
C’è una sezione di apertura, nel libro di Giovanni Parrini, dal titolo Soggetto momentaneo; e davvero si spalanca una dicotomia tra questo soggetto nominato e l’oggetto tutto chiamato in causa. Prendiamo la prima poesia:
Scordata sulla mensola
non ricordo neppure da quanto una conchiglia
coperta di polvere
mi è caduta, stamani un suono secco
uno spacco nel suo arcano madreperlaceo
con un poco di colla, di pazienza
si è accesa nuovamente l’illusione, che credevo perduta
il suono torpido della risacca nel sole. Era un’estate
non ne rimase nulla.
L’oggetto quindi è riparabile, e con lui tutto quello che opera sul soggetto e ricrea illusioni e materialità; quello che non esiste più, spaccata la conchiglia, ma anche prima che la conchiglia vada in pezzi, è il soggetto che esperisce, il soggetto che fa. Si può parlare allora dell’oggetto transizionale, ripararlo quante volte si vuole, ma l’estate, per il soggetto, è perduta.
Parrini non idealizza, nel suo discorso che è un elegante e mai solenne quaderno di appunti. Segue il creaturale, si direbbe altrove; l’oggetto – tangibile, vero – non è punto di partenza verso slanci ideali, ma spesso è cronistoria di una curiosità di cucciolo.
Da ragazzino, ero molto curioso
Innamorato d’ogni naturale minuzia
di mille e mille faticosi impulsi nell’erbacce, nell’acqua
di cosa si agitasse negli anfratti marini
negli specchi ustionati delle pozze d’agosto
assordo dalla buffa ingegneria delle idrometre
dalla fluidodinamica bizzarra dei girini
dalla lotta dei granchi
origini d’una contemplazione
oltre ogni serietà di adulto, ora
di bellezza e violenza, una nell’altra accese
che ne tento e ritento la poesia
per potermi vedere.
Il reale lascia l’orma nel soggetto. Finché, nell’ultima poesia della già citata prima parte, si centra il mirino su questo soggetto – chi è, perché di lui c’è bisogno, cos’è nell’economia di una poesia e cosa non può che essere. E, ancora oltre, senza dimenticare che nessun soggetto è solo, così dev’essere.
© Giovanna Amato
Non volevo parlare di me troppo
però, senza soggetto
non c’è trasposizione
non c’è visione, fallano scritture, atti
di mano in mano
oggetti d’altri oggetti, cui un soggetto serve
nel disorientamento
e varrà credere di poter fare da riferimento
appunto da soggetto
momentaneo, però, quale deve essere
e la poesia una fune a chi, da solo, sprofonda dentro il buio.
Chissà, ci resterà soltanto il cuore
nudo di tutto
non capace, arreso
finalmente, com’è giusto che sia, com’è bello
sperabilmente stupefatto
e in debito
mentre l’attimo tonfa e si rimescolano la tenebra e la luce
basterà forse a un altro progresso
esserci stati
vivi per l’inguaribile ferita
per l’eroismo della compassione.
Sono sulla terrazza
stanno abbracciati stretti e li incorniciano qualche rosa e i convolvoli di lei col vestito grigio, lui in pullover.
Dormiamo bene insieme – lo dicevano a tutti –
poi spengiamo e c’è luce, tanta, in sonno
quando ci prepariamo al domani
ci accompagnano i suoni che ci piacciono
anche se c’è fatica
ma non vince
lo sa che ci teniamo per la mano
e se cadiamo non lo sentiremo, l’urto
sarà per quella carezza
che ci scambiamo prima di dormre.