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Con il lapis #2: Vittorino Curci, Poesie (2020-1997)

Con il lapis #2*

Vittorino Curci, Poesie (2020-1997)
Prefazione di Milo De Angelis
La Vita Felice 2021

 

*Con il lapis raccoglie brevi annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura dell’intera raccolta a partire da un componimento individuato come particolarmente significativo.

 

Mappe celesti

Altro non so, non
voglio che una provvida
sera e tanta fermezza.
Vedete, io riconosco le mie
nuvole dal grido concentrato
degli uccelli, dalle ombre
sull’orto, dagli odori
che sfumano sotto
gli ubiqui fraseggi.

Io duro fatica a vincere
il gesto che nessuno intende.
È la vigilia del suono,
del giorno che non ha
direzioni…

(p. 151)

 

«ma qualcosa ci incoraggia a fraintenderci meglio. forse anche questo ha un nome», scrive Vittorino Curci in un passaggio da L’ora di chiusura (2019), ora anche nel volume Poesie (2020-1997), La Vita Felice 2021.
Qui, nel proseguire il gesto, nel cercare il coraggio nel comunicarlo e la fermezza nel riconoscerlo, pur nella consapevolezza del non intendimento o del fraintendimento al quale è destinato, stanno da un lato uno dei nuclei fondanti della poetica dell’autore, che si lancia, si sporge, disegna ponti con le sue opere precedenti (un esempio è senz’altro Mappe celesti da Sospeso tra due solitudini estreme, del 2000), dall’altro una delle linee divergenti dalla tentazione del sarcasmo di cui il poeta si fa esperto, benché suo malgrado, come testimonia, invece, una poesia del 1994 di un poeta noto e caro a Vittorino Curci, Durs Grünbein: «Raggelando sotto le maschere del sapere/ Turbato dall’inaudito,/ Di giorno senza sogni tra cinici orologi,/ Tabelle di marcia, scale di valori, consigliato/ Da allegri assassini, dinanzi al monitor, –/ Così si diventa artista del sarcasmo» (da Variazione su nessun tema, la traduzione è mia).
La constatazione non si fa smorfia amara, abbandono, ma invito a riprendere dall’inciampo, dalla difficoltà, dal rovello, da ciò che sfugge al controllo non per ignorarlo, ma per conoscere e proseguire, ammettendo, manifestando, anzi, le proprie omissioni. Non è casuale,  allora, la scelta dei versi di Grünbein che Vittorino Curci riporta in epigrafe in una delle poesie della prima sezione, quella, in un andamento a ritroso, più recente per data di composizione: «Tutto sotto controllo, lingue, culti, satelliti,/ solo una cosa hai sottovalutato, questo io».
Non c’è sarcasmo, allora, bensì compassione, «la pena per una muta sofferenza», ma il poeta avverte «giustizia non è fatta». Resta la tensione, dalla quale scaturisce un canto che si rinnova e che si studia, che sorride di sé e che sa di partire, con devozione, dal silenzio. (Anna Maria Curci)

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