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Auguste de Villiers de l’Isle-Adam: il simbolismo digrigna sempre i denti (a c. di Giulia Bocchio)

Auguste de Villiers de l’Isle-Adam: il simbolismo digrigna sempre i denti
A cura di Giulia Bocchio

Un’origine illustre e ben presto decaduta, un’esistenza brillante e scapigliata. Il grande e fedele amico di Stéphane Mallarmé, l’uomo alla ricerca di Wagner, l’artista del futuro, uno di quelli che avvistò all’orizzonte le possibilità della fantascienza: Auguste de Villiers de L’Isle-Adam.
Siamo nella decadente Parigi dei poètes maudits, quando caffè e teatri ospitavano tutti coloro che fecero dell’allegoria e della bellezza corrotta un vessillo. Era l’art pour l’art.
Parlavano uno stesso linguaggio là, alla Brasserie des Martyrs, sullo sfondo c’era la Senna e una scintillante Ville Lumière abilissima a forgiare quel desiderio insaziabile di illusioni e ipocrisie negli uomini, in special modo i borghesi. Una foga di pulsioni e progresso, di apparenza e ode all’effimero, tutte soluzioni esistenziali che avevano già spaccato l’anima di Baudelaire, fra spleen e idéal. Tra l’irrisolto e l’immaginato: Auguste de Villiers de L’Isle-Adam si colloca proprio qui, in questa cornice fascinosa e surreale in cui la poesia aveva la densità del sangue e la forza dell’assenzio. E l’ozio era la rivoluzione dell’animo.
Un autore apprezzato dagli scrittori stessi; inizialmente pubblicò a proprie spese la prima parte di un romanzo che non conoscerà mai la fine. Dettaglio di scarsa importanza, perché all’epoca successe a molti classici, più disturbante era il mondo, che stava divenendo per la prima volta moderno, non senza ferocia, non senza devozioni supreme verso idoli anonimi nei confronti dell’arte, il denaro ad esempio.
Ma il tormento dei sensibili, da solo non basta mai, a tutto questo s’aggiungeva un senso del bello, dell’erotico e del conturbante che divenne ben presto riconoscibile in letteratura. I grandi artisti di quella stagione lo sapevano bene, occorreva dargli un’aura, una veste, un trono: il simbolismo.
La prosa di Villiers de l’Isle-Adam, caratterizzata da una straordinaria capacità espressiva, raccolse il consenso dei critici più intransigenti, da Verlaine a Gourmont, sino a Joris-Karl Huysman, che lo celebrerà nelle famose pagine di À rebours.
I suoi Contes cruels, i Racconti crudeli, insieme a Eva Futura, ripubblicata di recente da Marsilio Editori, sono le opere oggi maggiormente apprezzate di Villiers de l’Isle-Adam, sebbene lo scrittore amasse profondamente il teatro e l’arte drammatica. Non rivoluzionerà né l’uno né l’altra, alcune sue pièces sono andate anzi perdute, ma l’impronta di questo scrittore è ancora profonda e delinea le diverse sfumature del simbolismo francese, che conserva odi al sacro e al profano, lucidità e sogno. Perché è così che annaspa l’uomo, come una falena su dorate sabbie mobili.
I racconti in particolare, tutti testi pubblicati su riviste e giornali parigini tra il 1874 e il 1889, anno della sua scomparsa, somigliano a quadri di profetica potenza, scorci vivi su una Parigi purulenta, poetica, sempre piena di contraddizioni. Una scrittura raffinata, quella di Villiers, che all’inchiostro mescola la tempera, per accentuare la densità materica delle sue metafore, delle riflessioni fra il filosofico e l’esoterico. Riga dopo riga affiorano volti spettrali, anime di tenebra e allucinazioni somiglianti a visioni oniriche.
Ma Villiers del’Isle-Adam affonda le sue storie su un terreno reale, che rispecchia a sua volta una società in cui l’inganno dà il braccio all’apparenza. Un racconto in particolare resiste al tempo nella sua imperturbabile capacità di attraversare lo spazio grazie alla potenza evocativa del suo contenuto, quando ancora l’Eden della posterità non era l’ambizione suprema di un artista:

Fiori di tenebre

Serate belle! Davanti ai caffè scintillanti dei viali, sulle terrazze delle gelaterie alla moda, quante donne in abiti vistosi, quanti eleganti sfaccendati si lasciano andare sulle sedie!
Ecco le piccole fioraie che girano con le loro ceste.
Le belle oziose accettano quei fiori appena colti che stanno per appassire, misteriosi… misteriosi? Sì senza dubbio!
A Parigi, sappiatelo, sorridenti lettrici, proprio a Parigi c’è una tenebrosa agenzia che se la intende con molti cocchieri di funerali di lusso, e anche con i becchini, allo scopo di spogliare i defunti della mattina e non lasciare inutilmente intristire sulle sepolture fresche tutti quegli splendidi bouquet, tutte quelle corone, tutte quelle rose di cui, a centinaia, la pietà filiale o coniugale sovraccarica ogni giorno i catafalchi.
Quei fiori sono quasi sempre dimenticati dopo le tenebrose cerimonie. Non ci si pensa più; si ha fretta di tornare a casa; lo si può ben capire!…
È allora che i nostri amabili beccamorti si danno alla pazza gioia. Loro dei fiori non si scordano! Non hanno la testa fra le nuvole. Sono persone pratiche. Li prendono su a fasci, in silenzio. Gettarli alla svelta oltre il muro, in una carretta apposita, per loro è affare di un istante.
Due o tre dei più licenziosi e svelti trasportano il prezioso carico presso certe fioriste amiche, che, con le loro mani di fata, sistemano in mille modi – in molti mazzetti da mettere indosso o da tenere in mano, persino in rose singole – quelle malinconiche spoglie.
Le piccole venditrici della sera allora arrivano, ognuna con la sua cesta. Alle prime luci dei lampioni, eccole circolare (diciamo così) in giro per i viali, davanti alle terrazze luminose e nei mille luoghi di piacere.
E i giovani annoiati, ansiosi di farsi benvolere dalle donne eleganti per le quali provano un certo interesse, comprano questi fiori a caro prezzo e li offrono alle signore.
E quelle, tutte bianche di trucco, li accettano con un sorriso indifferente e li tengono in mano, o li infilano nella scollatura.
E i riflessi del gas rendono livide le loro facce.
Di modo che queste creature-spettri, addobbate così con i fiori della Morte, portano senza saperlo l’emblema dell’amore che danno e di quello che prendono.

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