Rosella Postorino, Le assaggiatrici
Feltrinelli 2018
Sollevare il braccio per il saluto nazista non era una questione trascurabile. Di certo l’Obersturmführer Ziegler aveva partecipato a molte conferenze in cui glielo avevano spiegato: affinché il braccio si alzi in modo
netto e incontrovertibile, è necessario contrarre ogni muscolo del corpo, glutei stretti, pancia in dentro, sterno in fuori, gambe congiunte, ginocchia tese e diaframma gonfio, per poter espirare Heil Hitler! Ogni fibra tendine nervo devono assolvere al solenne compito di allungare il braccio.
Ci sono quelli che lo stirano debolmente, irrigidendo la spalla, che invece deve restare bassa, distante dall’orecchio, per evitare la minima asimmetria, e celebrare la posa atletica di chi non potrà essere abbattuto, o almeno spera: pertanto si affida a un uomo invincibile, per di più con la stoffa del messia. C’è chi, invece di stenderlo a quarantacinque gradi, lo stende quasi in verticale: ma non stai mica esprimendo il tuo parere per alzata di mano. Qui i pareri li esprime uno solo, adeguati e pensa a far bene il tuo lavoro. Le dita, per esempio, non devi aprirle come se dovessero passarti lo smalto sulle unghie. Uniscile, tendile! Solleva il mento, spiana la fronte, trasmetti alla linea del braccio tutta la tua forza, tutta l’intenzione, immagina di schiacciare con il palmo le teste di coloro che la stazza dei vincitori non l’hanno – gli uomini non sono tutti uguali, la razza è l’anima vista dall’esterno: metti la tua anima nel braccio, offrila al Führer. Lui non te la renderà, e tu potrai vivere svuotato di questo peso.
Tempo fa, su queste pagine, dissi che Flannery O’ Connor aveva scritto la pagina perfetta, il che non è difficile da credere. Per una fortunata coincidenza tipografica, la mia edizione minimum fax di Nel territorio del diavolo faceva iniziare una pagina strepitosa, successiva alla nota vicenda del pollo che cammina al contrario e riguardante il pavone, con il geniale «il piumaggio del pavone impiega un paio d’anni ad acquistare la foggia naturale, e per il resto della sua esistenza questo pollo si comporterà come se l’avesse disegnata da solo». Il tutto continuava con altrettanti gustosi aneddoti che terminavano a fondo pagina con un punto fermo. Adoro quando accade: le pagine possono isolarsi, non farsi solo monade concettuale ma magnifici oggetti di carta, alfa e omega di un’esperienza emotiva – questo colpo di fortuna accade raramente, ma accade. È accaduto con Rosella Postorino, nel suo celebre Le assaggiatrici (Feltrinelli 2018). Sono a pagina novantotto. L’ho riportata, qui sopra, perché credo sia un’esperienza di completezza rara. Graficamente, è lì, isolata, unico blocco lontano pure da qualsiasi accenno di fabula, dall’avanzata dei personaggi nella trama. Parla di corpo, gestualità, e tutto comincia con un’idea astratta, una conferenza, un luogo in cui si spiega, perché la gestualità è tale da avere una costruzione, dietro, un’impalcatura, motivazioni assai serie. Poi ridiventa corpo: c’è un’abilità in Postorino, nelle sue parole coreutiche, a farci sentire i nostri stessi glutei stringersi, tendersi le ginocchia, fino a scendere nel minuscolo del tendine e del nervo, completamente al servizio di un gesto che conosciamo a memoria ma non abbiamo mai saputo così bene. Lo studio riguarda anche gli errori di postura: la spalla deve rimanere bassa, come stessimo provando degli arpeggi; la precisione è goniometrica; l’immersione diventa così potente da tirare in ballo un tu (ma non stai mica esprimendo il tuo parere per alzata di mano).
Qui la questione diventa quasi aggressiva, tanto è importante. Non ci sono pareri possibili perché il parere è uno, ed è qui il colpo di genio della chiusa di questa pagina magnifica. Dopo aver fatto i conti con il corpo nelle sue minuzie, dice immagina. Questo gesto fatto di corpo deve diventare immaginifico, nel braccio va messa l’anima, e l’anima va consegnata. Forse c’è in questa pagina più comprensione delle dinamiche di un totalitarismo che in cento ragionamenti. Comprendere l’affido, la perfezione del corpo, il tendine che immagina, l’anima consegnata sulla punta di una mano.
© Giovanna Amato