Giorgio De Maria, Le venti giornate di Torino
Un inquietante romanzo dimenticato
a cura di Giulia Bocchio
Ho scoperto questo libro, Le venti giornate di Torino (edizione Frassinelli), di Giorgio De Maria, circa tre anni fa, fu un’agenzia letteraria a consigliarmelo.
Stavano valutando il mio, di romanzo, e a un certo punto, la persona che gestiva la lettura di quelle confuse bozze mi scrive che la storia le riportava alla mente proprio questo disgraziato testo, che finì sottotraccia per tanti, troppi anni: praticamente dentro c’era tutto, compreso il non detto che era talmente ‘non detto’, da aver contribuito alla maledizione di questa storia, ambientata a Torino, città fondamentale per me.
Tra l’altro, la vicenda narrata da De Maria, comincia in un misterioso 3 luglio.
Io, sono nata il 3 luglio.
“Questo di De Maria è un capolavoro, è potente, ma ha preso polvere fra gli scaffali, bisogna fare attenzione”.
Allora, siccome non l’avevo letto (e a dire la spietata verità non ne conoscevo in generale l’esistenza) l’ho comprato subito.
Solo alla fine ho capito cosa volesse dire quella persona a proposito delle mie bozze, ma quella è un’altra storia, anzi, un’altra febbre.
Quella di Giorgio De Maria è una vera inchiesta gotica di fine secolo, fattacci maledetti, sussurri, e non visto; una costruzione narrativa sapientemente legata alla potenza delle atmosfere, dove lugubri e inquietanti sono i dettagli, piuttosto che l’assetto generale della vicenda. E questo è già un valore.
Inoltre, anticipa in maniera sorprendente, ai limiti del profetico, l’avvento dei social network, Facebook in particolare, ed era solo 1977.
Essendo un romanzo caduto nell’oblio, non se n’è quasi accorto nessuno ovviamente.
L’incipit è piuttosto tipico, quasi un giallo: un anonimo investigatore dilettante decide di indagare su una misteriosa serie di delitti avvenuti dieci anni prima nella città di Torino, la sua idea è quella di scrivere un libro sulla vicenda. Fin qui nulla di strano né per il lettore né per l’investigatore, ma c’è un dettaglio tra l’inquietante e il sorprendente a far da sfondo all’indagine: una strana e inspiegabile insonnia di massa, iniziata il 3 luglio, e durata venti notti.
Per venti giornate, Torino cade nel limbo della veglia e del sangue. E poi tutto cessa, improvvisamente e senza nessuna spiegazione, così com’era iniziato.
C’erano state non poche vittime nel frattempo, uomini e donne, diversi fra loro, per estrazione e mansioni, ma si trattava di omicidi senza movente, assurdi.
E tutti i corpi erano stati fatti a brandelli da una identica forza sovrumana, tutti scaraventati contro muri e monumenti. Senza pietà, senza logica e senza nessuna vera pista da seguire, sicché la polizia archiviò presto l’inchiesta. Meglio non farsi domande.
Eppure in quelle venti giornate più di un cittadino coglie, in ogni angolo del centro storico, strani rumori, voci e urla dal suono profondo e cavernoso, impossibile spiegare il fenomeno, poiché tutto appare immobile e immutato, a parte qualche… monumento.
I monumenti sembrano impercettibilmente diversi, sembrano assumere posizioni nuove, si muovono.
Ma si sa, l’occhio può ingannare o vacillare se si fissa troppo a lungo un dato oggetto, e Torino è la città delle statue, la città delle piazze al centro delle quali spiccano monumenti regali ed eterni, la città che conserva la cosiddetta “Porta dell’Inferno”, Piazza Statuto.
L’investigatore – protagonista senza nome del romanzo di De Maria – a differenza della polizia, comincia a fare qualche domanda in giro, dapprima ai parenti ancora in vita di qualche vittima, poi al sindaco, sino a giungere alla scoperta di una piccola biblioteca che era stata aperta proprio nel periodo delle voci, dell’insonnia e degli omicidi, presso La Casa della Divina
Provvidenza. La cosa sorprendente di questa biblioteca sono i testi: non libri, ma “diari” privati dei cittadini stessi; una trovata narrativa inventata da giovani studenti della città: ognuno poteva dire la sua, raccontarsi, scrivere di proprio pugno un pensiero, un segreto, un aneddoto imbarazzante e metterlo (morbosamente) a disposizione degli altri.
All’investigatore non servirà a molto, ma ciò che sorprende oggi è la chiaroveggenza di un sistema che ormai fa parte delle nostre vite e ne scandisce la quotidianità e l’informazione e, in questo senso, quello della biblioteca di De Maria non è che l’antenato cartaceo di Facebook. Non tutta la curiosità è pura.
L’indagine a proposito delle macabre venti giornate non porterà a nulla di concreto, o meglio, a nulla di chiaramente classificabile, ma intorno agli eventi legati a quel brevissimo periodo ci sono ancora dei richiami, delle oscure allusioni, strane presenze e misteriose suore ai piedi della Gran Madre.
Leggete e capirete.
Il trionfo gotico di questo romanzo si concentra soprattutto nelle pagine dedicate a un terrificante spettacolo di marionette al quale il protagonista assiste in un quartiere degradato della città, quando ormai tutto è perduto, quando ormai è facile comprendere che l’apoteosi del male e dell’oscurità è una stagione che sempre ritorna, esattamente come un equinozio o un solstizio.
Dopo oltre quarant’anni questo romanzo si impone ancora come un’ombra, come una metafora, come un monumento fra i grandi titoli dei classici italiani da riscoprire e rileggere.
Le agenzie letterarie fanno anche del bene, no?