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Luigi Carotenuto, Krankenhaus

Luigi Carotenuto, Krankenhaus
Presentazione di Leonardo Barbera
Gattomerlino 2020

Un nosocomio che diventa luogo di sollecitudine nella sofferenza e progressivo apprendimento – nei componimenti brevi e incisivi, nel dettato preciso, ritmato, scandito dalle allitterazioni e, talvolta, dalle rime interne – della sottrazione, di una mutazione dolorosa.
Il titolo, in tedesco, sembra prendere le distanze dal resoconto di un dolore, dalle istantanee in versi di un commiato e di un compianto. L’autore, Luigi Carotenuto, ha spiegato qualche tempo fa in un video di aver sentito, in un pub vicino all’ospedale nel quale era ricoverato il padre per la rottura di un femore, la domanda rivolta in un quiz: “Come si dice ‘ospedale’ in tedesco?” Udita la risposta, ha pensato alla prima parte della parola composta, ‘krank’, che rievocava il rumore dell’osso rotto.
“Krankenhaus”, “ospedale” in tedesco, è letteralmente “casa dei malati”. Questa casa, definita con il termine che all’autore giunge netto e sonoro, è il luogo dal quale si diramano, come messaggi rapidi e densissimi, i testi del volume.
Luogo di permanenza forzata, l’ospedale rivela progressivamente le sue prospettive. Leggendo il testo 5, a pagina 13: «L’ospedale è elastico,/ a prova di immaginazione,/ supporta insanie,/ applica suture,/ satura i colori, il tempo», viene da pensare che la voce poetica abbia fatto di una condizione dolorosa di necessità uno strumento ottico formidabile per guardare all’esistenza.
Le immagini del padre ricoverato sono anch’esse nitide e aperte – metafore e similitudini lo testimoniano – sia alla loro elevazione a simbolo, sia al loro favorire, suscitare una catena di considerazioni: «Sembri un officiante in questa blusa verde…» (4, p. 12), «la malattia ti ha reso gentile…» (8, p. 16).
Anche la resa dei conti, inevitabile, con rimpianti, rimorsi, ripensamenti, assume in quel luogo una Luce (7, p. 15) che altrove non è dato trovare, che ha un «labile segno tattile»; in quella luce, il quel luogo, è possibile riconciliare l’asprezza delle accuse e delle autoaccuse («non sono capace di devozione»), l’affollarsi sferzante dei ricordi, la constatazione amara («Raccogliamo la solitudine per strada», p. 33) con l’asserzione di una vita che prosegue, necessariamente mutata, ma decisa ad affrontare, con mezzi nuovi, il cammino: «Ho messo scarpe adatte/ a reggere l’urto dell’assenza» (16, p. 24).

© Anna Maria Curci

 

7
Luce

Non c’è una sua versione
in polvere o in pillole
ma se tocchi i bordi del letto
puoi sentirne il labile segno tattile.

12

Non sono capace di devozione.
Se vuoi, però, so trovarti
i difetti migliori, quei pregi
presentabili che non destano invidia.

17

Ogni giorno siamo sempre più creativi
nell’inventarci miracoli, nel trovare scuse
per tirare avanti, nel fingerci interi.

20
La notte è davanti
e alle spalle
sempre
in agguato.
Non puoi grattarla via,
a ottant’anni dovresti saperlo.

28
I ricordi non hanno sangue,
muscoli, odore. Non puoi stringerli,
succhiarli, sono coperte
fatte di niente.

 


Luigi Carotenuto, nato nel 1981 a Giarre (Catania), vive a Castell’Arquato (PC). Lavora nella scuola primaria. Ha pubblicato con Prova d’Autore i libri di poesia L’amico di famiglia (Catania, 2008) e Vi porto via (Catania, 2011). Un suo poemetto inedito in volume, Taccuino olandese, è apparso sul n. 48 – Anno 2015 – di «Gradiva. Rivista internazionale di Poesia italiana». Altre poesie sono apparse su «La Terrazza. Rivista di Letteratura e Ricerca», n. 10 (2018). Collabora con la rivista «l’EstroVerso» (www.lestroverso.it), trattando prevalentemente di poesia contemporanea, arte e psicologia. Una selezione delle sue poesie, tradotta in francese a cura di Irène Dubœuf, è stata pubblicata sulla rivista «Terre à ciel».