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Pierangela Rossi, “Parole smarrite”. Nota di Emilia Barbato

Pierangela RossiParole smarrite
Il Convivio Editore 2021
Nota di lettura di Emilia Barbato

Nel suo ultimo lavoro, Parole smarrite, edito da Il Convivio Editore, Pierangela Rossi, con pudore, ci insegna a ritrovare l’umanità. Risulterà difficile al lettore concludere la lettura senza trattenere alcuna emozione soprattutto se ha sperimentato in prima persona le privazioni proprie della malattia e/o della perdita della memoria.
La potenza di questa raccolta risiede nella sua universalità e la vicenda personale dell’autrice è quella di tutti noi, come direbbe Magrelli, tocca ogni gesto impreciso, «uno che inciampa, l’altro/ che fa urtare il bicchiere,/ quello che non ricorda, / chi è distratto, la sentinella/ che non sa arrestare il battito/ breve delle palpebre.»
In un mondo di modelli sempre più distruttivi, inneggianti alla perfezione e alla competizione, siamo tutti smarriti e diversamente ammalati e Pierangela, nella sua raccolta, ci restituisce la bellezza dell’imperfezione.
Gli orientali sintetizzano questa coscienza estetica legata a sentimenti di serenità e insieme di perdita con il termine Wabi sabi. In un bel libro di parole giapponesi, scritto dalla linguista Mari Fujimoto, si legge che «nella bellezza dell’imperfezione risiede la verità di tutte le cose viventi nessuna delle quali è perfetta, completa o immortale. L’idea del Wabi sabi attinge il suo senso da due nozioni complementari, la prima, wabi, è un processo interno di ricerca di bellezza e appagamento nella mancanza. La seconda, sabi, è la grazia che si scopre nel declino e nel deterioramento causati dal trascorrere del tempo.»
È questa la sensibilità che affiora, in tutto il suo valore, dal libro di Pierangela. La sua delicatezza del vivere, le lotte che ingaggia nel quotidiano per vincere il vuoto, sono le prove di ognuno di noi.
Le poesie di questa raccolta, piene di intelligenza e ironia, sono miracolosamente il frutto cresciuto da una rinuncia e la dimostrazione che la semplicità non è mai banalità ma massima naturalezza di comunicazione, orecchio attento alle cose invisibili. Lingua che si fa piena di pause, riflessioni, non detto, lingua in lotta. L’autrice cerca, scava e segna il mistero delle parole che si fanno ancor più segrete nello smarrimento.
Ne emerge una condizione di silenzio quasi mistico, esaltato dalla predominanza del bianco della pagina. I pochi versi diventano preghiera, lavoro, vita.
Concludo questa nota di lettura soffermandomi sul momento esatto in cui la mia cara amica mi ha donato le Parole smarrite, belle anche nei dettagli estetici, nella grammatura della carta scelta.
Eravamo al suo tavolino preferito, quello prossimo all’edicola delle piante, come dice in una sua poesia, dove si può cogliere il corpo della parola erica che le è ritornata, e parlando del suo libro mi ha detto «Ogni tanto dal silenzio ritorna una parola smarrita che porta con sé l’origine»; una dichiarazione di poetica, quello che dovrebbe essere la vera vita di chi scrive. Silenzio, cura e massimo ascolto.

 

Non veniva la parola
(arrivata tardi)
parlando del melograno.
Mi pare che non sia raro
che m’incanti
per una parola vegetale
nella scrittura.

 

Ho preso un’erica,
varietà floreale che mi piace,
all’edicola delle piante
in piazza: l’ho presa
per sapere il nome
che mi sfuggiva: erica.

 

Di un giro di parole mi è rimasto “ritorni”.
Così a fluttuare nel vuoto.

 

E scrivere (parola dimenticata,
segnàlo) il mancamento,
la strana sensazione
di non far più parte del cielo
ellittico. Volevo mettere
asterischi alle parole smarrite,
ma non sempre
è necessario o utile.

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