, , , , ,

Alberto Fraccacreta, “Sine macula” (rec. di Costantino Turchi)

In attesa apocalisse. La poesia per conoscere Delia di Alberto Fraccacreta
Recensione di Sine macula. Poesie 2007-2019

È uno spirito vivo, capace di trascinare in una tensione rivolta al futuro quello che, con forza ineludibile, si libera dalle pagine dell’ultimo libro di Alberto Fraccacreta: con Sine macula (Transeuropa, pp. 213, € 20) l’autore riunisce la sua opera edita e inedita (ma non omnia, precisa) in nuovo e ampio formato, stringendo ciascun capitolo con l’altro nel segno di Delia. Riallacciandosi alla tradizione del personaggio allegorico femminile, Fraccacreta propone sotto il nome di Delia un carico d’incremento significativo: le due raccolte autonome Uscire dalle mura e Basso Impero – già edite entrambe per Raffaelli, rispettivamente nel 2012 e nel 2016 – trovano ora collocazione in un percorso di senso ulteriore.
In Sine macula, infatti, un tracciato ideale si espande alle opere preesistenti partendo dalle liriche aggiunte. Tutt’altro che marginalia, dunque, sebbene posizionate ai contorni delle altre sillogi. Anzi, sistemate in luoghi rilevanti, come la cornice che regge aperto un dittico, o meglio altri tasselli che arricchiscono e continuano un polittico, il proemio Delia, le centrali “disperse” della Fioritura dell’iride e le “ultime” di Alcune altre cose su Delia inducono a una lettura complessiva, capace di creare uno spazio non omogeneo, ma unico, di corrispondenze. Overture che prelude ai suoi effetti nell’intero libro, l’«ineffabile presenza femminile sempre sul filo dell’epifania, colei che è lì da mostrarsi – com’è inscritto nel suo etimo –» si palesa nella poesia omonima mettendo a soqquadro il mondo esistente (p. 5):

Mi scompigliò la veranda
con un’ombra di riflesso,
una nello scantinato.
Delia, rimarrai nel porticato.
Le iridi si invitriarono nel parcheggio,
sotto il paravento disse di aver scordato
qualcosa della battuta in controluce.
La sua voce giù nel calanco.
Le veneziane che perdevano fuliggine.

Confinata a un luogo altro eppure capace di agire nella percezione del circostante, in grado di avere effetto nel reale nonostante gliene sia di fatto sbarrato l’accesso, sorge spontaneo domandarsi in cosa consista la figura evocata dal poeta. Forse non sorprenderà il lettore più smaliziato sapere che, in continuità con le innovazioni novecentesche, una descrizione diretta di Delia, o una sua messa in scena aderente al canone della mimesis classica, è assente: ella mantiene invece e perlopiù la sostanza del puro nome, rarissimo oltretutto; è un hapax la sua presa di voce. Tra le molte parvenze che in Uscire dalle mura si manifestano dai crocicchi di Urbino per proiettarsi in un dettato lapidario, prossimo a un tempo all’iscrizione e al sonetto, dopo la rievocazione sinottica della notte del Getsemani in Via degli Orti (p. 42) Delia si espone per un breve ammonimento in Giro dei Torricini (p. 43):

‘Fate attenzione ai lecci’,
                                       sussurra Delia.
‘Tenete saldo il piede per frenare
dinnanzi alle selci. O sarete
sorpresi all’improvviso,
inghiottiti dai greppi.’

Il segno del bacio, l’evento unico della verbalizzazione – del consiglio all’attenzione per non perdersi – sospingono al mutamento di paradigma che segue in Via delle Mura (p. 44): attivando il passaggio al «controcanto», le posizioni si invertono: Euridice si trasforma in Beatrice, chi è guidata in guida; il mito pagano diventa il racconto cristiano, all’origine delle ombre si sostituisce una fonte di luce. Delia è dunque cardine e tramite di una dinamica interiore che ora per lampi si esplicita: alla morte si oppone la conversione della poesia a una precisa finalità – superare il nichilismo insito nel materialismo per instaurare, attraverso la fede, una nuova relazione col mondo. Tema centrale e impossibile da trascurare, è la spiritualità allora la chiave di lettura per comprendere a pieno il messaggio e la poetica di Fraccacreta – autore che non ha timore alcuno di dichiararsi «cristiano […] cattolico» e «mariano» (Una prosa del cacciatore di taglie p. 119).
Tutto fuorché un’adesione legalista o di semplici immagini, la professione di Fraccacreta è talmente insita in profondità da esercitare nel verso una sovversione della razionalità comune, uno spostamento che rende l’identità specifica di Delia un crittogramma e la poesia in cui vi si inscrive un codice. A malapena pronunciabile se non in occasione di speciali congiunture (Sonetto al vetriolo p. 73) o incroci intertestuali (Appunti intertestuali su Delia p. 176), il nome di Delia si lega a una scrittura che si avvale di fenomeni incongruenti (Reportata Urviniensia p. 209); che si nutre di incontri possibili e impossibili, aspettative disattese (Due lettere del Doctor Marianus p. 116); che si esprime attraverso spostamenti di immagine – sovrapposizioni o slittamenti, figurative o sonore –, a pieno vantaggio del risultato estetico e significativo (esemplari assieme Scendemmo in giardino p. 95 e All’età di cinque anni p. 97). La stessa logica è messa alla prova in una metafisica del reversibile (Il bottone p. 66, Tempo termico p. 120, Cena in Emmaus p. 191).
La densa elaborazione intellettuale insita nella poesia di Fraccacreta è certamente debitrice di una tradizione alta e ben riconoscibile – forse addirittura accentuata –, ma non ne è succube: e se sia Montale che Luzi sono persino protagonisti di alcuni brani presenti in Sine macula (Apocalisse Urbino 7. p. 125, Montale va in pensione p. 189), la via negationis è riacquisita in un ribaltamento trascendentale che, attraverso la trasfigurazione del reale, ha in prospettiva la verità della rivelazione; assonanze e consonanze attivano un procedimento sonoro e associativo che non si chiude su sé stesso, bensì forniscono il gradino per il passo successivo.
Avviando e invitando all’esegesi mentre aggiunge termini che infittiscono l’enigma, sia la rivelazione sia Delia permangono un messaggio sfuggente, misterioso, «meno inaccessibile» quanto più distante (p. 205), quasi disperso nell’intera esperienza umana: nient’affatto statica, la possibilità della vocazione è il rovello fondativo, financo nella tragedia, di una ricerca inesausta che incentiva una composizione polifonica, capace di accogliere nel testo – in verso e in prosa – nuclei diversi, ora prossimi alla discussione erudita, quasi verso un saggismo poetico e straniato, ora rivolti all’arte figurativa e al rapporto percettivo con essa – mai però senza divertimento, delicatezza o intensa partecipazione emotiva, come dimostra Fiori di Morandi (p. 115) con il suo nitore asciutto, di vera gemma. Quella di Alberto Fraccacreta è a oggi un’opera che arde tutto ciò che mette a fuoco – non possiamo che attenderne il seguito, se non l’esito che prelude (pp. 52-53):

Là ci troveremo un giorno
capo-chino, occhi reclini
a divorare il destino antesignano
che scende dalla nube, per poi rialzarsi
in vista di un pesante autodafé.
Fino ad allora, donna foriera,
mi dichiaro a te.

 

© Costantino Turchi