Enea Roversi, Incroci obbligati
Postfazione di Enzo Campi
Arcipelago itaca 2019
Con la sua raccolta Incroci obbligati, pubblicata da Arcipelago itaca nel 2019, Enea Roversi ha il potere di mettere in moto una catena di associazioni, di suscitare il movimento, creativo a sua volta, della ricezione. Pur scritto in un arco temporale ampio, con testi, come quelli contenuti nella sezione Dal taccuino dell’apolide, che risalgono al 1995, il libro, da veritiero, critico, desolato, talvolta, e dissenziente (alle imposizioni di correnti) testimone del tempo, ha la capacità di elevarsi all’universale e di incantare, perfino, con un richiamo a simboli densi, da cifrare e decifrare, come quello della scacchiera.
Il richiamo alla scacchiera, che apre la prima delle cinque sezioni di Incroci obbligati, fa sprigionare, liberandole, associazioni all’opera poetica di Borges, in particolare a Ajedrez e, ai miei occhi di appassionata di siffatta “allegoria in bianco e nero”, anche alla prosa dell’unico romanzo compiuto di Ingeborg Bachmann, Malina, e, soprattutto, alla Novella degli scacchi di Stefan Zweig.
Menzionare gli accostamenti a Malina di Ingeborg Bachmann e alla Novella degli scacchi di Stefan Zweig mi offre inoltre l’occasione di mettere in rilievo, come giustamente sottolineato da Enzo Campi nella postfazione dal titolo La reiterazione delle obbligazioni, la vocazione di Incroci obbligati: «una poesia narrativa che ci informa sullo stato delle cose».
Con Incroci obbligati Enea Roversi manifesta la libertà e la resistenza del mistero e della cifra, una risposta al tentativo, che è sovente accompagnato da un ghigno artificioso, della messa all’angolo di ogni pensiero divergente. Nella raccolta è proprio questa volontà di espressione a farsi evidente, frutto di uno sguardo acuto che, come ricordano le parole di Josif Brodskij in epigrafe, «lascia una scia sulle cose».
Gli Incroci obbligati sono tappe, rotatorie e scontri con barriere; essi sono, altresì, gli incontri di senso resi possibili – predisposti e, per questo «incroci obbligati» – in una particolarissima scacchiera, quella del cruciverba. Già nel 1974 Luce d’Eramo aveva fatto ricorso, in Cruciverba politico, a questa metafora, per smascherare manipolazioni e manovre diversive nei mezzi di comunicazione. Il senso dissenziente si sprigiona nei testi di Enea Roversi da una lucida analisi linguistica, che ha fatto tesoro della lezione che Pier Paolo Pasolini diffuse negli anni Sessanta del secolo scorso in saggi e articoli, come Lo ripeto: io sono in piena ricerca. Analisi chiara e spietata, necessariamente spietata perché veritiera: è questo il caso, per esempio, di La lingua parlata del neocolonialismo. Analisi spietata verso di sé, non solo verso nuovi miti, mode, menzogne e riti, brillanti sedativi come il Camparisoda dell’omonima poesia («gli elettroencefalografi non daranno più/ fastidio alcuno nel silenzio reale»), che dà il titolo anche alla quinta e ultima sezione del libro. Se in Fiori appassiti, poesia il cui titolo ricorda un componimento del romantico Wilhelm Müller, reso celebre dal Lied di Franz Schubert, Enea Roversi sbeffeggia il «bel gesto da poeta fallito», in Prossimo passato egli ricorre al calembour per smascherare facciate e ipocrisie. In nessuno dei due casi, tuttavia, indugia nell’auto-compatimento e nel bisticcio verbale. La commistione di tecniche e stilemi, al contrario, rende più efficace la pronuncia contro la narcosi collettiva e la riduzione della memoria storica a una virtuale piazza delle vanità: «la Bastiglia è soltanto una piazza/ le immagini le scelgo a caso come vedi» (Fiori appassiti); «Areografi o aeropaghi non ha importanza/ personaggi veri o dipinti la realtà non serve» (Prossimo passato).
Sono fenomeni, questi, da cui anche il poeta si dichiara colpito. Il “cuore messo a nudo” viene apostrofato come «questo cuore codardo» (Miscredenza) e l’accusa di inanità diventa autoaccusa. Ma, come significativamente recita un passaggio in Colpevole, un poeta va alla sbarra o, più precisamente, si consegna alla gogna non per omissioni di contenuto, ma per crimini nei confronti della parola, per aver disatteso il poiein, per averne usurpato il potere: «sono colpevole di latitanza dal mondo/ ma chiedo perdono in nome della sintassi/ in nome degli occhi cerchiati di rosso/ nessuna pietà per il mesto usurpatore/ colui che sperava d’imparare il fare».
Dalla sezione Dal taccuino dell’apolide (1995-2006)
Scacchiera
Mosse per primo il nero
quella volta
il bianco restò
a guardare
scrutando immobile
fra le crepe
della scacchiera.
Avrebbero potuto toccarsi
scomporsi
mimare giochi di sangue
ma a nessuno dei due
quella volta venne in mente
di sorridere.
Paesaggio blu cobalto
Numeri sparsi nell’erba umida
da una rubrica telefonica smarrita
Un piede scalzo la infastidisce:
l’orma del giullare depresso.
Il vento strappa rami moribondi
e collane di perle fasulle:
deposita poi ogni cosa
oltre la collina dei rifiuti.
Tranquilla e senza sussulti
la giornata dei cani
con i loro latrati d’ordinanza.
Uomini con l’abito scuro
azzardano sorrisi
dal gusto di Chardonnay.
Svettano le antenne paraboliche
sopra le figure dei danzatori stanchi:
sera di cobalto si annuncia
spoglia di proclami.
Appare all’orizzonte
l’ultimo biglietto scaduto.
Dalla sezione Disincanto dello scorrere (2006)
Forse fabula
Piaga che si muove dolcemente
L’amore che scuote l’anima
Quel rapido flusso sanguigno
Il desiderio e la costrizione
Dell’immedesimarsi in lei
Nella sua pelle e sulle sue labbra
Perdersi in sconosciuti altrove
Anfratti giocosi di scacchiera
Dopo l’attraversamento
Di luminose tempeste
L’approdo infine stupisce
Con esito di deflagrazione
Schianto crudo e sublime
Sussurro diventato grido
Parola riflessa nel gesto
Fabula senza confini
Vita e morte nello sguardo
Tutto svanisce per poi rinascere.
Dalla sezione Poesie sul dolore e poesie sparse (2008-2014)
Rotatoria
Aggrappato alla transenna, alla recinzione
al punto di domanda, alla conclusione
la felicità nascosta nel nero delle unghie
il cuore chiuso da una cerniera lampo
strada senza uscita di sicurezza
(ovvero urlo strozzato in gola)
come fare per evitare lo schianto
tutte quelle mani che escono dai tombini
arti di replicanti (sbiadito copyright)
e la triviale supponenza dei colonnelli
l’ingorgo da oltrepassare indenne
c’è un fiore a forma di fungo atomico
proprio al centro della rotatoria.
Dalla sezione Incroci obbligati (2008-2014)
La lingua parlata del neocolonialismo
Non esiste il talento, non è mai esistito
non c’è spazio per la bellezza nei marci corridoi
dei nostri centri direzionali operativi mercantili
le pareti mobili di zucchero nascondono
scrivanie da encefalogramma piatto
non esiste il sentimento, non esiste l’anima
il vuoto a rendere della redenzione alcolizzata
esiste il risentimento, esiste il fegato
l’animella caramellata edulcorata e sugosa
che cova il male distillato goccia a goccia.
Non esiste l’arte, non è mai esistita
dietro la tela c’è un ragno affetto da mitomania
dentro la cornice la polvere d’oro centrifugata
il museo ha scale a chiocciola scivolose e maleodoranti
intricate e impossibili come quelle di Escher
gli scantinati sono colmi di storie capovolte
e al piano di sopra il muschio impregna gli affreschi
possiamo accomodarci in fila alla cassa
con il postmoderno infilato nelle buste della spesa.
Non esiste la poesia, è una truffa da allibratori
esiste la prescrizione del medico curante
scritta a bandiera con calligrafia da antico Egitto
esiste la lingua parlata del neocolonialismo
e quella urlata dei portatori sani di follia
non esistono i poeti, sono fuggiti da questo mondo
hanno costruito una nave con il Lego e sono salpati
hanno rimosso il romanticismo ma non si sono salvati
non esiste la poesia, non è mai esistita
non c’è spazio per la bellezza nei nostri ipotalami.
Non esiste la percezione, non esiste il pericolo
non esiste la perfezione, esiste il ridicolo
non abbiamo nulla da perdere se non il futuro
aspettiamo la glaciazione del reale sconosciuto
con la testa fasciata e un corno rosso nella tasca
aspettiamo il Messia dalle labbra dorate
il cesto di mele proibite da addentare morbosi
perché appena entrati non esiste via d’uscita
siamo consapevoli che la ricerca non ha senso
perché non esiste la verità, non è mai esistita.
Dalla sezione Camparisoda (2016)
Prossimo passato
Aerografi o areopaghi non ha importanza
personaggi veri o dipinti la realtà non serve
le nostre idee sono similitudini distorte
sguardi deformati del presente lacerato
inutile tendere la mano al prossimo
è già passato non poteva attendere
ora possiamo pensare al futuro liquido
schizzato sui vetri lucenti dei grattacieli
le radio annunciano la fine delle trasmissioni
musica da camera si diffonde nelle stanze.