Mi parli come un congedo
pacato e sommesso
e ti chiudi appena
come le porte delle case vecchie
con la cerniera lenta e
i segni di uno scontro
che se li unisci fanno una mappa
dei lanci di precisione
nelle guerre che improvvise
accadono.
Altri verranno nell’appartamento sette, penultimo piano.
Tu digli come sudano le pareti,
digli che le impronte dei piedi scalzi
sono tutte taglia 36
e che più lavi il pavimento più restano
e s’imprimono, impressione di un mondo
camminato in tre stanze soltanto.
Per questa casa che vivi e che lasci
tu di’ ai nuovi inquilini
che lì c’era un osservatorio astronomico
e che il sole la mattina batte sul balcone.
Il senso del nostro incontrarci
sempre al buio a partorire quanti errori
poteva la mia gola garantire
pensieri straordinari
a sfidare l’indice lungo i costati frastagliati
finché sul campo
reduci e sconfitte
restano solo le nostre domande,
io con le mie e tu ancora
per le mie, quelle di sempre.
La mattina dopo era tutto un lamento di muscoli.
Strage di cellule diresti tu,
e il letto sgualcito formava un paesaggio
sfiancato da calanchi profondi
dove tu vedevi una breve poesia
io segretamente appassivo:
l’ombra rimasta sul lenzuolo
vìola il diritto di essere
trasparenti
miniature di sé
il corpo è un disturbo
di assenze e frequenze
o frequenti assensi
dimmelo tu che pesi il buio sulle palpebre stanche
e magari leggimi una storia la mattina dopo,
Pupilla delle stelle.
© Ilaria Monti, Pelle ombre, Terre d’Ulivi 2021
Ilaria Monti (Latina, 1993) storica dell’arte, si occupa di arte contemporanea in collaborazione con realtà pubbliche, private e indipendenti. È editor di «Menabò – Rivista internazionale di cultura poetica e letteraria» (Terra d’Ulivi Edizioni), dove scrive in particolare del rapporto tra l’arte visiva e la parola. In ambito poetico ha pubblicato: Dalla terra (Bertoni Editore, 2019); Pelle ombra (Terra d’Ulivi Edizioni, 2021).