Kazantzakis: la montagna e la ricerca del sé
Odissea, XIV, 1-43
Traduzione e Nota di Chiara Catapano
In che misura Kazantzakis si cimentò e affrontò i grandi temi, è cosa che subito risplende chiaramente, nell’orizzonte della sua produzione: 33.333 versi, nel 1938 esce a stampa la sua Odissea, opera mastodontica.
Quando uscì, i critici scatenarono dibattiti di ogni tipo: se fosse ancora possibile ai nostri giorni scrivere poesia epica, se la lingua fosse arbitraria o meno. L. Piniàtoglou sottolineò il carattere lirico e drammatico dell’opera, prima ancora che epico. E proprio la drammaticità di Kazantzakis, l’anima della sua arte, sta alla base di quella necessità d’inscenare, di portare i personaggi a muoversi non solo nelle tragedie e nei romanzi, ma anche dentro i suoi versi. La via intrapresa da Kazantzakis è quella della ricerca, che s’incarna in quell’ascetismo spirituale e nella sensualità espressiva ben noti al lettore, e nella realizzazione di una lingua densa, piena di chiaroscuri, in uno stile concitato, veemente, il cui approdo, nell’Odissea – per citare Piniàtoglou – sta nell’espressione del “dramma dell’uomo spirituale in cerca della propria libertà” (Melètes, 1943). Tutto il fervente lavoro di ricerca in Kazantzakis, convergendo dalle tragedie e dall’Odissea, condurrà alla realizzazione del suo capolavoro, Capitan Michele, del 1953.
L’Odissea di Kazantzakis inizia dove Omero aveva chiuso la narrazione. Tornato in patria, Ulisse non riesce a fermarsi e, inquieto, dopo aver sventato un complotto, si rimette in viaggio con un gruppo di compagni scelti. Parte, senza una meta. Cambia poi rotta e si dirige a Sparta, dove incontrerà Menelao ed Elena: qui, pieno d’indignazione per la condotta di Menelao (per il compiacimento non celato dal re per ricchezza e pace), decide di rapire Elena, che abbandonerà poi a Creta. Da lì si condurrà in Egitto, e prenderà parte a una guerra, guidando poi una tribù alla riverca delle sorgenti del Nilo. Salirà su un’alta montagna per incontrare dio; vicino ad un immenso lago fonderà la sua città, sulle cui mura scolpirà i nuovi dieci comandamenti.
Nota di traduzione
Kazantzakis è noto per la difficoltà in cui mette il traduttore (e spesso lo stesso lettore greco), poiché ha coniato termini, inventato parole tutte sue, il cui significato spesso non è desumibile per assonanza o attraverso i richiami interni della lingua. Altre volte la difficoltà è stata quella di tradurre vocaboli di provenienza specifica, come ad esempio dal cretese o dal cicladico. Per l’estratto che qui propongo, lì dove ho riscontrato difficoltà, mi sono rivolta alla professoressa Maria Arghiroudi, dell’Università di Creta, e ho consultato alcuni studi di approfondimento messi a disposizione dalla stessa.
ODISSEA, x, 1-43
Gioia, nella solitudine del sacro monte, nell’aria limpida,
solitario salire, con tra i denti una foglia d’alloro!
E distinguere la grande vena battere i polpacci,
attraversare ginocchia, reni, e afferrarti la gola,
e fiume protendersi nella mente ad irrorarla.
E non dire: “a destra vado, vado a manca”, ma soffino
tutte e quattro le aure al crocevia del tuo cervello.
E mano a mano che sali, senti da ogni parte il dio alitare,
e ridere al tuo fianco, e camminare e rotolare pietre.
Voltati. Anima viva non vedrai, come un cacciatore ch’è uscito
a pernici nell’alba rosata, non saprai scernere ala,
ma i pendii del fresco monte sentirai schiamazzare!
Gioia, come fiamma veder fremere la terra nei vapori dell’aurora,
e sia solido slanciato il cavallo che l’anima tua monta,
potenti le reni e rocca la testa, e sull’ampio petto
sospendano piccole perle d’argento e oro il sole e la luna.
E incamminarti per uccelli inafferrabili, abbandonare indietro la mente
e la vita in tuono di campane e l’allegria della puttana;
e alla virtù dire addio, e all’amore che ottenebra –
e come abbandona tra i rovi la pelle il serpente a sonagli
lasciati alle spalle la terra lustrata dai vermi!
Ridono gli sciroccati nelle bettole e le fanciulle impallidiscono
e i padroni indossano il calpack e incuton paura –
smaniano per le tue mele, anima, ma temono il dirupo;
e una canzone di concomitanza principi e come sposo che s’avvia
al fidanzamento con l’amata, nella solitudine t’addentri.
Non cammina, prendine coscienza, dio nel branco, solo intende,
lupo solitario, passo passo la via del romitaggio e non getta ombra.
Tutte le arti, o molto accarto, studiale a fondo
e non ti distolga di dio il percorso o traccia d’uomo;
vai a conoscere bene le radure ove si nutrono gli oscuri demoni,
e le fonti ove s’abbeverano gli spiritelli del cuore
e stringi tutte le armi nella mente e la più adatta impugni,
agguato, solco per richiamo e per dardo d’ala!
E oggi nel primo mattino mentre sali e nella luce procedi,
sciabolano gli occhi tuoi astuti, ti consumano i palmi;
e da ogni parte venatorio setacci in mezzo ai rami e rapido stani
l’uccello selvatico, il dio solitario, dalle molte ali!
Leggere tra i monti trascorrono le ore dal fresco seno
e come capre balzellano nei greppi con bubboli di rame;
il sole come spada troneggia, dolce piega il giorno –
e piano in freschi vapori d’azzurro la luce s’accompagna;
e in compagnia di suo fratello, il chiarore, anche l’arcere sostò.
© Chiara Catapano
NIKOS KAZANTZAKIS (Creta 1885 – Friburgo 1957). Nasce a Iraklio, si trsferisce giovane ad Atene e Parigi, dove frequenterà le lezioni di Bergson, e incontrerà la filosofia di Nitzsche. Nel 1919 è direttore generale del ministero degli affari sociali, e sarà incaricato di organizzare il trasferimento delle popolazioni dei greci del ponto, a seguito della rivulozione russa, ferita ancora aperta nella storia recente della Grecia. Nel 1945 prenderà parte ancora una volta alla vita politica, sotto il governo Sofoulis, me abbandonerà presto il paese, stabilendosi in Francia.
Inviso alla chiesa ortodossa e messo all’indice da quella cattolica per i suoi romanzi Capitan Michele e L’ultima tentazione, non farà mai più ritorno in patria.
Le trasposizioni cinematografiche “Colui che deve morire”, 1957, tratto da “Cristo di nuovo in croce”, per la regia di Jules Dassins, e “Zorba il Greco”, 1964, di Michael Cacoyannis, portano Kazantzakis all’attenzione del pubblico internazionale. Il film “L’ultima tentazione di Cristo”, diretto da Martin Scorsese, del 1988, è ancora motivo di dibattito e perplessità presso alcuni gruppi religiosi.
Sulla sua tomba, a Creta, è inciso:
Δεν ελπίζω τίποτα, δε φοβούμαι τίποτα, είμαι λέφτερος.
Non spero in nulla. Non temo nulla. Sono libero.
Monito a noi tutti, i sopravvissuti.