– Nie wieder Zensur in der Kunst –
Tutto spento il piroscafo naviga, come cosa inerte della natura. Pure, dentro, comincia a destarsi con crepitìo di passi e di voci e fra poco sarà di nuovo un mondo anche lui. C’è gente, dentro, ha sognato, e adesso si agita nelle minute faccende del mattino, per essere pronta a sbarcare prima del sorgere del sole, un po’ con una fretta da ragazzi che debbano correre in ore impossibili a scuola.
Sul ponte è freddo, umido, pare sia piovuto. Il cielo in alto, dianzi era scuro ancora, ma un vago chiarore è nato attorno alle cose e già distinguo gli alberi, le lance di salvataggio, la ciminiera… Il cielo diventa sempre più lieve nel suo azzurro di foglia. Un lume s’è acceso un istante dietro a un vetro del ponte di comando, quindi s’è spento e un volto incerto e assonnato d’uomo ora guarda nell’alba di lassù.
A destra e a sinistra poi si spalanca una terra, a picco. Da una parte è capo Figari con una minuscola luce gialla in cima: un faro; ma piuttosto si pensa a un uomo che agiti una lanterna da ferroviere verso di noi, e sia accorso all’ultimo momento. Dall’altra parte è Tavolara, un’isola che dicono deserta, e proprietà d’un tale che ci va per la caccia. Tavolara forse viene da tavola; e veramente è un enorme blocco calcinoso che in questo chiarore violetto di zolfo pare si accasci e debba sprofondare nell’acque, bruciata dentro. E che sia un’isola non si vede. Cupe masse alle spalle la riprendono. E al moto del piroscafo, tra tanti blocchi azzurri o biancastri che ci girano attorno si ha quasi il senso d’essere entrati in un mare d’altipiano e di navigare in ascesa: verso l’estremo tetto dell’universo.
Ma al di sopra delle rupi l’aria è candida. Si apre un circolo d’acque serene e una terra rosea, bassa, appare in giro. Di nuovo fischia la sirena del piroscafo. C’è movimento di marinai sul ponte. A prua tutti i viaggiatori di seconda e prima classe mandano fuori, coi facchini di bordo, le valigie.
L’ha ripubblicato su Matteo Mario Vecchio.
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