichissimi, ma nella robotica ultimamente si stanno compiendo passi da gigante, e vengono creati esseri automatizzati antropomorfi sempre più simili all’uomo, sia nei comportamenti che nelle fattezze. Veri e propri “replicanti”. C’è anche chi ha teorizzato come questa estrema ricerca di somiglianza, quasi proprio una sorta di sostituzione delll’individuo, possa generare sensazioni perturbanti nell’uomo; si tratta per l’appunto della cosiddetta “Uncanny valley” (la zona perturbante), ovvero una sensazione di familiarità e repulsione al tempo stesso.

3. So che una bella soddisfazione è stata pubblicare per una casa editrice qual è Logos. Ci spieghi come questo meccanismo si è messo in moto? 

È stata un grande soddisfazione di certo. È iniziato tutto tramite una selezione alla quale avevo partecipato per un numero della rivista della Logos “Illustrati” di qualche mese fa, che era per l’appunto dedicato ad immagini sul mondo del Circo interpretate da diversi illustratori. Proprio in quel momento ho proposto il mio progetto. E dopo tanti anni di lavoro e collaborazioni in questo settore, mi sono ritrovato a vedere il mio primo volume monografico in libreria. Dico questo perché pubblicare un libro è sempre più difficile, se poi parliamo di illustrazione, specie in Italia, ed in particolare di opere un po’ diverse dal solito, come il mio “Biomechanical Circus”, o altri bellissimi titoli del loro catalogo, possiamo parlare proprio di grossi rischi per le case editrici. Nella mia piccola esperienza vedo parecchia standarizzazione, massificazione, e molte problematiche legate alla diffusione di opere particolari, indipendenti, o cosìdette “di nicchia”. Per questo penso che ci voglia molto coraggio; coraggio di proporre idee nuove, per un pubblico che andrebbe rieducato a capire che si possono scegliere strade diverse.

4. Quali sono le tue influenze, i tuoi punti di riferimento sia nel campo dell’illustrazione sia nel campo della grafica di cui ti occupi da anni?

I miei riferimenti sono molteplici, e per chi si occupa di arte, capirai che non potrebbe essere altrimenti; non solo nell’illustrazione, ma anche nel cinema, nella letteratura, nel teatro. Parlando di Biomeccanica, potrei dirti che tutto è partito dalla lettura di “Frankenstein or the Modern Prometheus” di Mary Shelley, in cui, a tutti gli effetti, compare la prima figura di mostro tecnologico della storia; ma in seguito sono state basilari anche le opere di Philip Dick e William Gibson, dove con il Cyberpunk, si immagina un’umanità vacillante e minacciata dal controllo di una presenza cosciente delle macchine. La Biomeccanica nell’arte deve la sua esistenza al lavoro immagnifico e alla fantasia visionaria di un artista che è sempre stato il mio punto di riferimento, cioé Hans Ruedi Giger, che prendendo spunto da tematiche già avanzate nel Surrealismo, diviene un autentico precursore per diverse tendenze artistiche contemporanee. In generale adoro e mi influenzano molti pittori ed illustratori che hanno avuto a che fare con il grottesco e la poetica dell’immaginario come Hieronymus Bosch, Johann Heinrich Füssli, Maurits Cornelis Escher, Ernst Fuchs, gli espressionisti come Georg Grosz, Edvard Munch… e nel fumetto Robert Crumb, Moebius, Sergio Toppi. Sono appassionato di storia del cinema, e potrei citarti i registi che mi hanno influenzato per il loro senso dello stile, ma sono troppi, da Murnau a Lang, da Kubrick a Lynch, fino a Terry Gilliam, Guillermo Del Toro, Shinya Tsukamoto.

5. Che soundtrack può avere questo libro? Ci faresti una playlist? 

Questa domanda non me l’aveva ancora fatta nessuno… e devo dire che mi coinvolge molto, soprattutto perché il libro inizialmente l’avevo concepito come fosse una sorta di film muto, dove, nel viaggio attraverso i corridoi oscuri di questo tendone industriale, tra attrazioni e freaks, effettivamente qualche musica sarebbe affiorata nella mente dell’osservatore. Forse una vera e propria playlist è difficile da stilare, ma potrei segnalarti alcune suggestioni sonore in rigoroso ordine sparso, che mi hanno letteralmente ispirato a creare queste immagini; partendo ad esempio dalla colonna sonora di “The Elephant Man” del compositore John Morris, ma ti posso anche dire che David Lynch è stato un riferimento abbastanza forte, sia per i miei lavori passati di illustrazione sia per questo libro, quindi non posso non citare anche la colonna sonora, vera “sinfonia industriale” del suo capolavoro, “Eraserhead”, sonorizzato dello stesso Lynch con Alan Splet, e con gli inserti metafisici e meravigliosi del pipe organ di Fats Waller. Poi sicuramente ci metterei i Kraftwerk (soprattutto l’album “The Man Machine”, ma in generale tutta la loro opera), i Dresden Dolls, i Tool, la “Serenada Schizophrana” di Danny Elfman… Un altro musicista che mi è venuto in mente realizzando i disegni è Korla Pandit, con le sue melodie esotiche suonate al suo Hammond e al piano, soprattutto per un’immagine come “Il fachiro”. Aggiungerei poi una canzone di Tom Waits intitolata “Poor Edward” (nell’album “Alice”), dedicata allo strano caso di Edward Mordrake, “L’uomo con due facce” che ho voluto raffigurare a mio modo nel libro. E poi in generale ti direi qualsiasi musica suonata con un organetto da strada, o un grande Wurlitzer.

6. Domani inaugura una mostra a Padova sul tuo libro (la locandina è qui sopra): vuoi dirci dove e di che si tratta? Molti tuoi progetti però son già apparsi in numerose occasioni del genere e in vari luoghi: ce ne parli? 

Innanzitutto preciso che la mostra serale presso il Café Lumière a Padova, è anticipata da un incontro di presentazione del libro, dalle ore 16 di Sabato 27 Ottobre, presso la fumetteria PadovaComics (in via Petrarca), dove sarò disponibile per firmare e disegnare sui volumi. Il Café Lumière è una viva realtà artistica padovana, oltre che un bar in centro a Padova. Da diversi anni si organizzano mostre ed eventi. Io ho fatto una mostra lì qualche anno fa dal titolo “Robotapocalypse”, dove ho presentato una selezione di lavori realizzati nell’arco di circa un decennio, visionabili sul mio sito. Con questa Mostra presenterò al pubblico le opere originali di diverso formato pubblicate nel libro. Dato che si parlava di musiche per “Biomechanical Circus”, ti dico anche che la Mostra al Lumière sarà accompagnata da un live set del gruppo electro psichedelico Ius Primae Noctis.

GIORGIO FINAMORE Grafico ed illustratore, è nato nel 1975 a Mestre. Diplomato in Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Le sue illustrazioni e i suoi lavori di grafica sono pubblicati su riviste, libri ed innumerevoli copertine di dischi; collabora da diversi anni con l’etichetta discografica veneziana Caligola Records, realizzando artworks per musicisti della scena jazz internazionale, come Anthony Braxton & Diamond Curtain Wall Quartet, Bebo Baldan, Marco Tamburini, Sandro Gibellini, Ares Tavolazzi e molti altri. Una ventina le mostre personali all’attivo in tutt’Italia, una trentina le esposizioni collettive cui ha preso parte con le sue opere. Recentemente ha vinto il Primo Premio del Concorso Internazionale di illustrazione “All’inferno!” presieduto da Altan (Oderzo 2011). Ha collaborato con 0.618 Danza Butoh Mexico disegnando 26 illustrazioni per l’apparato scenico coreografico con annessa esposizione d’arte per lo spettacolo “Butoh de Salon” (Città del Mexico 2011). Una sua opera è stata scelta come immagine rappresentativa per il festival OperaKantika inaugurato da Alejandro Jodorowsky (Monselice 2011). A Settembre 2012 ha esposto nel corso dello Sugarpulp Festival di Padova, le prime tavole di un nuovo progetto (attualmente in progress) in collaborazione con il collettivo Dusty Eye, dal titolo “Arcane Shadows”, una rivisitazione di alcuni personaggi della mitologia classica, tra fotografia ed illustrazione. www.giorgiofinamore.com – www.facebook.com/the.art.of.giorgio.finamore

5 risposte a “Biomechanical Circus: nell’arte di Giorgio Finamore”

  1. Io invece trovo il lavoro di Giorgio molto interessante e credo meriti d’esser visto dal vivo e tenuto in mano, nel caso del suo volume. Spero, Elio, che il suo giudizio sia dato anche da una conoscenza diretta dei lavori di Finamore. Certo, la sola intervista questo non lo permette e poi siamo nella rete; ecco: io credo che sentenziare in 13 parole non apra a nessun confronto, cosa che invece la rete (anche come metafora) dovrebbe permetterci di fare.

    Approfitto per ringraziare Giorgio per la sua disponibilità. A lui va anche la mia stima per il suo lavoro, questo e negli altri campi in cui opera.
    Alessandra

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  2. Il viaggio-intervista di Alessandra Trevisan nell’arte di Giorgio Finamore ha suscitato in me interesse e curiosità. Tra i riferimenti musicali, ne scelgo due a me particolarmente cari: Ares Tavolazzi – collaborazione con Finamore indicata nella biografia – e l’album Mensch-Maschine dei Kraftwerk, immancabile nell’ideale colonna sonora del progetto.

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  3. Cara Alessandra, ho basato il mio giudizio principalmente sui lavori che ho potuto vedere su facebook. In esso ho sottolineato “per i miei gusti” in quanto conscio di essere pesantemente condizionato dalla mia propria attività, acuita da una simile (ma mantenuta più distante) predilezione per H.R.Giger. Trovo naturale che questo mi possa alquanto differenziare da una ricezione più, diciamo così, “incondizionata”: starà all’intelligenza di ciascuno riconoscere quanto ci sia da accogliere (magari come sferzata) oppure rifiutare, specialmente in relazione al proprio “target”, che non chiedo certo di esplicitare. Ma trovo inutile camminare sulle uova. I giudizi in generale valgono poco: se non sono neanche sinceri allora non valgon proprio niente.

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