Raffaela Fazio, A grandezza naturale (2008-2018)
Prefazione di Daniele Barbieri
Arcipelago itaca 2020
Ho letto A grandezza naturale, il volume, pubblicato da Arcipelago itaca, che raccoglie le poesie scritte da Raffaela Fazio tra il 2008 e il 2018, in un pomeriggio di sole di questa primavera di silenzio e sospensione. Sono uscita in giardino a leggerlo, perché potessi avere davanti al mio sguardo, ogni volta che lo distoglievo dalle pagine per fermarmi a riflettere sui versi che scorrevano e dipanavano storie, accendevano luci su improvvise intuizioni e antiche constatazioni, un albero, nel mio caso un albero di magnolia, che vedo crescere negli anni.
Proprio sulla scorta dei versi di Raffaela Fazio ho scelto un albero come testimone austero e sapiente di verità e di finzioni, di un cammino di occhi e di pensiero tra gli accenti, a me familiari, di una scrittura poetica che conosco e studio da diverso tempo, e le prospettive inconsuete.
Il testimone austero, l’albero di magnolia, ha fatto risuonare le parole, sia le combinazioni armoniose, che ritrovo dalle raccolte precedenti, gli echi danteschi nelle similitudini che aprono e coprono un’intera strofa, le rime finali e quelle interne, la scelta del vocabolo che è impegno, lo sguardo sui figli nel procedere intrecciato, e misteriosamente intrecciato, di esistenza e di memoria, sia, più esplicita qui che altrove, la compiutezza della forma breve, il guizzo della serpe che risveglia «il senso e l’andatura», l’inchinarsi, pur nel proseguire della quête, all’esito inatteso, all’eterno respirare dell’amore «giusto», quello che passa senza fermarsi davanti alle ante aperte del «guardaroba d’intenti» e che scavalca sorridendo pie intenzioni e ferventi insegnamenti.
Non ci sono spigoli vivi nella poesia di A grandezza naturale e neppure si ode il chiasso dei proclami.
Respira, su ciascuna delle sei sezioni che compongono la raccolta (I. Il senso e l’andatura, II. Cento modi per chiamare o nessuno, III. Voci abitate, IV. Prospettiva inversa, V. Tra visione e forzatura, VI. Altro da Te), la franca ammissione dell’equilibrio dinamico, dell’alternanza, mai risolta per una parte o per l’altra, tra il prevalere, da un verso, di un io che, seguendo Rilke in Lettere a un giovane poeta, volge lo sguardo al mondo dentro di sé, e il manifestarsi, dall’altro verso, di un “io-tra-gli-altri”, con gli altri e nel tempo, anche quando la prospettiva è leggermente scostata, di lato, dalla cornice di una finestra.
Anna Maria Curci
Dalla sezione I. Il senso e l’andatura
Mi disse un saggio
Per anni in me ho curato l’aderenza:
paziente somiglianza
al centro equidistante
immoto. Un caso però
la trafittura, la sorpresa.
Nell’acqua limacciosa
non fu il loto bianco, ma la serpe
che risvegliò guizzando
il senso
l’andatura.
Controluce
La vita appare
a grandezza naturale
se emerge il Fuoriposto e si fa ingombro
come macchia scura contro il sole:
risuscita i contorni
nascosti fino allora
nella dismisura della luce
(cresce la forza
grazie all’espansione
di ciò che all’improvviso la confina)
e nel momento in cui
fa quasi male
ci libera la vista sul reale.
Dalla sezione II. Cento modi per chiamare o nessuno
Piantato contro i loquaci
mi piace
l’albero che non prende forma
ma segue il respiro del cielo
e del cielo culla
instancabile
l’orma.
Tardi ormai si è piegato
il glicine sui pergolati.
O troppo in fretta
il profumo
ci ha incontrati.
Come il silenzio che precorre il suono
e ne fa superfluo il ricatto.
Ho cento modi per chiamare.
Con un fiocco
un neo
un profumo di stagione.
Gli uomini miei simili
rispondono al mio cenno.
Solo gli alberi del parco
non lo fanno.
Quando li chiamo
– se chiamo e sono altrove –
nulla si muove.
Come fiutassero
un vuoto
una finzione.
Dalla sezione III. Voci abitate
Ci sono volti come vicoli ciechi.
Ma dietro a portoni biechi
in fondo a scurrili androni
———–l’assoluzione
di un cortile.
E dopo notti d’insospettate abiure
dal chiuso della carne
in punta agli scuri
si apre il lucore
disadorno
della neve.
Dalla sezione IV. Prospettiva inversa
Sizigie
(per i miei figli, aprile 2010)
Questa notte
allineata al mio destino
in mezzo a voi ho dormito.
Non ho sentito il mio fiato
ma un’alta marea ha rapito
il dolere del fare
la paura di un buio non mio.
In più lenta rotazione
mi ha visitata chiara la Fortuna
là dentro al vostro odore,
Sole e Luna.
Dalla sezione V. Tra visione e forzatura
Chiaro il cammino, il destino
che mi ha condotto a te.
Ma quando ti ho raggiunto
ho perso
l’antico orientamento
al cabotaggio
hai offerto come mappa
un labirinto.
Dalla sezione VI. Altro da Te
Qadosh
Ecco chi sei:
. –l’Altro da Te.
Ti ritrai
ti sottrai al desiderio
e lo distogli in basso
. capovolto
rivolto
, d’uomo in uomo
tra nodo e nodo
della fraterna corteccia
se ogni volto apre
. sul tuo Volto
una breccia.
Eloi eloi lema sabactani?
Agli uomini di nuovo mi abbandoni.
Perché mi lasci amarli
credendoli giganti?
Legati mani e piedi ai quattro venti
i corpi incuneati tra i due poli
come alberi,foreste secolari
a prendere lo spazio tutto intero.
Là sotto mi riparo.
Ma i giorni sono fitti
e io non conosco
sapori odori suoni
se non di sottobosco.