Mutazioni di Gianni Ruscio (Terra d’Ulivi, 2022) è il libro della maturazione, sempre che si possa parlare di maturazione per un poeta che mostra anche questa volta una poesia in divenire e non seduta su sé stessa; ma la maturazione – secondo me – si compie proprio nella presa di coscienza del compimento del rito di passaggio, quella rinascita che nel precedente libro, Interioranna, si celebrava nella e con la nascita del figlio Jago; ciò che si compie in Mutazioni è la crasi tra il padre e il figlio, tra tutte le nascite e perciò tra tutte le madri, ovvero tra ogni rigenerazione. La sacralità di questo rito di rigenerazione si avverte nella scelta di campo di una lingua poetica tesa e mai offesa, ricreata anch’essa; una lingua che non risparmia la violenza di una ritualità ancestrale e che fa riaffiorare in me il ricordo di un’identica ritualità presente in The Waste Land di Eliot, compresa – come dimostrato in un recente saggio – la crisi religiosa o spirituale del poeta modernista, e che mi porta a accogliere tutto ciò che ci viene detto della poesia di Ruscio nella postfazione firmata da Maffii.
Sacralità ‘eretica’ che si incarna nella figura della Maddalena scelta come “madre delle madri”, e nella quale prende vita un corpo di carne e sangue, e che quindi si discosta da una maternità di tutta luce come potrebbe essere quella di Maria madre del Cristo. Quest’altra maternità è allontanata da subito, immediatamente rifiutata per la sua natura addomestica e normatizzata. È una dimensione totalmente archetipica quella portata all’atteuna forma l’inestricabile caos della contemporaneità. Del resto, è avvertibile, tattile, il tormento primitivo che agita costantemente il verso di Ruscio: è un moto dal ventre stesso della poesia che emerge, che fiotta come il sangue o come ilnzione del lettore da Ruscio, qualcosa che richiama nuovamente Eliot e l’uso di un paradigma capace di dotare di latte. Sintomatica la commistione di questi due elementi liquidi ben distinti e comunque portatori di vita e nutrimento:
Se la rosa sbianca e punge
diventando bianca latte
tutto il siero
manifesto e il plasma
tradotto in versi
potranno salpare
da quel golfo
mai rivelato
della nostra innocenza bestiale.
E così il primo componimento ci cala in media res, ci immerge nella materia viva (luzianamente magmatica) che, qui annunciata, verrà dipanata come una matassa per tutta la lunghezza della raccolta che è quasi un poema per frammenti, che alla compattezza del tema contrappone la parcellizzazione della parola che tenta di afferrare, fermare, il senso e che di fatto denuncia la precarietà della lingua (paradossalmente unica certezza dell’uomo) insieme a quella dei tempi, entrambi necessitanti una ri-creazione.
Ruscio ci invita a ritrovare una radice il più umana possibile e quindi più naturale, bestiale, e quindi innocente, per risalire gli incerti giorni di questa contemporaneità. Ci invita, certo, a ripristinare un legame col sacro; ma non dice, come fanno altri, di piegarsi a un confessionalismo di bassa lega: no, Ruscio ripristina un patto col sangue nel segno di un sacrificio costante per non perdere di vista le basi, le pietre su cui poggia la fragile esistenza umana (nessuna statua dai piedi d’argilla, insomma, è portata in scena) soggetta alla quotidiana mattanza.
@FabioMichieli
***
Fiotti di sangue
– nel sangue c’è scritto tutto –
inarrestabile
bile rivolta al cielo
– verde conchiglia –
sull’asfalto di Roma
cuore sbranata
dentro cuore calpestato
una fiamma e un lamento
e poi nulla più
di questi essere che eravamo
stati.
***
Lo spirito è lassù
e ha l’odore dell’ombra.
Qui sotto tutto è volgare
caotico squallido
ma è a immagine e somiglianza
dell’essere umano. Io faccio
definitivamente
la cavia di me stesso.
***
Da adulti bambini
consapevoli delle sedimentazioni
delle derive
che non hanno termini
e non hanno nome
sfociavamo sul volto di
Maria Maddalena
madre di tutte le madri
amante di un unico figlio
di un unico uomo.
Una replica a “Le “Mutazioni” di Gianni Ruscio (a cura di Fabio Michieli)”
L’ha ripubblicato su asSaggi critici.
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