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Dante 2021 #11: Inferno di Heinz Czechowski

Dante muore a Ravenna settecento anni or sono, la notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. Un anniversario importante, che su queste pagine non può passare inosservato. «Poetarum Silva» intende commemorarlo, il 14 di ogni mese, attraverso le pagine di autori che gli hanno reso omaggio, trasformandolo in personaggio della loro scrittura critica, narrativa, poetica.

Inferno di Heinz Czechowski

«Non ho fatto la storia, è stata la storia a fare me, ne sono stato oggetto. Questa è un’esperienza fondamentale, alla quale non posso rinunciare […]. Da lì si dipartono tutti i fili, si aprono tutte le prospettive, in qualunque direzione io rivolga il mio sguardo. È questo in realtà il metro con il quale misuro. Per quanto mi sforzi – e ho provato in tutti i modi a disabituarmi a tale visione che da lì prende mosse –, non riesco a farlo, la riflessione, la poesia ritornano a quel punto».
Queste parole che Heinz Czechowski pronunciò nel 1981 in un’intervista a Christel e Walfried Hartinger illuminano lo sguardo su tutta la sua produzione poetica, ivi compreso il ciclo di poesie Inferno, scritto negli anni tra il 1997 e il 1998, dunque all’indomani della riunificazione tedesca.
Per il poeta, nato nel 1935 e per il quale il bombardamento di Dresda, sua città natale, il 13 febbraio 1945, fu “la” prospettiva dalla quale, volente o nolente, avrebbe sempre visto il mondo – e la storia! –, anche i componimenti di Inferno sono sì un omaggio a Dante, poeta al quale scrittrici e scrittori della Repubblica Democratica Tedesca (e in particolare, della Sächsische Dichterschule) hanno guardato come punto di riferimento e di partenza per una critica al presente, ma sempre nella convinzione profondamente radicata che siamo storicamente determinati.
La poesia ha il compito o, per essere più precisi, assume l’impegno di rendere più acuto lo sguardo, di irrobustire questa consapevolezza, anche nel reciproco ascolto, anche, e con attenzione particolare, nell’ascolto e nella lettura dei ‘maestri’ come Dante.
In tal senso il percorso scelto da Czechowski è quello additato da Bertolt Brecht in Visita ai poeti in esilio. Non salvezza, non consolazione, ma lucida condivisione circa l’attraversamento delle singole esistenze, e del loro collettivo con-vivere, nella storia, ascese e cadute rovinose.
Su DANTESK (DANTESCO), la prima poesia del ciclo Inferno, mi soffermerò per formulare alcune considerazioni sugli echi di Dante nella poesia di Czechowski.

DANTESCO[1]

Niente più riproduzioni
ma in compenso
da nessuna parte a casa.

Dove
è il luogo
il cui nome avremmo dovuto
pronunciare,

affondando nella polvere e nello sporco
dell’inferno?
Ora

all’arbitrarietà
tutte le porte
sono spalancate.

I nostri sforzi
attestano il procedere
di ogni cosa

verso il nulla.

Heinz Czechowski sceglie il titolo DANTESCO per introdurre a un itinerario che parte da una condizione di crisi, di deprivazione e che da questa condizione procede. Fin qui si spinge l’affinità con la cantica della Commedia dantesca che porta il nome da Czechowski attribuito al proprio ciclo di poesie successivo alla Wende, termine che nella storiografia contemporanea indica il processo che ha condotto alla cosiddetta “caduta del muro di Berlino” e alla riunificazione tedesca, con conseguente fine della Repubblica Democratica Tedesca.
Il componimento di Czechowski parte da una situazione successiva a una fine, a una cessazione di esistenza; ma là dove Dante disegna un percorso di esplorazione e di conoscenza, il poeta tedesco delinea un paesaggio desolato, di negazione, dall’inizio alla fine: «Keine Abbilder mehr», «Niente più riproduzioni», all’inizio può dare l’illusione di una mancanza di catene, ceppi, costrizioni, ma immediatamente dopo lo scotto da pagare per quella che sembrava libertà, e invece si palesa come beffa, è sentirsi «nirgends zu hause», «da nessuna parte a casa». Gli sforzi di chi ha operato pensando al bene comune – il «noi» sottolinea questa condizione – sono stati, con termini biblici, condannati ad affondare «im Staub und Schmutz», nella polvere e nello sporco di un universo che già nell’originale tedesco è chiamato «Inferno». L’esito chiude il cerchio: la direzione di ogni tentativo è «verso il nulla».
Con la propria storia di esiliato, Dante si conferma punto di riferimento per il poeta che viveva prima, da dissidente nella Germania Est, e vive ora, da espropriato di una proprietà che non ha mai avuto (per dirla con le parole di Volker Braun, anch’egli rappresentante della Sächsische Dichterschule, nella poesia La mia proprietà), una condizione di esilio permanente.
Tuttavia, se in Dante la tensione è, nonostante tutto, verso la luce – «a riveder le stelle» – la constatazione amara di chi storicamente si è trovato sempre dalla parte dei vinti non lascia spazio in Czechowski a un itinerario, e forse neppure a un barlume di salvezza.

@AnnaMariaCurci

 


[1] È riportata qui, con alcune modifiche, la traduzione di Paola Del Zoppo, in: Heinz Czechowski, Il tempo è immobile. Poesie scelte. Cura e traduzione di Paola Del Zoppo, Del Vecchio Editore 2012, p. 245.

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