Libertà senza figura. Breviario poetico-iconico per un umanesimo senza confini
Nota di Lucetta Frisa
Il volume di versi di Stefano Vitale, Incerto confine (Paola Gribaudo Edizioni 2019, illustrazioni di Albertina Bollati) può essere commentato iniziando dai versi finali: «La chiave è nella Parola/ suono che resta accanto/ colore della pazienza/ distesa sul paesaggio delle ore/ passione e destino senza nome.»
Unica certezza, ci suggerisce il poeta, è la parola: il resto è “incerto confine”. L’uomo tenta di trovare un limite, di fissare un punto, ma tutto sfugge, non permane. Il muro bianco della mente non riesce ad arginare il dolore. Con una poesia nitida e persuasiva, Vitale tenta di offrirci il punto di vista di una salvezza possibile, ma anche il calcolo di una “presunta precisione” resta necessariamente incerto e destinato a fallire. Alla poesia non resta che testimoniare solo l’ennesima tappa di resistenza.
Perché non essere
come le nuvole?
Poter cambiare forma
luce, colore e direzione
nel disordine del vento
imparare il controcanto
segreto delle cose.
Il “controcanto” delle cose è però segreto: è infatti l’altro tempo, il «passo sbilenco sull’orlo di un cornicione», la possibilità di smarrire tutto, di «ruotare a vuoto su se stessi».
L’evocazione della Sinfonia da camera di Shostakovic e della Ciaccona di Bach (ricordiamo che l’autore è un appassionato esperto e amante di musica) segnalano la necessità di qualcosa di intangibile eppure di esatto: come il suono di una musica amata, lenimento a un insopportabile dolore. Perché tra musica e parola, l’incerto confine viene superato.
Non muore
il linguaggio dei muri
messaggi a distanza
di graffiti dispersi
tra coltelli e martelli.
Vitale ripete il suo pensiero come una litania: «Non siamo dentro e neppure fuori/ in questo incerto confine mobile/ che cambia nei giorni di vento»; ed è un pensiero che desidera «interrogare con un battito di ciglia/ il disordine del mondo/ negli scorci di luce sfasciata». Qui si mostra con evidenza la necessità di una visione nuova, che prepari il linguaggio a smorzare la tensione del dramma, a ritrovare nel quotidiano la forza e la grazia innocente.
Miracolo della vita
è la percezione di sé
di colpo riflesso
nella vetrina d’un bar la mattina
un brivido striscia lungo la schiena
e un sorriso stupìto spunta sul viso
perché tu ti sei visto e sentito
a te stesso sorpreso
nell’istante presente ora svanito
oltre il flusso arrogante del tempo
anche se, lo sai bene, non servirà a niente.
È vero, forse non servirà, ma il poeta (e la poesia) desidera anche essere punto di equilibrio, di misura, in poche parole di umanità, in questi anni di tragedie immisurabili. E dove Vitale stempera il dramma in misure più icastiche e asciutte, lontane dalla tentazione di ogni retorica descrittiva, che raggiunge la sua maggiore incisività e sapienza linguistica. Come in Lyrische Suite (ancora una volta torna la musica, in questo caso Alban Berg):
Si resta sempre altrove
dice la nera figura
chiusa nel mio occhio:
un essere remoto o la paura?
C’è chi vive rarefatto
felice nell’evaporare
senza sporgenze di roccia da afferrare.
Suprema libertà senza figura.
La seduzione della poesia di Incerto confine, sta in questa tensione a una “libertà senza figura”, sta in questo sogno realizzato di astrazione, dove ogni peso delle cose va svanendo, «sparisce quel sentiero/ sgretolandosi il profilo/ del mondo conosciuto», e ancora «tra le dune di una spiaggia/ solo immaginata/ lontano da quel che siamo/ e forse mai conosceremo».
Merita un commento non a parte l’aspetto iconico del libro che gli conferisce un tocco in più di una raffinatezza e leggerezza quasi gioiose. E davvero colpiscono, da una parte la drammaticità dei versi di Stefano e dall’altra le illustrazioni, dal tono infantile e arioso, di Albertina Bollati che li traversano, meglio dire, sorvolano per tutto lo spazio del libro; e questo potrebbe, a un primo sguardo, sembrare davvero un contrasto, ma non lo è se è vero che «ci sono giorni felici/ in cui salta il confine protetto», come recitano i primi versi della prima poesia d’apertura del libro di Vitale. È quindi un contrasto in armonioso dialogo al quale, ogni “incerto confine” dovrebbe umanisticamente tendere, e sul piano artistico, cercare di incontrarlo, come ad esempio, tra la parola e l’immagine.
© Lucetta Frisa
Lyrische Suite
Una lama di coltello
taglia il pane secco
universo che si sbriciola
polvere di vita sotto scacco.
Il tempo si raggruma
buccia d’arancia spremuta
c’è chi beve il succo
chi porta via i cadaveri.
Si resta sempre altrove
dice la nera figura
chiusa nel mio occhio:
un essere remoto o la paura?
C’è chi vive rarefatto
felice nell’evaporare
senza sporgenze di roccia da afferrare.
Suprema libertà senza figura.
Strisce
Il confine del corpo
è il filo spinato della paura
da qui si deve cominciare
tra le pagine bianche brunite
dalle ferite fioriscono cicatrici
solchi di giorni magri
cenere e chiodi da attraversare
ancòra terra da masticare
nell’ombra che ci segue
è il presagio della notte
a passeggio sulle schegge
di lingue sconosciute
di naufraghi smarriti
senza le chiavi d’una casa
in un ventre di balena
buio dove affonda
la lama del presente
strisce di fuoco sulla pelle
sono zattere di silenzio
attimi dove non siamo mai stati.*
*verso di Mark Strand da “Mappe nere”
In questo incerto confine
I.
Non siamo dentro e neppure fuori
in questo incerto confine mobile
che cambia nei giorni di vento
quando incespica il passo
nel filo dell’ombra impassibile
oltre il lembo di luce morente
è insondabile quel che
fa la differenza.
II.
Stare fermi, non fare un passo oltre
l’Altro è il confine, attimo che s’inarca
nella comune trama segreta
tregua della perfetta imperfezione
senza una soglia il peso del cielo
è pietra tombale
e il profumo dei tigli sul viale
è il solo felice confine
da attraversare.
Ciaccona*
A passi lenti e fieri
avanza la Ciaccona
sul filo teso dell’anima
improvvisa saltella
sguardo bianco di luce
sul ciglio del sentiero
spinge a respirare
silenzio senza dolore
dolore senza disperazione
disperazione senza necessità
di consolazione
che è calma la sera
e la luna è allo Zenith
nella danza della mente
il tempo è misura
distanza sicura
che cresce senza peso
limpido cristallo
è l’acqua della fonte
giusta ricompensa
della nostra sete
da sempre per sempre attesa
nel suo infinito ritornare.
*J.S. Bach, dalla “Partita per violino solo in re minore”
BWV 1004
Perché non essere
come le nuvole?
Poter cambiare forma
luce, colore e direzione
nel disordine del vento
imparare il controcanto
segreto delle cose
viste da lontano
scolpite nel marmo dell’istante
senza altre distrazioni
ruotare a vuoto su se stessi
imprevedibile necessità
d’una anima sottile e d’aria
che, sorridendo o bestemmiando,
dobbiamo sopportare,
liberare.
Cerca un punto fermo
spillo che ti tenga
appeso ad una carta
dai confini certi e chiari
colori sempre uguali
ma inutile è lo sforzo
si alza la marea
s’incurva l’orizzonte
sparisce quel sentiero
sgretolandosi il profilo
del mondo conosciuto
ritorna pietra, selva e canto
un nuovo grido scheggia
la certezza di quel muro
si sposta la linea dello sguardo
un metro più in là.
La chiave è nella Parola
suono che resta accanto
colore della pazienza
distesa sul paesaggio delle ore
passione e destino senza nome.
Stefano Vitale
Poeta e critico letterario, ha pubblicato Double Face (Ed. Palais d’Hiver, 2003); Semplici Esseri (Manni, 2005); Le stagioni dell’istante (Joker, 2005), La traversata della notte (Joker, 2007); Il retro delle cose (Puntoacapo, 2012); Angeli (con disegni di Albertina Bollati, edizioni Paola Gribaudo Editore, 2013). Ha curato (con Maria Antonietta Maccioccu) l’antologia Ma l’amore no (SeNonOraQuando,2015); La saggezza degli ubriachi (La Vita Felice, 2017). È presente su numerose antologie, blog, siti. Sue poesie sono tradotte in inglese sul «Journal of Italian Translation» (2019) e sul sito «Italian Poetry» (2018).
Albertina Bollati
Fotografa, disegnatrice, illustratrice di loghi, copertine, libri. Ha pubblicato Torino 2011, raccolta di fotografie in tricolore e illustrato le raccolte di poesia Palazzo di giustizia e umanità limitrofe di P. Berti e M. Napoli (Caramella Editrice, 2007); Angeli di Stefano Vitale (Edizioni PaolaGribaudo, 2013); l’antologia Mal’amore no (SeNonOraQuando, 2015); Pensieri sparsi di un psicoanalista di Daniela Gariglio (arabAFenice, 2017). Ha curato Oggi che il verde è così verde, scatti in bianco e nero di R. Balbo (2016) e ha partecipato al Festival della Scienza di Roma con la mostra Infinita Luna dedicata a Leopardi (2019).
Una replica a “Stefano Vitale, “Incerto confine”. Nota di Lucetta Frisa”
Non sappiamo se varcare quel confine significhi entrare in qualcosa o uscire da qualcos’altro. È soglia tra ciò che crediamo di conoscere e ciò che ignoriamo? Tra l’esistenza e la sua dissoluzione? È mobile, e varia con il vento e con le maree, oppure ha la “certezza del muro”? È esile e volatile come un profumondi tigli, oppure è netto come una lama che cade? E di fronte ad esso conviene avanzare, o “non fare un passo oltre”? Ogni nostro rapporto col limite è nel segno di una ambivalenza, tra paura e attrazione ; se il mondo perde contorni certi, cerchiamo a tentoni un appiglio, magari un semplice “spillo”, a cui aggrapparci, ma siamo anche tentati dalla possibilità, e dal rischio, di fare a meno di ogni falsa sicurezza : di accettare la leggerezza kunderiana di non avere più corpo o figura, uniformandoci alle nuvole, alla polvere, alle sostanze aeriformi, prive di identità e di peso.
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