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Tre lettere per tre poeti (di Francesco Iannone)

Tre lettere per tre poeti
di Francesco Iannone

La poesia non muore. Nessun seme nel cuore dell’uomo perde la memoria di ciò che è destinato a diventare. E perciò sempre vive la poesia. Ci sono voci, poche, timide acque che risalgono le falde, grazie alle quali possiamo immaginare le tonde sonorità della fonte, note di un più immenso pentagramma. Ed è grazie ai nomi che di seguito propongo che ho potuto vedere una luce in lontananza, come ebbe a dire Van Gogh al fratello Theo in una sua lettera. Poeti che sanno occuparsi della vita perché interessati alle cose celesti; o interessati alle cose celesti proprio perché si occupano della vita? E quale altra occupazione dovrebbe avere un uomo? Un poeta? In Calcoli e fandonie Sinisgalli lo dice benissimo: salgono in vetta i pellegrini e si sa che il vertice è il cielo. Perciò ecco le lettere che avrei privatamente scritto a Fabio Barone, Francesca Serragnoli, Bernardo Pacini. Non recensioni perché l’affetto che mi inanella ai loro nomi non avrebbe consentito lo stacco necessario per calibrare la misura.

 

Fabio Barone, Il giuramento sulla città, Capire 2021

Caro Fabio, riconosco un certo novecento felice nei tuoi versi che volano da un capo all’altro della pagina con la sinuosità di un’ala. La parola si culla esitando fra pulviscoli, fumosi sospiri urbani. Ogni testo è un racconto che colma distanze, quelle fra un “io” in cammino e le verità che lo attendono, essendo a loro volta cercare. Le immagini, solo talvolta prevedibili, ma è la tua opera prima e perciò lasciamo che il segno edifichi la sua traccia, hanno respiri larghi, mari in rissa, orizzonti nitidi, e qui la città porge la sua voce sulle nostre palme: Pescara. La città, per come la vivi, e noi attraverso i tuoi occhi, è lo spazio ai limiti del quale si slanciano alte le mura di una fortezza dell’anima, il tuo castello interiore, ricordando Teresa d’Avila, un castello ove sono tante dimore, una per ogni dolore e desiderio. Rondoni nella quarta di copertina scrive che cerchi la “fiamma”. E si erga alta la spudorata scia rossa, quando sarà! Le tue non sono le vampe di un incendio al culmine, piuttosto l’umile cinigia che sogna la folata che decide l’evento. Sei nel nodo di un legno giovane, vegli il principio. Ed è la più privilegiata delle condizioni. Può accadere ancora tutto. Mi piace salutare la tua poesia con l’incipit di una pagina di diario di Giovanna Sicari dove scrive: Oggi c’è l’ombra, c’è luce, non è ancora giugno ma l’aria è quella di quando piove d’estate. La tua poesia potrebbe diventare questo ristoro, la fresca tregua attesa. Ne sento i fragori dei temporali grossi, e che sono in arrivo.

da Il giuramento sulla città (Capire, 2021)

Malinconia

Ascolta il silenzio muoversi fra le
vie, inciampa sui tetti delle case
nell’andamento del treno, vedi

com’è mancato il tempo in questa
domenica di vago sentore d’api,
non c’è guerra nel cielo aperto

il volto si serra a seguire l’appennino
dei piedi, è un evento ascoltare
puntuale il rintocco delle campane.

 

Beranrdo Pacini, Fly Mode, Amos 2020

Caro Bernardo, leggo Fly mode e il primo movimento che mi si materializza davanti agli occhi è una sapiente danza, spesso tesa fino alla nevrosi ritmica, della parola. Insisto nel dire che i versi proposti non sono istintivi viluppi linguistici, gorghi sonori alla maniera di un poeta che forse non ti è indifferente, già solo perché a te conterraneo, Piero Bigongiari, ma meditati atterraggi del pensiero, ragionatissime costruzioni geometriche. E, seppure stanca l’ossessiva imposizione del tema, basta ricacciarlo talvolta nei retrovia della mente per poter assaporare le ampiezze a cui il drone stesso aspira abituarci. Certo, la mia naturale repulsione agli anglicismi, qui inevitabili, non mi è di ausilio alla lettura. Ma apprezzo il lavoro di scalpello che hai tentato, secondo me con esiti più che felici, e l’originalità del progetto (e nel senso di “alternativo” rispetto a quello che si legge in giro e nel senso di “viaggio a ritroso” verso il cuore di un’esperienza percepita, da lettore, come autentica). Ora, l’espediente che hai adoperato è efficace, seppure destinato ad invecchiare, e questo mi pare ovvio. Ma cosa rende sempre giovani le parole, accettabili anche quando rappresentazioni obsolete? E cito Salvia non a caso, poeta che ha fatto dello stile la via suprema della sua ricerca del vero. La risposta non può essere né sbrigativa, né affidata alle impressioni di un’unica lettura. Hai rischiato, fra lirismo e sperimentalismo, tradizione e innovazione, ti sei preso le responsabilità del poeta.

da Fly mode (Amos, 2020)

Io, drone alto levato
sono un prototipo-campione
                                               di umanità
il mio status corrente di innocuo bombo radiocomandato
per vezzo ecologico dirottato oggi in città
verso il Polmone Verde Sperimentale di Prato
delinea per me ora un orizzonte d’attesa
di 30 metri altezza massima e raggio limitato
credo sia tutta una questione
                                              di bassa autonomia
la batteria che cala troppo presto
il falso peso di una pietà virtuale dello sguardo
che quanto più registra tanto meno guarda
eppure ammetterai / che tale elevazione / è pure trascendenza

per esempio, chi e cosa potrà impedirmi
di prendere e partire per un lungo viaggio
… vedere in HD le stanze vaticane
l’Alhambra, la casa etrusca del lucumone
il mistero delle grandi rocce del Grand Teton?

 

Francesca Serragnoli, La quasi notte, MC 2021

Cara Francesca, se non ti ho scritto subito è per pudore. Come non si tocca la crosta sulle mura della casa amata. O il centimetro di polvere sull’ultima pagina girata da qualcuno che non c’è più. Provo un imbarazzo così nel parlare delle tue poesie. E ti confesso un timore. Lo stesso che si ha quando si chiede alla bocca cara un sì che non sai se sarà mai pronunciato. E invece La quasi notte srotola i suoi blu con la grazia paziente di una madre (e so dai tuoi libri che per te non è un argomento innocuo quello della maternità) che calma con un bacio la tremula anima di un figlio. Le tue immagini pescano ancora, e magnificamente, nei gorghi del sangue (la croce), nei ripari della carne, nelle gole della storia. C’è l’uomo perché ci sei tu. Dentro ogni sillaba cadi e cadi come un bimbo impavido. C’è il cuore, che poi non riesco mai ad averne una percezione fisica di questo benedetto cuore. E invece tu ne fai uso eccome, in più poesie, tanto da indurmi ad una istintiva avversione. Poi ho capito: nessun cedimento retorico o sentimentale. Tu ne hai intrise le dita di quel palpito, ne ascolti le vibrazioni. Io no, forse non ancora. E grazie anche per la prosa-poesia che chiude il libro: mi hai ricordato le fiamme di Giovanna Sicari, poetessa a te affine per tempra e respiro, in Uno stadio del respiro. Potrei dire che la tua poesia è vera nella misura in cui non teme l’urlo e l’urto, laddove il movimento è ora del cuore, ora del corpo, e che sono le due attitudini più umane che io conosca.

da La quasi notte (MC, 2021)

Miseria delle storie raccontate
l’ora davanti a cui
non potrai più inginocchiare niente
l’essere ascoltati quando si piange
le cicale le foglie del leccio
le scie bianche incrociate sulla luna
i nasi bagnati degli animali
l’odore del miele
bere quando si ha sete
l’odore delle mani che hanno cucinato
il silenzio nella sala d’aspetto
il caffè, il vino.

Tutto nel mondo è piccolissimo
cade in terra come i bambini
ti guarda con occhi impietriti
un secondo prima di piangere.
Allargo le braccia
come una madre o come una croce.

 

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