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Lorenzo Fava, Lei siete voi (rec. di Davide Toffoli)

Lorenzo Fava, Lei siete voi
Lieto Colle 2019

Quello di Lorenzo Fava è un libro potente e pienamente centrato sul “dire”: non lascia scampo già a partire dall’esergo («Dimentica la domanda, fai del tuo presente/ la sola partenza, non sia solo apparenza/ lo stato d’equilibrio che s’apre sulle cose»). Né vanto, né colpa… Solo la premura di fare bene, nello scegliere parole che sappiano riconoscere qualcosa d’altro nel canto.
Lei siete voi, sezione che porta il medesimo titolo del volume, è aperta da una citazione di Michele Mari che evoca una sfuggente e centralissima presenza femminile; si intravede subito una dialettica tra “lei”, come parvenza d’equilibrio, e “io”, come trucco di prestigio. «È la calma dell’algebra a dettare/ tempi e partiture, a chiudere i segni/ e spalancare ferite» e la poesia si impone come violenza della luce, esplode nomi e parole, mentre è vitalizzante la presenza di un “noi” rarefatto, in divenire, mai statico. Luce e acqua si affrontano “nel tempo che segue il tempo”, perché tra le cose si stabiliscono continue relazioni e si cerca una mappatura rassicurante del presente, in un gioco affascinante di vuoti e di pieni, di presenze e di assenze; «non è sogno l’agonia sbranata dai dettagli», perché ci si specchia di continuo tra vita e morte, si osserva cosa è caduto dietro, cosa è rimasto sul campo e cosa invece contiene il tempo odierno. «Avessi fiato per rincorrerti forzerei il rigo/ a capovolgersi fino a trovarti, muta/ a guardarmi nel solo punto del reticolo/ dove le penne sono ancora su quel segno…». Più che lecito lasciare insinuare il dubbio che “lei” possa essere la parola stessa, la poesia, la voce profonda e inevitabile: vertigine, foga, apnea, precipizio, in un quasi costante colpirsi reciproco alla schiena, mentre incombe il tempo, incombe lo specchio; incombe soprattutto la parola non detta, o almeno non ancora («Immagina la potenza del pianeta/ tutta racchiusa in una parola»): si approda alla parola “amore” solo nella terzina conclusiva di un deflagrante sonetto («Così tra notti e mattine è anche stato/ il nostro amore d’incendio e fango/ e ora ti brucia la schiena il mio fiato»), tra giochi di calore, di luce e di energia. L’incombere del tempo ha un qualcosa di ineluttabile e primordiale: «Tu non sai quanti passati/ sorridono, esultano forse più morti che vivi». Tutto è strada verso la parola, verso la voce. Si fa spazio il “noi”, che si ricompone negli struggenti versi di “a F.”: «Stanotte non esiste pronome/ che non sia plurale, come se tutto/ fosse fuori dalla misura umana/ dello spazio»; perché siamo corpo e voce e, a ben leggere, i versi sono unità di misura. Chiude la sezione una prosa poetica, in antitesi con quanto sostenuto nella chiusa, per nulla da buttare. A farla da padrone è l’incipit che persiste nel proseguire del testo («Ci martellavamo dalle caviglie alle ciglia…»).
La successiva sezione, Volontà di potenza, è aperta da una citazione da Ivano Ferrari, e punta dritto a chiudere nel ritmo “eternità ed abisso”, nel suono delle parole di un «uomo in fiamme/ che grida alla luce». L’alfabeto è un punteruolo, l’ambizione quella di esprimersi mediante la voce perentoria e profonda dei silenzi. È lì che possono conciliarsi amore e morte. «Il sogno più vile,/ quello più infantile,/ è il sogno del poeta», ma la luna è quella piena, di fronte al mare, sopra alle case alte di Ancona. «Contro/ i mostri che architettano il raggiro», fuoco, luce e poesia sono ciò che riesce ad addomesticare il dolore. «La parola è una questione fisica.// Si tratta di vibrare insieme/ perché ci sia una radice comune», una strategia mirata a creare collegamenti con ciò che ci sta intorno. Fava è ermetico nel disimpegnarsi mimetico nel caos, rifuggendo le certezze, sempre vuote e illusorie, col “sapore dell’apnea” e con lo spunto precario dell’equilibrista. Dalle briciole di luce nasce qualcosa di indelebile: «puoi chiamarla poesia questa tensione/ annodata, curva, gonfia». Idee-rogo, vampe che fuoriescono dalla pagina. «La volontà ultima di potenza/ può esser tale solo se concerne/ un angolino dimesso comune a tutte/ le esistenze umane», attraversa tutte le possibili angustie delle esistenze umane, ma «serve l’inaspettato a capire chi sei». La ferita si sposta “al centro”, in quanto luogo più utile e consono per comprendersi e per conoscersi. Spazio e tempo sono coordinate che trascendono ogni sorta di egoismo: «Imploda l’inverno nelle braccia dell’estate», quasi un inno laico alla ciclicità del mondo. Incontriamo rime schiette, puntate verso una consapevolezza tutta da conquistare: oltre margini e canoni, si insegue la strada ambiziosa e conscia della scrittura: «scrivere rotte/ percorse da altri», tramite una «lirica di lava che brucia e scoppia per colpa di/ una donna».
Questa inseguita “lei” è poesia, donna, foga di dirsi che percepisce e disegna la parola come mezzo e come fine, sempre evocata sul piano dell’altare, accompagnata da un eterno ritorno dal sapore anche nietzschiano, ma soprattutto spirito dionisiaco che indaga il caos. LEI, lo spiega più che bene nei suoi versi attenti e calibrati il nostro Lorenzo Fava, SIETE VOI, come sé e come altro da sé, come centro e come periferia, come parola e come racconto: una poesia, dal fare selvatico e primordiale, che si chiama appunto vita. Tutta da leggere e da scoprire, come le pagine di questo libro prezioso.

© Davide Toffoli

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