Domanda e risposta: due entità complementari, eppure l’una genera l’altra, in un interscambio potenzialmente infinito, mai esausto, mai uguale a se stesso. La sintesi dell’incontro, il binomio preferito della conoscenza. E della curiosità.
“Intervista” è solo il nome che ne racchiude l’atto e l’intenzione ma, in questa rubrica, protagonista sarà il dialogo – l’incontro – lo scambio.
Esseri umani che hanno una visione e che si sono imbattuti nel proprio labirinto personale. Perdersi significa anche attraversarlo. E magari raccontarlo.
Creatività, arte, progetti, riflessioni, esperienze e uno sguardo rivolto al futuro, in quell’orizzonte magnetico che è la parola.
Giulia Bocchio
Il dialogo di oggi, il primo a inaugurare questa rubrica, ruota intorno a un magnete particolare: Il libro azzurro di Veronica Leffe e Pier Paolo Di Mino.
Non fatevi confondere dall’aura chimerica e apparentemente inesistente di questo libro. Non è vero infatti che non esiste, esiste eccome, il fatto è che la sua forma, nonché la sua collocazione spazio-temporale, è labile, evanescente, squisitamente personale ed universale. E strettamente legata a un altro libro, il romanzo Lo Splendore, che Pier Paolo sta ancora scrivendo.
Veronica Leffe e Pier Paolo Di Mino sono due artisti molto interessanti perché della propria ispirazione abbracciano la lucidità e la sospensione e, visti i tempi, visti i vortici editoriali che risucchiano tutto, loro si fermano: e creano davvero. Le opere di Veronica e la scrittura di Pier Paolo confluiscono in una narrazione che non traccia confini, che apre varchi e abissi filosofici, conservando un’idea di bellezza che sembra avere sempre sete.
Nella loro personale ‘infinite quest’ c’è qualcosa di misterioso, di ambizioso, di inafferrabile che incuriosirebbe anche un certo…Borges. E chiunque ritroverà questa nostra conversazione nel 3023.
Veronica e Pier Paolo, bentrovati. Quando una persona incontra Il libro azzurro, la sua personale sensibilità è sfiorata da un libro che, nella forma canonica dell’oggetto al quale siamo abituati, non esiste concretamente. Anzi, la sua essenza immaginaria esiste all’interno di un altro testo, che a sua volta non esiste ancora, se non nella mente. Eppure il vostro progetto supera una concezione squisitamente cartacea della pagina, abbraccia le infinite maglie della rete del digitale e svela un viaggio, un labirinto, il mistero che la parola racchiude, se espressa attraverso il fascino dell’enigma. Com’è nata questa vostra profezia creativa?
Veronica: La nostra avventura comincia dal romanzo che Pier Paolo sta scrivendo da anni, un romanzo che, diciamolo, ha incontrato molte difficoltà a trovare una casa accogliente: è per questo che, fino a oggi, abbiamo sempre parlato di un libro che non esiste. Tuttavia, possiamo anticipare senza remore che il romanzo ha trovato, finalmente, l’editore giusto e prossimamente sarà pubblicato.Questo romanzo, Lo splendore, è una storia dalla trama assai complessa, ricca di personaggi, tra i quali, con un ruolo da protagonista primario, compare un libro senza titolo, un libro dalla copertina azzurra su cui campeggia un nodo dorato. Si tratta di un libro fatto di parole e immagini, molto misterioso e dallo strano potere: quello di cambiare ogni volta a seconda di chi lo guarda. Nella storia che Pier Paolo ci racconta, la differenza dello sguardo del lettore dipende da tanti fattori che ora non staremo a elencare, fatto sta che, ad un certo punto, ci è venuta l’idea pazzesca di dare una forma concreta a questo aspetto magico e metamorfico del libro azzurro, e per far questo avevamo bisogno di costruire un gioco artistico e letterario dal potenziale enorme. Il fatto stesso che si dovesse realizzare un libro che si trasforma continuamente ci ha costretto a escogitare un sistema performativo e rappresentativo il più ampio e variegato possibile, che desse spazio all’aspetto testuale e figurativo, ma che superasse il semplice libro stampato (anche se, poi, in realtà, i volumi stampati hanno fatto parte fin da subito della nostra performance generale), e che si manifestasse come un sistema rappresentativo in perenne divenire. Per potenziare questo aspetto fantasmagorico di apparizione e sparizione, ci siamo avvalsi soprattutto del mezzo telematico, pubblicando sul web, attraverso il portale de Il libro azzurro e attraverso le varie piattaforme social, un testo a flusso continuo che Pier Paolo ha elaborato e continua a elaborare in un sistema complesso e parcellizzato di note corredate di volta in volta da immagini diverse. Sulle immagini intervengo io, con il mio contributo figurativo personale. Naturalmente realizzare tutte le immagini ex-novo per i testi di Pier Paolo è un’impresa titanica, impossibile, vista la felice prolificità narrativa della sua penna, e allora mi avvalgo spesso dell’aiuto di qualche nume tutelare, attingendo a piene mani a un bagaglio artistico e culturale che va dalla preistoria ai giorni nostri, all’interno del quale seleziono la figurazione che mi sembra colga meglio lo spirito del racconto filosofico di Pier Paolo.
Pier Paolo: Tutto nasce da un romanzo, che si intitola Lo Splendore, e che, a un certo punto della mia vita, ho deciso di liberare dallo spazio della mia mente, e quindi di scrivere, e infine, a breve (ma non prima del 2024), di pubblicare con una casa editrice. Riassumere la trama de Lo splendore è impossibile, ma la sua storia è molto semplice. Un bambino, Hans Doré, nasce alla periferia di Berlino, dentro una baracca. Al freddo e al gelo. Questo tipo di nascita rappresenta una condizione necessaria e sufficiente per aderire a una fantasia religiosa: quella del salvatore. In effetti, Hans Doré è inserito in una trama di interessi, che lo precedono e lo accompagnano, e che lo spingono a soddisfare, senza saperlo, questo mito di salvazione. C’è un altro modo in cui potrei parlare della storia raccontata ne Lo splendore: potrei dire che “Lo splendore” parla della realtà, ossia di quella trama sottile e invisibile che dà forma a tutti gli enti o individui che al di fuori della rete non sono e non possono essere, e che definiamo enti o individui soltanto per comodità espressiva. Nessuno è se stesso se non in virtù degli altri (o meglio: dell’Altro). Da qui il fatto che, per dare un’espressione il più possibile vicina alla verità ontologica della trama della realtà, nel romanzo ho raccontato in maniera esaustiva e completa (nulla, dice Thomas Mann, è interessante se non è esaustivo e completo) le intere vicissitudini (l’intero romanzo) di tutte le persone che precedono e accompagnano e succedono Hans nella sua avventura spirituale, nel suo apostolato umano. Fra queste persone si trova un certo numero di libri, e, soprattutto, tre pseudobiblia alla cui redazione ho dedicato, e dedico, una parte cospicua del mio lavoro. Senza dubbio, fra questi, Il libro azzurro è quello che assorbe maggiormente la mia cosicenza. Il libro azzurro (così viene descritto nel romanzo) è un libro senza titolo, chiuso dentro una copertina azzurra, ornata al centro da un nodo di Salomone. Ha una caratteristica: è fatto quasi esclusivamente di immagini che cambiano di continuo; che mutano nella percezione di chi le guarda. Senza la sua esistenza non avrebbe corso la trama de Lo splendore: o, per dirla diversamente, Hans non potrebbe realizzare lo splendore. Del resto Il libro azzurro, perennemente mutevole nelle sue immagini, è, per così dire, l’anima del romanzo, e rappresenta la sua espressione essenziale. Ora, il fatto che (a quanto si dice nel romanzo) senza questo evanescente tomo azzurro non si può realizzare lo splendore ha spinto me e Veronica Leffe a dare corso a un gioco non privo di violenza: quello di fare esistere questo libro esistente solo ne Lo splendoreprima che esistesse Lo splendore stesso. E così hanno avuto inizio le diverse pubblicazioni de Il libro azzurro; così, affidando l’espressione figurativa di idee, concetti e storie chiuse in un libro fatto principalmente di immagini all’arte di Veronica, sono uscite pubblicamente, con lentezza, declinando il tempo nelle ore e nei giorni e nei mesi e negli anni, varie edizioni a stampa del primo capitolo, tutte diverse le une dalle altre, nella maggiore approssimazione a questa inaccettabile e scandalosa mutevolezza dell’essere riflessa nell’idea del libro. Parallelamente, il libro è stato pubblicato anche in luoghi e spazi aperti a chiunque, in modalità teatrale e spettacolare; e, ancora, sempre con modalità teatrale e spettacolare, è stato pubblicato in luoghi e spazi aperti soltanto a geni e dèi ed entità ideali di siti prescelti; il libro, infine, conosce una forma di pubblicazione continua nello spazio telematico, e questa forma di pubblicazione rappresenta un’occasione costante per saggiare, misurare, forzare i rapporti fra il continuo (della mente) e il discreto (insito nell’atto di pubblicare): è in questa ultima forma di pubblicazione, infatti, che tutto ciò che partecipa in maniera essenziale alla creazione de Il libro azzurro, e quindi de Lo splendore intero, viene regolarmente e stabilmente mostrato per essere dissolto nel flusso irresistibile del virtuale; che tutti quei pensieri, quelle immagini, quelle intuizioni che danno forma e quindi vita al romanzo trovano espressione prima di sparire nel nulla, elise e disintegrate nell’azione conclusiva della pubblicazione del romanzo: si sa, nascere a qualcosa è pur sempre morire ad altro.

Il libro azzurro ridisegna metaforicamente il perimetro di confini creativi che non esistono e amplifica l’interpretazione personale di chi lo legge: d’altra parte si tratta di uno pseudobiblion. Quali influenze, letterarie e filosofiche, muovono questo vortice “non finito”?
V.: Relativamente al mio ruolo specifico di artista figurativa all’interno di questa impresa che da Lo splendore confluisce ne Il libro azzurro va detto che l’orizzonte letterario e filosofico nel quale il mio lavoro si muove si arricchisce di tutte quelle esperienze umane, culturali e artistiche che, nel corso della storia, hanno dato vita a una sperimentazione immaginativa e poetica propriamente e squisitamente di natura mistica. Nella storia della pittura, ad esempio, penso alle rappresentazioni di animali e uomini ritrovate nelle Grotte di Lescaux, nella Francia sud-occidentale; oppure penso anche alle figure di artisti (mistici e filosofi), i cosiddetti “zoografi” bizantini, scrittori di icone, che mettevano sulla tavola una pittura che diventa porta, dimostrazione silenziosa della forma divina; ma penso anche alle figure di quegli artisti che, tra il Quattrocento e il Cinquecento, come Michelangelo o Botticelli, solo per fare due nomi, si formarono nella cerchia dei filosofi della corte Medicea, guidati dalla parola di Marsilio Ficino, padre del Neoplatonismo Rinascimentale, il quale fissò nella centralità dell’Anima la sua teologia filosofica. Potrei fare mille altri esempi di come questa tensione mistica si afferma e conferma nella storia dell’arte fino all’epoca contemporanea, e non si interrompe e non si perde nemmeno con la modernità, come dimostrano le ricerche di quegli artisti che, nel Novecento, furono ostinatamente tesi alla ricerca del trascendente, come lo spirituale Kandinskij o l’alchimista Duchamp.
P.P: Il vortice “non finito” di cui parli coincide ne “Il libro azzurro”, e quindi in tutto “Lo splendore”, con un disegno finito. La teologia su cui si fonda la modernità nega la possibilità di questa coincidenza, motivo per il quale nella letteratura moderna si trovano, contrapposte, la tendenza a dare espressione all’infinito (penso a Musil) e quella a dare espressione alla finitezza perfetta (penso a Joyce). La modalità de Lo splendore è invece quella del “perenne”: e abbiamo così l’immagine finita di un cerchio all’interno del quale corre l’infinitezza. Questa modalità è classica, omerica, e penso dunque che la concezione del romanzo sia profondamente influenzata dalla mentalità e dalle aspirazioni canoniche della sapienza e della letteratura greca.
Qual è il rapporto fra parola scritta, pensiero e immagine? La forza del linguaggio influenza l’estetica delle opere che accompagnano il percorso o si tratta di una trasformazione continua di idee che si amalgamano fra loro, per divenire sempre più tentacolari e oniriche?
V.: Nel detto oraziano “Ut pictura poesis”, che letteralmente significa “come nella pittura così nella poesia” si allude al fatto che entrambi i linguaggi, sia quello pittorico sia quello poetico, si avvalgono dell’uso delle immagini. Mi piace ricordare questo concetto, che divenne tanto centrale durante il Rinascimento italiano, e sul quale si fondò tutta l’arte della memoria, perché mi aiuta a chiarire il succo del nostro lavoro per Il libro azzurro. Come facilmente sappiamo tutti per averlo sperimentato empiricamente con il semplice esercizio di questa funzione, il pensiero si presenta a noi per lo più attraverso il formarsi di immagini. Se le riflessioni e le narrazioni che Pier Paolo scrive ne Lo splendore e poi ne Il libro azzurro rappresentano lo sforzo poetico di dare forma e figura, con le sue parole, al pensiero, possiamo dire che il compito che io mi propongo è quello di dare forma e figura, attraverso le mie immagini, al pensiero e alle riflessioni di Pier Paolo, che è un pensiero filosofico, un pensiero che cerca la verità. Possiamo quindi affermare che, entrambi, uno gli strumenti del linguaggio poetico, l’altra con quelli del linguaggio pittorico, cerchiamo di individuare e riportare alla luce la verità delle immagini. Per metodo naturale, il rapporto che si crea tra i due linguaggi vede in genere la parola scritta precedere la realizzazione dell’immagine, ma può anche capitare (e spesso è capitato), che il testo e le parole usate da Pier Paolo siano in seguito modificate in base all’elaborazione artistica, in un rapporto di reciproca influenza e permeabilità.
P.P.: Noi uomini (ma anche gli altri animali) siamo dominati da una macchina celeste indominabile, che facciamo molta fatica a gestire: il linguaggio. La nostra immaginazione tocca, in un punto vuoto, l’esistenza potenziale di tutto ciò che è, e, mediante un processo metaforico, traduce quel vuoto in sensazioni, segni, emozioni, simboli, sentimenti, pensieri, parole, immagini. Chi lavora con il pensiero e le parole e le immagini si sottopone in una maniera particolarmente intensa a questo processo, trascorrendo la vita così, nel tentativo di riportare alla loro coincidenza essenziale, a quel punto vuoto, tutti i segni, girando e rigirando parole, cuocendo nel loro sangue i pensieri, cercando l’esattezza delle immagini: lasciandosi trasportare pericolosamente dalla metafora. Quindi, sì, possiamo dire che il lavoro quotidiano cui io e Veronica ci dedichiamo è proprio questa trasformazione continua.
Tempo: la gestazione di un romanzo o la creazione di un’opera d’arte è legata alla tras-formazione stessa del suo autore o della sua autrice. Il nostro presente è vorticoso, richiede velocità, ha una certa ossessione per la performance e la spendibilità immediata di contenuti e concept. Il vostro lavoro, la cura e lo studio che infondete al progetto, comunica un senso di lentezza che però ha in sé il dinamismo tipico di chi tesse una tela, questo rende Il libro azzurro uno spazio nel quale chi si ferma non è perduto, anzi…
V.: Siamo figli ed eredi di un orizzonte culturale molto limitato: il Novecento con i suoi miti e i suoi riti. Da un lato il capitalismo e il consumismo impongono che l’opera sia prodotta, fruita, digerita e dimenticata velocemente, per fini di lucro, dall’altro sembra che non si riesca ad uscire dalla concezione avanguardistica, che impone come obiettivo primario dell’opera il rinnovamento a tutti i costi, impigliando la cultura odierna in una stanca ed esangue accademia dell’Avanguardia storica. La via dell’arte e della letteratura oggi è impostata secondo una direzione rettilinea di crescita, verso l’esterno, alla ricerca spasmodica di rinnovamento a tutti i costi. Ma l’anima, con le sue immagini, ha un andamento circolare, lento, ripetitivo. La sua direzione è all’interno e in profondità. Del resto, noi esseri umani facciamo arte e scriviamo storie e poesie da migliaia di anni, ed è impossibile e insensato credere di riuscire a fare davvero qualcosa di nuovo. Inutile e dannoso, quindi, affannarsi e sgomitare. Piuttosto imitiamo i processi messi in atto dall’alchimista, chiuso nel suo studiolo, che riscalda col fuoco, lentamente, la materia per trasformarla (e quindi trasformarsi). Solo così il lavoro ha un senso e raggiunge il cuore delle immagini.
P.P: L’uomo di oggi è tornato, come nell’Alto Medioevo, a sentirsi “moderno”, ossia chiuso in uno spazio astratto che esclude il passato e vive nell’attesa della dissoluzione. La “modernità” soddisfa questa esigenza religiosa di stampo gnostico nel concetto di “presente”: che non è un tempo, ma uno stato di coscienza alterato che ci scioglie dai legami con la realtà. Sono espressioni di questa patologia la velocità e l’ossessione di cui parli, che si coagulano in un’inflazione ermetica alienante, che ci allontana dal mondo. Il mondo, la sua trama (o, come la chiami tu, tela), lenta a viversi e perenne nella forma, non è certo un luogo sicuro, e si può capire, in una certa misura, la tentazione di astrarsi da esso, ma non ci sentiamo mai perduti nel suo spazio: direi dunque che la riproduzione di questo spazio, insita nel nostro gioco letterario e artistico, è un atto di amore verso la vita e di prudenza contro la morte (e la sua istituzionalizzazione nella nostra società), e vale la pena, per giocarlo, sottoporsi a quella trasformazione così umana, troppo umana, e quindi bella: incarnarsi, e poi invecchiare, mentre si girano e rigirano parole, si cuociono nel loro sangue i pensieri, si cerca l’esattezza delle immagini.
Qual è la vostra posizione a proposito delle intelligenze artificiali? Mi riferisco in particolar modo alle AI – Text to image, al loro potere algoritmico di generare immagini a partire da un input testuale, ovvero il prompt. La varietà, la rapidità e la possibilità di ricreare uno stile, o una certa tecnica, sono sorprendenti. Avete mai sperimentato software come Midjourney, DALL-E, o Stable Diffusion, solo per citarne alcuni?
V.: Questo delle nuove tecnologie è un tema molto complesso, e non mi trova del tutto preparata. Da un lato, sicuramente queste tecnologie possono rappresentare un enorme aiuto per un artista, garantendogli velocità, precisione tecnica, archivi infiniti, ma dall’altro, possono, però, diventare anche un danno: l’ossessione economicista e produttivista tipica della decadenza di questi anni rende facile la sostituzione dell’uomo con una macchina. Un’altra considerazione che mi viene in mente è il rischio che si vada incontro, attraverso la realizzazione di opere tecnicamente perfette, all’appiattimento e all’omologazione delle immagini o delle narrazioni. Disegno e dipingo da molti anni e come ogni artista ho sviluppato un metodo di lavoro molto personale dall’ideazione alla esecuzione. La mia formazione si può definire accademica, e si è basata soprattutto sul metodo del disegno dal vero, che è una tecnica interessante perché, oltre a permetterti di imparare a delineare correttamente sul foglio il corpo umano o un paesaggio, assomiglia moltissimo a certi metodi di meditazione trascendentale, ed è soprattutto una splendida occasione per scoprire, praticamente e sensorialmente, come l’essere si nasconde nel divenire. Detto questo, il mio lavoro per lo più si svolge in modo analogico e l’uso delle tecnologie digitali si limita a certi strumenti come lo scanner e Photoshop, dei quali mi avvalgo soprattutto per montare insieme i mille schizzi o le idee che butto giù su foglietti di ogni tipo, a volte piccolissimi, che accumulo, accumulo, accumulo ancora, e poi conservo, e poi dimentico, e poi, invece, ad un certo punto, al momento giusto, alcuni di questi mi tornano in mente e così li vado a ripescare e allora capita che li metto insieme, più di uno, li compongo e ricompongo, fino ad ottenere, non senza un grande sforzo, un bozzetto finale, fatto di tanti pezzi che però si riuniscono in un’unica immagine, che finalmente posso stampare e sulla quale, infine, dipingo. Forse, quindi, non ho ancora sentito la curiosità o la necessità di usare queste nuove tecnologie di intelligenza artificiale perché credo che la possibilità di ricreare molto velocemente uno stile e di variarlo all’occorrenza a seconda degli scopi, non rappresenti per me un aspetto funzionale al mio lavoro artistico: non ho bisogno di risolvere velocemente i problemi, piuttosto ho bisogno di incontrarli e scontrarmici.
P.P: Non ho ancora avuto modo di giocare con queste nuove tecnologie, ma c’è una considerazione molto facile da fare, di carattere generale: dal paleolitico fino ai giorni nostri l’arte ha usufruito di sempre diverse tecnologie, che non ne hanno variato la qualità. Direi che sarebbe impossibile il contrario, dal momento che la tecnologia afferisce al campo delle quantità e non delle qualità: ci può fare lavorare di meno o produrre di più, ma non ci può rendere più felici o migliori. Come dice Luca Moretti, il fondatore di TerraNullius, appassionato studioso della mitologia materialista: la macchina non è passibile di errore perché non ha genio; solo l’errore è la verità.
Immaginiamo un futuro che non vivremo e che non sappiamo se accadrà, immaginiamo un potenziale 3023. Mille anni di distanza. Non so chi o cosa esisterà, e in quale forma, ma se dovesse permanere ancora una traccia dell’arte e in questo caso de Il libro azzurro, cosa racconterebbe del mondo, dell’essere umano, di noi, di voi?
V.: Questa domanda mi colpisce molto, perché Lo splendore è un romanzo pazzesco, che, nei suoi vari tasselli, arriva a raccontare la storia degli uomini fino ad un futuro remotissimo, lontano da noi più di mille anni. Perché Pier Paolo si incaponisce a immaginare un uomo salvato, nonostante tutto, dalla bellezza del mondo. Il mondo che esisterà tra mille anni sarà altrettanto bello e se qualcuno, per caso, tra mille anni, troverà una copia de “Il libro azzurro”, dentro le sue pagine troverebbe il racconto di questa bellezza.
P.P: come ho già detto non è facile riassumere la trama de Lo splendore, ma la sua storia, così come è riflessa nelle mutazioni de “Il libro azzurro”, parla di una cosa semplice: del mondo; che è il mondo, ovvero una forma razionale e graziosa di ordine e armonia; e che quindi è bello, con tutte le sue creature, e l’acqua e la terra e il fuoco e l’aria, che varia sempre, incostante, e cambia la forma a tutto, come fanno le stelle in cielo, che si inseguono, spasimando, nel giro perfetto della perennità.
Infinte quest, by Giulia Bocchio