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“Non so che ore fossero”, un racconto di Antonio Casto

Max Ernst, L’angelo del focolare, 1937 Classicpaintings / Alamy Stock Photo ©

 

Onestamente non credo di essere mai stato così disperato – senza un lavoro, senza soldi, senza amicizie, senza fantasia, con il corpo che cade a pezzi (ogni porzione è un dolore: la schiena è un dolore, le spalle un dolore, i nervi un dolore). Se sto fermo ne vengo risucchiato, se siedo sfioro la morte, se cammino stento. La notte è incubo e veglia, il giorno è sonno e arrendevolezza. Il momento peggiore? Guardare l’orologio quando apro gli occhi la notte. Le ore scorrono per me in modo diverso, le sequenze della quotidianità altrui non mi appartengono. Ho avuto e ho ancora molto filo da torcere. Perdita di impiego, traslochi precipitosi, lavori miserabili, guai di salute, ecc.,(“I’m home. Lost my job. And incurably ill”), ma ma tutto ciò si potrebbe sopportare molto facilmente se si fosse sicuri di non essere responsabili. Gli impegni sono vespai di sfortuna. Nulla mi risulta possibile, e benché ora claudicando nella notte prematura possa apparire una specie di Simon Tanner, svagato e segretamente fiducioso, in realtà mi divora il terrore di non poter vivere. Ogni evento mi maltratta e beffa. Come dice Allen in Stardust memories: «Se non hai da mangiare, il problema principale è quello. Solo in condizioni più agiate le domande diventano: perché invecchio, cosa può essere la morte, che senso ha la vita». Io sono a Ladri di biciclette nella scala che da questo film va a . Non posso pensare senza mortificazione a tutte le speranze che prima ho suscitate e poi deluse, io uomo incomprensibilmente sciagurato. E quanto più non si ha, tanto più non si avrà: a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto.
Cosa faccio, gettato in questo mondo? Verso chi mi rivolgerò? A chi domanderò risposta? Forse ho trascurato qualcosa o non ho capito qualcosa? Questa disperazione non può essere propria di tutti gli uomini. Soffrendo, i miei pensieri diventano materia organica, e finisco braccato tra le elucubrazioni più riposte, come se anche la riflessione mi si fosse rivoltata contro, indipendente.
L’aldilà del mio pensare. Ad esempio: perché a ogni azione associo un’immagine negativa? perché ho paura quando le cose vanno bene? Ormai appaiono ridicole le domande un tempo più profonde, brandelli che bisogna abbandonare irrisolti da quando urgono difficoltà più terribilmente impellenti: perché sono così freddo? perché non riesco ad amare? perché mi è così indifferente che ogni persona scompaia dalla mia vita?
Se ora cadessi a terra sarebbe un sollievo, perché in questa notte nessuno mi vedrebbe. Quanto pesa il cielo sulla mia testa, com’è basso e opprimente, mi toglie il respiro! Sicché mi inginocchio lentamente tremando, e per prendere fiato alzo la testa e un cuneo fosforescente nel cielo colossale come una stella in discesa superluminale si va conficcando dallo spazio squarciato come un crepaccio nero giù a piombo davanti a me, brillante prillando, sfiamma e a cento metri di distanza si staglia adesso una figura minuta e luminosa, anch’essa inginocchiata, ha un completo turchino, denti storti, babbucce orientali. (“And the rain sets in. It’s the Angel Man”). Finalmente gli alieni mi hanno trovato. Stende nella mia direzione una spada dorata. È venuto a propormi una soluzione. Prego: «Mettimi sulla strada, e non per soddisfare le mie futili aspirazioni, ma per raggiungere l’eterno e grande fine della mia vita, che ignoro, ma di cui ho coscienza».
Attendo in apnea. Ho il terrore che mi chieda se sono giusto.
«Il tuo scopo sarà di apportare gioia e malessere».
Non mi resta che chinare la nuca e ricevere questa benedizione maledetta.
Una mina attende nell’ombra di fronte a me, e con la speranza di salvare il pianeta mi ci stendo sopra.


Antonio Casto ha studiato fisica ed etologia, si è rovinato la schiena lavorando come manovale nel cinema e fa il traduttore di libri e articoli per lo più scientifici. Il suo sogno è essere simpaticissimo. È molto povero.

Una replica a ““Non so che ore fossero”, un racconto di Antonio Casto”

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