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Alessandro Canzian, Il Condominio S.I.M. (Nota di Carlo Ragliani)

Alessandro CanzianIl Condominio S.I.M.
Stampa 2009, 2020
Nota di Carlo Ragliani

La situazione condominiale, sia etimologicamente che giuridicamente, prevede un cum-dominium: un diritto di proprietà, comune a più persone, che comporta una signoria condivisa con altri soggetti sulle parti degli edifici che sono composti da più unità immobiliari.
Ma non si può parlare strettamente di compenetrazioni, o di nozionismo giuridico, né di “spazi condivisi” nel significato strettamente fisico del termine tra le pagine di Il condominio SIM (Stampa 2009), di Alessandro Canzian; bensì di esperienze e circostanze pressocché singolarissime che, seppur cellarie, siano in assoluto condivisibili da qualsiasi essere umano e, perciò, indefettibilmente collettive nella capacità di essere onnicomprensive delle realtà singolari.
Nel testo di Canzian, in effetti, si assiste a una “fondamentalizzazione” della poesia, una discesa nell’ipogeo della realtà condomina. In termini poetici, questo atto è da intendersi come concretazione delle fondamenta dell’immobile condominiale come sineddoche della materialità del mondo occidentale; realizzando la strutturazione del suolo più stabile su cui si ergono e lo stabile abitativo e le vite che in questo sono custodite.
Invero, l’occhio dell’io poetante si dimostra tra le pagine dell’opera in grado di tessere le vite dei condòmini: siano queste osservate nella sostanza delle azioni, siano queste frutto della dialettica per cui un rumore, un sospiro, un gemito, un lamento, un urlo, destino la curiosità immaginifica dell’io poetante.
Questo avviene non già per la capacità di conservare, preservare e consegnare alla carta anche i gesti leggerissimi del quotidiano: l’atteggiamento del verso (deinde, dell’io lirico) riesce a esprimersi al massimo della propria forza in una posa strettamente gnomica, benché amareggiata verso le sorti dell’uomo e delle sue condotte – ma, e soprattutto, per la peculiarità di comprendere le singole esistenze degli abitanti con le loro empietà umanissime e con le loro intimità maculate di debolezze l’autore riesce a immergersi nella vita, e nelle vite.
In questo, quindi, l’ars poetica assume la posa dell’osservazione, come se la poesia si rendesse al contempo distaccata dall’azione che si compie innanzi agli occhi dell’osservatore, e immersa tuttavia nella vita dell’osservato. Come se il poeta fosse totalmente consapevole di poter partecipare all’esperienza dell’attante esclusivamente con la sola redazione di scritture poetiche, chiuse anch’esse in una cristallizzazione nominata e puramente significativa se presa nel contesto relativo.
La parola del nostro custodisce l’istantanea bruciata, gli scatti rubati che ritraggono esseri umani isolati nella loro singolarità e, perciò, condannati alla loro dimensione individualissima. In questo, la narrazione delle res gestae dei soggetti, identificati per nome, procede manifestando la loro crepa più profonda, la frattura dolorosa in cui si cela ora la sconfinatezza dell’incertezza, ora la non motivabile tragicità degli accadimenti e delle conseguenze che questi producono, ora la più berciante solitudine che inchioda il più straziato orrore che si consuma nell’abitazione più riservata (se non anzi nella carne) di ogni essere umano.
Il personaggio di Canzian, se volessimo riflettere attorno a un concetto che trattiene tutto il significato di per-sona, come maschera teatrale e come strumento per amplificare la voce del ruolo che questi è chiamato a interpretare, scivola nell’esistenza che lo impregna e lo compete senza tuttavia opporsi alla stessa, probabilmente senza neanche tentare una reazione che possa – se non risolverlo, almeno – opporsi al gorgo che lo attrae. Il che (se ci è concesso un paragone pressocché scolastico, ma certamente veritiero) introduce per sym-pathia la figura de l’inetto di Italo Svevo, per cui al lettore viene trasmessa una vita il cui dissesto esistenziale reca sembianze universali a tutti gli uomini, con tutta la miseria di cui la vita è in grado di coronarsi.
Uscendo anche solo per un istante dalle lettere, Sartre afferma che «L’Uomo è condannato ad essere libero: […] perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa.» La conseguenza di ciò è che l’essere umano sia il centro di imputazione di tutte quelle attitudini che identificano un soggetto vivente, anche se queste necessitino di un macrocontesto sociale in cui districarsi.
Ma quanti di questi atti sono coerenti con lo spirito e la volontà che li anima? Quanti elementi dell’insieme “casi” obbediscono a una spinta completamente induttiva? E quanti, invece, possono essere defettibili dalla sfera volontaristica?
Ciò che Canzian ci consegna consta nel fatto che, in realtà, la compattezza logica sottesa tra atto e volontà in fondo non solo non inerisca a una manifestazione di volere strictu sensu, ma anzi afferisce a una dinamica che coacerva la cogenza degli istinti più abissali dell’essere umano, e che questi – assommati alle cause di cui il lettore non è in grado di ipotizzare una motivazione, se non immaginandola – sfuggano alla capacità di controllo del vivente.
In questa sorta di magmatismo, il verso dell’autore saprà ritrarre senza vergogna e senza timore ciò che avviene in ogni singola abitazione; e è in questa affabulazione tragica che la natura degli eventi si snoda tra ciò che potrebbe essere accaduto e ciò che sarebbe dovuto accadere, e lo sporco dell’esistenza – maculata da ciò che più sia penoso della stessa.
Svolgendo la tematica in tale direzione, non si può tacere che tanto il discorso poetico quanto la compagine dell’opera, nel suo farsi in quanto scritto, sembrino ricordare l’espediente compositivo del narratore onnisciente tipica della tradizione prosastica; posto che questa posa si delinei – come ovvio – in maniera strutturalmente parallela alla stessa, e con ampia riserva di confondere il lettore all’esperienza del singolo condomino.
Oltre la tendenza naturalmente empatica all’intima tragedia dell’essere umano, in Il condominio SIM si cela un ben più profondo intento che il mero intrecciare esperienze serrate nelle mura domestiche, e costrette dalle stesse al dramma quotidiano che queste compendiano: il fine ultimo della poiesis in Canzian non è tradizione asettica e sic et simpliciter della res humana, ma vera e propria redenzione del quotidiano nella poesia.
E, con esso, tutto ciò che venga compiuto nel manifestarsi del medesimo, seppur nemmeno il soggetto ne abbia particolare contezza.

© Carlo Ragliani

 

Olga la mattina raccoglie
dal pavimento le vespe
che cadono spezzate. Apre
svogliata le tende.
A volte fa l’amore urlando
come chi non si ama.
O un lento abbaiare di cani.

 

È che mi sono innamorato
d’una ragazza scura
come una sottrazione.
Dio, se esiste, a questo
ci ha condannato.
Ad amare la privazione
per un goccio di saliva.

 

Carlo questa notte credo
abbia fatto l’amore – dopo
un limoncello a trenta gradi –.
Non aveva volto la ragazza, solo
piedi lunghi e capelli ben curati.
E grida di un animale in gabbia
che non sa uscire dalla vita.

 

Anna vive all’altro lato
del corridoio e come
una poesia prende la vita
con i gomiti, con le braccia
legate dietro la schiena.
Anna ha un amore
sconfinato per se stessa.

 

È bizzarra questa Giulia che
guardo ma non conosco.
Le calze scure, i tacchi
appena un poco alti e
i capelli arricciati come polvere.
Giulia oggi è un melograno.

 

Aldo se ne è andato salutando
solo la ragazza che pulisce,
quella nuova. Ma lei
gli ha risposto male per istinto
o esperienza, o perché
il mondo è uno, uno e uguale.
E si è voltata dall’altra parte.

 

4 risposte a “Alessandro Canzian, Il Condominio S.I.M. (Nota di Carlo Ragliani)”

  1. Mi viene in mente il film Rear Window: Alessandro osserva con occhio lucido, a volte spietato a volte amorevole, questo teatro umano che passa di fronte alla sua visuale; che contempla con una certa distanza che non vuole rivelare di amare.

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