Con il lapis #7*
Franco Dionesalvi, Base centrale
Postfazione di Gerardo Pedicini
Arcipelago itaca 2020
*Con il lapis raccoglie brevi annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura dell’intera raccolta a partire da un componimento individuato come particolarmente significativo.
La ramazza
Viene un giorno
che devi fare spazio nel cervello
perché ti serve qualche striscia di tessuto molle
per poggiarci i numeri ed i nomi
degli ingranaggi quotidiani.
Allora cominci a spazzolare via
la nonna del corsaro nero
yoghi svicolone trottolino
il colonnello bernacca tito stagno
il cavallo di raimondo d’inzeo
franco e ciccio e il gelataio coi pinguini.
Ma proprio dalla macchia del cremino
emerge
l’astuccio di legno coi compassi
l’ombrellino di carta, il grembiule azzurro
la lana che fioccava dal cuscino
e insomma zitti, basta, andate via.
(p. 38)
Franco Dionesalvi ricorre e ridona luce alla forma dell’inventario in poesia. In Base centrale la riappropriazione passa per il procedimento di nominare ed elencare gli oggetti e le immagini che incorniciano, definiscono e che, allo stesso tempo, costituiscono il tessuto connettivo di un’esistenza. La riappropriazione è associata, come in un ossimoro, a un fenomeno inverso, quello della rimozione, dello spazzar via con un colpo di ramazza.
Allora è una memoria testarda, ribelle e costruttiva, a opporre alle crisi provocate dalla malattia rara di cui ha sofferto l’autore, che gli ha provocato strappi, buchi veri e propri nei ricordi, un universo che contesto biografico e creazione poetica vanno configurando come “paesaggi in movimento”, colti, captati, sovente ri-catturati, con la coscienza del correre, del ricorrere, del fermare e dell’affermare, in una dialettica mobile tra il ‘parlar franco’ e l’incantamento.
Rimozione e riappropriazione giocano nella persona, in ogni persona, una partita a scacchi senza interruzioni e senza esclusione di colpi. Di questo è ben consapevole Franco Dionesalvi, che così conclude la propria nota introduttiva alla raccolta: «E mi tirano violentemente due spinte opposte, forse entrambe vere: sentire che se una cosa non la ricordi l’hai persa per sempre; percepire che se di una azione non hai alcuna memoria ti viene donata un’altra prima volta». Ogni componimento di Base centrale reca traccia di questa disputa in continuo svolgimento. Le spinte opposte, in varie fogge e forme, condensate in oggetti e rese dinamiche da «innesti», conferiscono alla poesia di Dionesalvi il tono inconfondibile, quello che non teme l’elastico tra il drammatico e l’esilarante, tra la constatazione della perdita e la corsa insieme al globo, tra la fuga del tempo e l’elemento, perfino magico nella sua nuda semplicità, che di volta in volta vi si oppone. Può trattarsi delle scarpe («Oh come va veloce questo globo/ però non so se corro insieme a lui/ o se incontinente gli vo incontro/ eppure le ho pagate pochi soldi/ alla fiera di marzo», Le scarpe), di un gesto di ribellione che conserva il sapore della strofa di una canzonetta di Mark Twain, magari ascoltata nell’età della fanciullezza come sigla di un programma della TV dei ragazzi («Orsù, svuota la sacca/ cerca un biglietto per me scarabocchiato/ che me ne porti il tatto della mano…/ o forse è un campioncino rovesciato», La lettera; «Vorrei che mi adottasse il controllore/ è tanto lungo e può stringermi al seno/ e con quei baffi non può farmi male», Treno), di un morbido, etereo terreno per i propri passi («È così soffice calcare queste nuvole/ bianchissime ariose vellutate/ ci affondi i piedi e poi rimbalzi», Dall’alto), di un fantasioso elenco – ancora un vivissimo inventario – di provviste per la stagione fredda («Un cannocchiale/ per sfidare qualche volta con lo sguardo/ le vicende dei ghiacci./ Una bandiera per misurare il vento,/ un cerchio di luci colorate./ E un’ampolla d’essenza di gerani», La legna per l’inverno). (Anna Maria Curci)